7 aprile 2019 – V domenica di quaresima C
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 43,16-21- Salmo responsoriale: Sal 125 – 2lettura: Fil 3,8-14 – Vangelo: Gv 8,1-11.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Parola del Signore
Omelia
Siamo tutti peccatori, chi in un modo e chi in un altro, chi di più e chi di meno. Con i nostri peccati ci rendiamo complici del demonio, causa e origine di ogni peccato, e di tutti quelli che lo imitano peccando. Per questo non siamo abilitati a giudicare e a condannare nessuno: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Coscienziosamente, se ne andarono uno dopo l’altro, a cominciare dai più anziani. Rimane la donna peccatrice e Gesù, l’unico che potrebbe giudicarla e condannare, perché è senza peccato. San Agostino dice che rimasero la misera, cioè la donna, e la misericordia, cioè Gesù. Il peccato infatti ci pone in una condizione miserevole, perché, anche se momentaneo, provoca il fallimento della nostra vita e ci proietta verso la dannazione eterna. Gesù è la misericordia di Dio, e per questo perdona la donna peccatrice. Nel dialogo con Nicodemo Gesù dice che Dio lo ha mandato non a condannare il mondo ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. E quando gli scribi e i farisei mormoravano, vedendolo insieme ai pubblicani e ai peccatori, Gesù risponderà: «Io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori a convertirsi». Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio, che gli israeliti nei salmi proclamano «misericordioso e pietoso». Questo Dio che per bocca del profeta Ezechiele dice: «Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio -, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva», si rivela in Gesù Cristo.
Dal vangelo di oggi apprendiamo che dobbiamo distinguere nettamente il peccatore dal peccato. Il peccatore è sempre degno di misericordia, perché creato ad immagine e somiglianza di Dio e reso figlio di Dio da Gesù Cristo. Il peccato invece è sempre in abominio presso Dio, perché viene dal maligno. Infatti Gesù perdonando la donna le dice: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». Non le dice, mi raccomando la prossima volta non farti scoprire, ma: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». E quando gli scribi e i farisei, come abbiamo ricordato, mormoravano vedendolo insieme ai pubblicani e ai peccatori, Gesù dice: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati». Gesù vuole dire che sta con i pubblicani e i peccatori non per approvarli nella loro condotta peccaminosa ma per aiutarli a convertirci. Quindi non dobbiamo esprimere giudizi o condanne su chi sbaglia, ma non dobbiamo aver paura di chiamare il male con il suo nome e di condannarlo. La Scrittura ammonisce severamente quelli che non si limitano a provare comprensione verso i peccatori ma arrivano addirittura a giustificare il peccato: «Guai a chi chiama il male bene e il bene male». Dobbiamo prendere sempre le distanze dal peccato, che dispiace a Dio, e avvicinarci con misericordia al peccatore per aiutarlo a risollevarsi. Chi infierisce sul peccatore, dandogli addosso con giudizi di condanna, non ha conosciuto l’amore di Dio e non comprende che potrebbe commettere peccati ben più gravi di quelli che condanna. L’apostolo avverte: «Chi sta in piedi, badi di non cadere».
Dalle altre letture della parola di Dio comprendiamo che noi siamo capaci di fare il peccato ma non abbiamo la possibilità di toglierlo dalla nostra coscienza. Qualcuno pensa di eliminare il proprio peccato non pensandoci più e facendo passare del tempo. Si tratta di un meccanismo di difesa che si chiama rimozione. Ottiene qualche effetto immediato ma non risolve il problema. Dicono gli psicologi che quando un problema viene rimosso, si ripresenterà in seguito con più virulenza di prima.
Ma perché poi rimuoverlo se c’è la possibilità di guarirlo? Ci sono tante malattie incurabili, invece il peccato da quando è venuto Gesù sulla terra è sempre curabile, basta che ci rivolgiamo a lui nel sacramento della confessione. Dobbiamo essere umili e riconoscerci per quello che siamo e il Signore preparerà la strada del ritorno a lui, come diceva nella prima lettura: «Aprirò anche nel deserto una strada». Il Signore ci ristabilirà nella condizione di figli, liberandoci dalla schiavitù del peccato. Ci renderà da peccatori giusti. Solo lui può renderci giusti. Sbagliano quei fratelli che dicono che non hanno bisogno di venire in chiesa o di confessarsi, perché sono onesti e giusti da sé stessi. Non si accorgono nel dire queste parole che hanno una trave nell’occhio, la presunzione e la superbia. Non si rendono conto, ragionando così che vanificano la croce di Gesù. Infatti se l’uomo può raggiungere la giustizia solo con le proprie forze, Gesù Cristo è morto invano. Paolo, prima di convertirsi, era un fariseo. I farisei pensavano di poter osservare tutta la legge di Dio in modo meticoloso e quindi di ottenere la salvezza con le proprie forze. Quando si convertì sulla via di Damasco, allora comprese che la giustizia è un dono di Dio per mezzo di Gesù Cristo. Da allora tutta la sua vita è rivolta a Gesù: «Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede».
La salvezza dunque non è una conquista nostra ma è un dono di Dio per mezzo di Gesù Cristo. Con le nostre forze non potremo mai diventare giusti. E’ Dio che ci giustifica con la sua grazia in Cristo Gesù. Allora dobbiamo puntare tutta la nostra vita su Gesù, vivendo in comunione con lui. Dobbiamo vivere sulla terra guardando sempre avanti alla meta che ci attende, come ci insegna l’apostolo: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù».
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31 marzo 2019 – IV domenica di quaresima C
Liturgia della Parola: 1lettura: Gs 5,9-12- Salmo responsoriale: Sal 33 – 2lettura: 2Cor 5,17-21 – Vangelo: Lc 15,1-3.11-32.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore
Omelia
La domenica scorsa Gesù ci ammoniva dicendo: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Oggi Gesù spiega in che modo dobbiamo convertirci. Riflettendo sulla parabola che abbiamo ascoltato comprendiamo che hanno bisogno di conversione tutti e due i figli, il minore perché si è allontanato dalla casa paterna, vivendo nel peccato, il maggiore perché è vissuto nella casa paterna non da figlio ma da servo. Dalla parabola apprendiamo come deve essere il cammino di conversione dei lontani e dei vicini. I lontani sono quelli che, come il figlio minore, si sono distaccati da Dio, allontanandosi dalla comunità cristiana che è la casa paterna. Pensano che saranno felici soddisfacendo tutti i loro desideri. Ma il male delle loro azioni a lungo andare li chiamerà a pagare il conto. Il figlio prodigo venne a trovarsi nel bisogno e dovette mettersi a servizio di un padrone che lo mandò a pascolare i porci. Si era allontanato dalla casa paterna per essere più libero, ora è ridotto a servire un estraneo.
«Allora ritornò in se…». Il cammino della conversione ovvero del ritorno a Dio incomincia quando rientriamo in noi stessi, nella nostra coscienza, perché Dio parla ininterrottamente al nostro cuore. Invece il cammino inverso dell’allontanamento incomincia quando non vogliamo sentire la nostra coscienza e fuggiamo all’esterno verso le cose che ci circondano. Il figlio minore fa un esame di coscienza e si prepara a confessare al padre il suo peccato. Incomincia così la via del ritorno.
Dice il vangelo: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Il padre raffigura Dio che prova compassione per i figli che ritornano a lui. Egli che scruta i cuori sa bene quante amarezze e tristezze lascia il peccato e quante sofferenze attira su quelli che lo compiono. Per questo viene sempre incontro a noi peccatori e ci abbraccia nel sacramento della confessione, ristabilendoci nella condizione di figli e facendo festa per noi. Infatti non gode della morte del peccatore ma gode quando si converte e vive.
Nel sacramento della confessione Dio ci dona il perdono dei peccati che Gesù, suo Figlio, ci ha guadagnato morendo per noi sula croce. L’apostolo Paolo ricorda nella seconda lettura che Dio ha compiuto sulla croce una permuta: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio». Ha fatto ricadere sul Figlio innocente i nostri peccati, e ha dato a noi peccatori la sua innocenza. Questa permuta si realizza per noi innanzitutto nel battesimo e poi nel sacramento della confessione. E’ una permuta tutta a nostro vantaggio, perché Dio si prende i nostri peccati e ci dona la sua giustizia.
Dalla parabola apprendiamo che anche i vicini, cioè quelli che somigliano al figlio maggiore, hanno bisogno di conversione. Sono quelli che stanno con Dio nella comunità cristiana, ma non hanno impostato bene il loro rapporto con Dio e perciò non vivono da figli ma da servi. Osservano i comandamenti per paura e non per amore, e in fondo pensano che i peccatori si godano la vita. Dalle parole del figlio maggiore al padre viene fuori questo atteggiamento: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Pur essendo vicino a Dio non conosce l’amore di Dio e non ha imparato ad amare come lui. Per questo il ritorno del fratello gli sembra troppo comodo e sbaglia il padre ad accoglierlo. Non si rende conto di quanto sia stato fortunato a non aver sperimentano la lontananza dalla casa paterna. Il padre va incontro sia al figlio che ritorna e sia al figlio che non vuole partecipare alla festa perché si sente trattato male da lui. Dunque tutti e due i figli hanno bisogno di conversione, perché non vivono da persone libere ma da servi. Il figlio che si è allontanato è servo del peccato, quello che sta nella casa è servo della legge. Devono conoscere Dio e devono sperimentare il suo amore, per poterlo amare e vivere da figli liberi e fedeli. Quindi tutti abbiamo bisogno di conversione, perché o ci allontaniamo facendo il male, o stando nella casa tendiamo ad impostare il nostro rapporto con Dio come servi che obbediscono a dei comandi. Invece dobbiamo vivere da figli e dobbiamo curare la nostra relazione con Dio, scoprendo giorno per giorno il suo amore per noi. Dio ci ama e si prende cura di noi, ma non ce ne accorgiamo se non in alcuni momenti, come per esempio, quando trovandoci in difficoltà gli chiediamo aiuto e ci esaudisce, oppure avendo peccato ritorniamo e riceviamo il suo perdono. Ma Dio ci amava anche prima e non ce ne accorgevamo. Per renderci conto dell’amore di Dio che si prende cura di noi costantemente dobbiamo vivere inseriti nella comunità cristiana, usando tutti i mezzi che il Signore ci ha lasciato per vivere in comunione con lui. Quindi leggere e meditare le Scritture che ci insegnano a conoscere la presenza e l’opera di Dio nella nostra vita, curare il nostro rapporto con lui mediante la partecipazione alla messa domenicale e l’adorazione eucaristica, pregare e vivere alla presenza di Dio ogni momento della nostra giornata. Allora sperimentando il suo amore, impariamo ad amare come lui e i suoi comandamenti non saranno un peso ma un’esigenza di vita.
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24 marzo – III domenica di quaresima C
Liturgia della Parola: 1lettura: Es 3,1-8.13-15 – Salmo responsoriale: Sal 102 – 2lettura: 1Cor 10,1-6.10-12 – Vangelo: Lc 13,1-9.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Parola del Signore
Omelia
E’ sempre Dio che prende l’iniziativa di salvarci e la salvezza è opera di Dio al 99,9%. Ma siccome il Signore ci ha creati a sua immagine e somiglianza e ci ha dotati di libertà, non ci impone la salvezza ma fa appello alla nostra libertà. Quindi per essere salvati dobbiamo corrispondere a Dio con una conversione continua.
Abbiamo ascoltato nella prima lettura che Dio si serve di Mosè per liberare il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto e condurlo nella terra promessa. Così si serve di Gesù Cristo suo Figlio per liberarci dalla schiavitù del peccato. In tutta la storia biblica Dio cerca di far capire agli uomini che la radice di ogni male che subiscono è il peccato. Mediante la legge Dio vuole aiutare gli uomini a prendere coscienza del peccato. Solo Gesù opera la liberazione dal peccato con la sua morte di croce. La liberazione che Gesù ci ha guadagnato morendo sulla croce diventa la nostra liberazione nel battesimo. Nel battesimo noi siamo passati dalla schiavitù del peccato e della morte alla libertà dei figli di Dio. La nostra vita sulla terra somiglia a quella degli israeliti usciti dall’Egitto. Essi erano in cammino verso la terra promessa, noi siamo in cammino verso il paradiso. L’apostolo ci ricorda per ammonirci che la maggior parte degli israeliti usciti dall’Egitto non entrarono nella terra promessa, perché si ribellarono a Dio nel cammino verso la terra promessa: «Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono».
Abbiamo dunque bisogno di una conversione continua. Fino a quando siamo su questa terra abbiamo sempre la possibilità di convertirci, cioè di ritornare al Signore da cui ci allontaniamo con i peccati. Dopo la morte non possiamo più cambiare le nostre decisioni e i nostri comportamenti. Gesù prende spunto da alcune tragedie del tempo per esortarci alla conversione. Quegli uomini periti tragicamente non erano più peccatori di altri, tuttavia essendo stati colti dalla morte all’improvviso non ebbero il tempo di convertirsi. Da qui il monito di Gesù: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Se rimandiamo la conversione e la morte ci coglie all’improvviso, moriamo nei nostri peccati come successe a quella gente. La vera tragedia non è la morte violenta ma la morte nei peccati.
Gesù illustra il suo pensiero con la parabola del fico sterile che il padrone vuole far tagliare perché sfrutta il terreno e non porta frutti. Noi somigliamo al fico sterile quando non corrispondiamo a Dio che ci offre la salvezza e viviamo nel peccato. Il vignaiolo suggerisce al padrone di aspettare ancora e di permettergli di fare altri tentativi per rendere fecondo l’albero: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire, se no, lo taglierai». La parabola non dice qual è la decisione finale del padrone, lasciando aperte entrambe le opzioni. Conoscendo il Signore in cui la misericordia prevale sempre sulla giustizia, poiché è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore, possiamo dedurre che ha dato un’altra possibilità al peccatore raffigurato dall’albero sterile. Ma l’attesa del Signore non durerà per sempre come non durerà per sempre la vita sulla terra. La morte toglie ogni possibilità di conversione. Allora non perdiamo tempo a convertirci, ritorniamo al Signore che largamente perdona.
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11 marzo – II domenica di quaresima C
Liturgia della Parola: 1lettura: Gen 15,5-12.17-18 – Salmo responsoriale: Sal 26 – 2lettura: Fil 3,17-4,1 – Vangelo: Lc 9,28-36.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Parola del Signore
Omelia
Nel racconto della Trasfigurazione bisogna comprendere che cosa significa che il volto di Gesù cambiò d’aspetto e a cosa si riferisce in particolare il comando del Padre ai discepoli: «Ascoltatelo». Ma prima di spiegare questo dobbiamo vedere che cosa era avvenuto alcuni giorni prima della Trasfigurazione. Gesù per la prima volta aveva parlato ai discepoli della sua croce: «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». I discepoli non comprendono e non accettano il discorso di Gesù sulla sofferenza. Così Pietro, che è il portavoce degli altri, prende Gesù in disparte e si mette a rimproverarlo, perché non deve parlare di sofferenza. Gesù allora si volge a Pietro dicendogli: «Va dietro a me satana, perché non ragioni secondo Dio ma secondo gli uomini». Gesù dice a Pietro che deve stare al posto suo di discepolo, e non deve sostituirsi al maestro, perché volendo fare il maestro è diventato inconsapevolmente strumento di satana.
A questo punto Gesù rincara la dose e chiede ai discepoli di seguirlo sulla via della croce: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».
Gesù ha capito che i discepoli non accettano la sua croce e tanto meno accetteranno la propria, perché ancora ragionano secondo gli uomini e non secondo Dio. Secondo gli uomini la croce è un fallimento e una sconfitta, secondo Dio è potenza e vittoria. Per aiutare i discepoli ad accettare la croce, Gesù prende con sé i tre discepoli più autorevoli e li porta in un luogo solitario dove sperimentano la sua trasfigurazione.
Nella trasfigurazione i discepoli vedono la gloria divina che risplende nell’umanità di Gesù, simile alla nostra. La gloria divina che appartiene a Gesù in quanto Figlio di Dio è nascosta sotto le sue sembianze umane. Nella trasfigurazione i discepoli contemplano questa gloria nella natura umana di Gesù. Vedono quella gloria che sarà l’oggetto della visione del paradiso e la fonte della felicità eterna. Per questo Pietro e gli altri vorrebbero fermarsi lì per sempre. Con la trasfigurazione Gesù vuole preparare i discepoli ad accettare la sua croce, quando lo avrebbero visto «senza apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima».
La voce del Padre: «Ascoltatelo!» ci richiama al discorso della croce, perché solo passando attraverso la croce Gesù entrerà nella gloria divina con la natura umana, e noi con lui se lo seguiremo sulla via della croce.
Ma perché Gesù deve passare attraverso la croce?
Se noi fossimo perfetti e vivessimo in un mondo perfetto non ci sarebbe la croce. Ma siamo segnati dal peccato e portiamo in noi stessi le conseguenze del peccato. La croce di Cristo è importante non per la sofferenza ma per l’amore con cui Gesù l’ha accettata. La croce è la via dell’amore perfetto, anche quando costa sofferenza e la stessa vita. Non si comprende la croce se non si comprende la natura di Dio. Dio è amore e per questo si rivela pienamente nella morte di croce di Gesù Cristo, che ci ha amato sino a soffrire e morire per noi. Così se vogliamo essere discepoli di Gesù e raggiungerlo nella gloria del paradiso dobbiamo seguirlo sulla via della croce. La croce è tutto ciò che provoca sofferenza e non possiamo scansarlo senza mancare di amore. Se sono ammalato e mi posso curare, devo farlo subito. Se c’è una persona che mi provoca sofferenza, devo evitarla. Ma se mio padre e mia padre mi fanno soffrire, non posso scaricarli perché sono i miei genitori. Se mia moglie diventa un tormento, non posso mollarla perché è mia moglie. La stessa cosa vale se mio marito diventa un peso. Se mio figlio è malato, non posso scaricarlo. In tutte queste occasioni il Signore ci chiede un amore più grande che costa pazienza e sacrificio. Un amore più grande che non possediamo da noi stessi, ma possiamo ricevere attingendolo dalla grazia di Dio.
Per prepararci ad accettare la nostra croce, il Signore ci fa fare tante esperienze di trasfigurazione, che possiamo riconoscere mediante la fede. Ci sarà capitato almeno una volta di chiedere qualcosa al Signore e di essere esauditi. In quel momento abbiamo capito che lui c’è e si prende cura di noi. Molte persone raccontano di aver sperimentato una grande pace dopo una buona confessione. Qualche volta stando davanti a Gesù sacramentato abbiamo sperimentato un benessere e una serenità indescrivibili e come Pietro volevamo fermarci lì. Le opere di misericordia che ci ha consigliato Gesù, quando le compiamo, lasciano sempre pace e gioia nel nostro animo. Sono tutte esperienze di trasfigurazione in cui Gesù ci fa pregustare qualcosa della gloria divina. Con la trasfigurazione il Signore ci vuole dire che l’ultima parola non è quella della croce ma della gloria. Ce lo ricorda l’apostolo nella seconda lettura: «La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso». Intanto mentre siamo in cammino sulla terra, dobbiamo avere fede nel Signore come Abramo, il quale «credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia», dobbiamo confidare nel Signore come l’uomo che parla nel Salmo, sapendo dalla storia biblica che il Signore è fedele alle sue promesse.
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4 marzo – I domenica di quaresima C
Liturgia della Parola: 1lettura: Dt 26,-10 – Salmo responsoriale: Sal 90 – 2lettura: Rm 10,8-13 – Vangelo: Lc 4,1-13.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
Parola del Signore
Omelia
Noi siamo figli di Dio. Siamo diventati figli di Dio nel battesimo, ricevendo in dono lo Spirito Santo di cui era ricolmo Gesù. Siamo stati educati nella fede dai nostri genitori e dalla comunità cristiana. Tante volte abbiamo fatto la professione di fede in Dio e la faremo anche fra poco al termine di questa omelia.
Nella prima e nella seconda lettura vengono riportare rispettivamente la professione di fede degli israeliti e la confessione di fede dei primi cristiani. Gli israeliti credevano nel Dio dei padri, che li aveva liberati dalla schiavitù d’Egitto e condotti nella terra promessa. Noi crediamo nello stesso Dio che si è rivelato in Gesù Cristo e lo ha risuscitato dai morti. Noi, come ho detto, recitiamo il credo tante volte ma non ne tiriamo le conseguenze pratiche. Così non viviamo da figli di Dio ma alla maniera di quelli che non credono. C’è in noi una dissociazione, perché diciamo di credere, facciamo la professione di fede con la bocca, ma poi nella vita pratica seguiamo la mentalità del mondo. Per dirla con Gesù viviamo servendo due padroni.
Perché succede questo? La risposta ci viene dal vangelo di oggi. Siccome non siamo convinti nella fede, il demonio ci tenta e ci porta a seguire il mondo. Il demonio ci tenta facendo leva sui tre punti deboli della nostra natura umana: la sensibilità al piacere, al possesso o potere e al successo. Il suo obiettivo è quello di distaccarci da Dio e di distrarci dal suo progetto di salvezza. Gesù che è venuto a condividere la nostra condizione umana per salvarci, ha voluto sottoporsi alle tentazioni del diavolo per insegnarci a vincerle.
Gesù ha digiunato quaranta giorni ed ha fame. Allora il demonio gli suggerisce di usare il suo potere divino per procurarsi il cibo. Se Gesù avesse fatto questo, non avrebbe condiviso veramente la nostra condizione umana. Inoltre, poiché si è fatto per noi esempio, ci avrebbe fatto capire che per soddisfare i bisogni e i piaceri corporali bisogna fare qualsiasi cosa. Il demonio infatti vorrebbe farci credere che noi siamo solo corpo e la nostra vita è tutta qui sulla terra. Quindi se vogliamo essere felici dobbiamo soddisfare sempre e comunque i piaceri corporali, nel lecito e nell’illecito. Agostino di Ippona che aveva cercato la felicità nel soddisfacimento dei piaceri del corpo, in seguito nelle Confessioni dirà parlando con Dio: «Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te». Chi pensa di raggiungere la felicità, soddisfacendo i piaceri del corpo, non sarà mai appagato. Gesù risponde, citando la Scrittura: «Non di solo pane vivrà l’uomo». Vi ricordate? Alle folle, che lo cercano dopo la moltiplicazione dei pani per averne ancora, Gesù risponde: «Procuratevi non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna». Non siamo solo corpo, abbiamo un’anima immortale che brama la comunione con Dio. Per trovare pace abbiamo bisogno di nutrirci della parola di Dio con cui Dio entra in relazione con noi.
Il demonio, allora, offre a Gesù il possesso dei beni terreni e il potere sugli altri uomini, a condizione che lo adori. Il demonio ci vuole far credere che la nostra vita dipende dai beni che possediamo. I soldi e gli altri beni ci offrono tante possibilità ma non dobbiamo assolutizzarli. Se uno pensasse che accumulando beni e denaro, avrà una vita sicura e tranquilla, si sta ingannando. Non solo, ma sta facendo dei beni e del denaro un idolo. Dietro gli idoli c’è sempre il demonio. Gli idoli sono le maschere con cui il demonio si presenta per ingannarci. Non ci mette mai la faccia, perché nessuno lo seguirebbe, ma si mette delle maschere belle e attraenti per ingannarci. Nel vangelo si parla di due fratelli che bisticciano per l’eredità. Gesù avverte: «Guardatevi da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede». E per spiegarsi meglio Gesù racconta la parabola dell’uomo ricco che aveva accresciuto i suoi beni e discuteva tra sé come dovesse utilizzarli. Incomincia a fare progetti, ma non sa che la morte lo coglierà a breve. Questo ci fa capire che la nostra vita non dipende dai beni che possediamo ma da Dio. Gesù risponde che bisogna mettere solo Dio al primo posto, perché la vita dipende da lui: «Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
Il demonio suggerisce a Gesù di compiere un gesto spettacolare, confidando in Dio, che promette di aiutare chi confida in lui: Gesù deve gettarsi giù dal punto più alto del tempio, tanto non potrà farsi alcun male, perché Dio lo protegge, tutti lo vedranno e crederanno che è il Messia. Il demonio ci tenta a cercare la realizzazione della vita attraverso la via del successo terreno e ci istiga a pretendere che Dio realizzi i nostri desideri di successo. In questo modo non ci fidiamo più di Dio che ha fatto su di noi un progetto di salvezza e lo realizza giorno per giorno. La riuscita della vita non coincide con il successo ma con la volontà di Dio. Gesù muore sulla croce, che sembra una sconfitta e un fallimento, e invece è la più grande vittoria. Questo ci fa capire che l’apparenza inganna. Il demonio gioca molto sull’apparenza, invece Dio ci insegna a seguire la realtà. Gesù risponde che non bisogna mettere alla prova Dio: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Dobbiamo fidarci di Dio come il bambino si fida dei suoi genitori.
Da Gesù impariamo come possiamo vincere il demonio. Gesù si ritira nel deserto. Abbiamo bisogno ogni giorno di avere momenti di deserto anche brevi in cui ravviviamo la nostra attenzione alla presenza di Dio.
Gesù risponde ai suggerimenti del demonio citando la Scrittura. Abbiamo bisogno di nutrirci della parola di Dio, per assimilare nel cuore la fede che proclamiamo con la bocca. Solo quando la fede lievita i nostri pensieri, allora ci motiva ad agire secondo la volontà di Dio. Gesù digiuna per quaranta giorni, esercitandosi a dominare le cattive inclinazioni. Abbiamo bisogno di opporci alle nostre cattive abitudini, facendo azioni contrarie. Allora lo Spirito Santo di Dio che è in noi non troverà resistenza e ci guiderà come ha fatto con Gesù a dire di no al demonio per vivere liberi e fedeli con Dio.