17 novembre 2019 – XXXIII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Ml 3,19-20 – Salmo responsoriale: Sal 97 – 2lettura: 2Ts 3,7-12- Vangelo: Lc 21,5-19.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
Parola del Signore
Omelia
Gesù preannuncia la futura distruzione del tempio di Gerusalemme. Quelli che lo ascoltano vogliono sapere da lui quando accadrà questo avvenimento e quali saranno i segni storici che lo anticiperanno. Nella mente degli interlocutori di Gesù la distruzione del tempio coinciderà con la fine del mondo e con l’avvento del regno di Dio. Gesù non risponde mai quando gli fanno domande che mirano a soddisfare la curiosità e non giovano alla salvezza. Mette subito in chiaro che la fine del mondo non è imminente, e si sofferma a parlare di quello che accadrà in questo tempo che precede la fine del mondo, insegnando come dobbiamo comportarci.
Compariranno molti falsi profeti: «Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”». I falsi profeti per farsi accogliere si presentano come inviati di Gesù, ma, poiché sono falsi, non parlano a nome suo. Infatti non sono guidati dallo Spirito Santo ma dallo spirito del mondo, che è il demonio. Per distinguere un vero da un falso profeta, dobbiamo confrontare le sue parole e i suoi comportamenti con quelli di Gesù. Se è fedele a Gesù Cristo, è un vero profeta, se non è fedele, allora non è un vero profeta. Gesù, dunque, ci mette in guardia dai falsi profeti o falsi maestri che, per poterci ingannare dovranno per forza di cose lavorare dall’interno della chiesa: «Badate di non lasciarvi ingannare…Non andate dietro a loro!».
L’altra cosa a cui noi discepoli dobbiamo prepararci è la persecuzione: «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno». Il demonio prima cerca di sedurci con i cattivi esempi del mondo oppure con i falsi profeti. Quando vede che non cadiamo nella rete dei suoi inganni, passa ad usare la persecuzione, che assume forme diverse e sempre più aggressive: derisione, discriminazione, emarginazione, discredito, calunnia, violenza fisica, prigione, uccisione. Il demonio si accanisce contro di noi, al punto da suscitarci la persecuzione anche da parte di quelle persone da cui meno ce l’aspetteremmo, come sono i genitori, i fratelli e gli amici. Mentre siamo qui radunati a celebrare la santa messa, molti nostri fratelli in qualche parte del mondo stanno subendo qualcuna di queste aggressioni. Preghiamo per loro. Gesù ci assicura che è con noi, e non dobbiamo preoccuparci eccessivamente a pensare quali strategie mettere in atto per uscirne, perché, affidandoci a lui, qualunque sarà l’esito per noi, sarà quello giusto. Anche se l’esito dovesse essere la morte, Gesù ci assicura: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto». Con questo vuole dire che non ci lascerà in balia della morte ma ci darà la vita eterna e ci risusciterà nell’ultimo giorno.
Se il mondo ci perseguita è perché ha perseguitato lui, e rifiuta la sua regalità che noi riconosciamo e annunciamo. Noi cristiani sappiamo, come le persone che parlano nel Salmo, che il Signore regna e non gli sfuggono di mano le persecuzioni contro di noi. Il Signore le permette perché sono occasioni per rendergli testimonianza: «Avrete allora occasione di dare testimonianza». Quando il Signore verrà alla fine del mondo, allora la sua regalità sarà nota a tutti, anche a quelli che non hanno creduto in lui e lo hanno combattuto, perseguitando i suoi discepoli.
Nella prima lettura il Signore annuncia il giorno della sua venuta nella gloria, che sarà giorno rovente come un forno per i malvagi, che hanno rifiutato la sua salvezza e non si sono convertiti, e giorno radioso di luce per tutti quelli che lo temono. In attesa della venuta del Signore nella gloria, come dice l’apostolo nella seconda lettura, dobbiamo guadagnarci il pane quotidiano lavorando con tranquillità, evitando l’ozio che è nemico dell’anima, e dobbiamo perseverare nella fedeltà al Signore, che ci ha promesso: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
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10 novembre 2019 – XXXII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: 2Mac 7,1-2.9-14 – Salmo responsoriale: Sal 16 – 2lettura: 2Ts 2,16-3,5 – Vangelo: Lc 20,27-38.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Parola del Signore.
Omelia
Il messaggio che Gesù ci vuole dare in questo passo del vangelo è che se crediamo in Dio non possiamo non credere nella risurrezione dei morti e in un’altra vita oltre la morte. Infatti «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». E’ molto importante ascoltare da Gesù queste parole proprio nel mese di novembre, che si è aperto con la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. I nostri cari che hanno creduto e sperato in Gesù, il Figlio di Dio, non sono finiti nel nulla, ma sono entrati definitivamente nella vita eterna. Purtroppo non tutti quelli che dicono di credere in Dio, sono propensi a credere e sperare in una vita oltre la morte e nella risurrezione della carne. Al tempo di Gesù c’erano i Sadducei che dicevano di credere in Dio ma non credevano nella risurrezione. Negavano la risurrezione per due motivi, innanzitutto perché non se ne parla nei primi cinque libri della Bibbia, che loro consideravano gli unici ispirati da Dio, e poi perché, ammettendo una vita oltre la morte, sorgevano delle difficoltà, come quella che presentano a Gesù: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù risponde correggendo l’idea della vita futura che non sarà un prolungamento di questa vita terrena. Nel mondo futuro, non essendoci più la morte che minaccia l’esistenza della specie umana, non ci sarà più bisogno del matrimonio: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio». Tutti i legami di questa vita terrena nell’altra vita saranno sublimati nell’unico legame di figli di Dio, cioè con Dio come figli e tra di noi come fratelli e sorelle. Poi dimostra ai Sadducei che anche in quei testi che loro accettavano come rivelazione di Dio si parla implicitamente della risurrezione e di una vita oltre la morte. Gesù cita l’episodio del roveto ardente, dove Dio parlando a Mosè si presenta come «il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe». Se Dio si presenta come il Dio degli antenati, vissuti diversi secoli prima, questo vuol dire che gli antenati stanno vivendo una vita oltre la morte, perché Dio non è dei morti ma dei viventi.
Credere e sperare nella risurrezione e in una vita oltre la morte ha delle ricadute sulla vita presente, come leggiamo nella prima lettura. I sette fratelli preferiscono farsi uccidere piuttosto che disobbedire alla legge di Dio, anche in cose di poco conto, come era il divieto di cibarsi di carni suine. Il quarto fratello dice espressamente: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati». Questi fratelli dimostrano di temere più Dio che gli uomini, perché credono nella sua parola, che accolgono come è veramente quale parola di Dio, e sperano nelle sue promesse. Anche i martiri cristiani hanno preferito la morte piuttosto che rinnegare Gesù, perché credevano con convinzione che era il Figlio di Dio, e speravano fermamente nelle sue promesse: «Chi crede in me ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Oggi noi cristiani professiamo la fede liberamente, nessuno ci impedisce di osservare i comandamenti di Dio o di venire a messa la domenica, come successe ai martiri scillitani. Perché molti tra di noi trascurano i comandamenti di Dio e disertano l’appuntamento domenicale con Gesù e i fratelli? Il motivo di ciò va ricercato in un affievolimento della fede e della speranza cristiane. La fede si nutre della parola di Dio, la speranza delle sue promesse. La mentalità del mondo, in modo subdolo, come un tarlo ha corroso dall’interno dei nostri cuori la fede e la speranza. Da ciò deriva che non prendiamo sul serio i comandamenti di Dio. Ho sentito alcuni, che si dicevano cristiani, e giustificavano la loro assenza dalla messa domenicale, dicendo: il Signore mi perdona. Quei sette fratelli, sebbene si trattasse di una materia di poco conto come era la proibizione della carne suina, pur di obbedire a Dio hanno preferito morire, e noi, riguardo alla messa domenicale, che fa parte dei dieci comandamenti ed è quindi materia grave, diciamo a noi stessi: il Signore mi perdona? Questo rivela che non prendiamo sul serio la sua parola, e quindi la nostra fede si è illanguidita, e non ci curiamo delle sue promesse, perché la nostra speranza è tutta rivolta a questo orizzonte terreno.
Che cosa dobbiamo fare per uscire da questa crisi? Nella seconda lettura l’apostolo chiede ai destinatari: «Pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata». Preghiamo perché la parola di Dio corra sulla bocca dei predicatori del vangelo, che l’annuncino con franchezza e le rendano gloria vivendola in prima persona. Preghiamo perché la parola del Signore corra, nutrendo sempre più i nostri pensieri e i nostri propositi, e venga glorificata da noi, mettendola in pratica. Il Salmista chiede a Dio: «Tieni saldi i miei passi sulle tue vie», e «Custodiscimi come pupilla degli occhi». Chiediamo al Signore che ci doni la forza di perseverare nelle sue vie, custodendoci dal maligno, che, servendosi dei ragionamenti e degli esempi cattivi del mondo, vuole farci deviare.
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3 novembre 2019 – XXXI domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Sap 11,22-12,2 – Salmo responsoriale: Sal 144 – 2lettura: 2Ts 1,11-2,2- Vangelo: Lc 19,1-10.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Parola del Signore
Omelia
Fino a quando siamo sulla terra non dobbiamo considerare nessuno perduto definitivamente, come ci mostra l’incontro di Gesù con Zaccheo e con molti altri peccatori, che la gente invece considerava perduti. Per bocca del profeta Ezechiele Dio afferma: «Io non godo della morte del peccatore ma piuttosto che si converta e viva». I vangeli ci mostrano Gesù che sta insieme ai pubblicani e ai peccatori. E ai benpensanti che lo criticavano per questo Gesù risponde: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati. Io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori a convertirsi».
La ricerca dei peccatori da parte di Gesù rivela la ricerca di Dio Padre, il quale non vuole che qualcuno dei suoi figli vada perduto. Dio Padre infatti è «Misericordioso e pietoso…/ lento all’ira e grande nell’amore./ Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature». Per questo ricerca i peccatori che si sono allontanati da lui e si fanno tanto male, correggendoli a poco a poco, come diceva la prima lettura. E’ una correzione che Dio compie all’interno della coscienza con il ricordo e il rimorso dei peccati e all’esterno con le conseguenze negative dei peccati. La correzione di Dio mira a condurre il peccatore alla conversione, cioè all’incontro con il Figlio suo Gesù. E’ quello che è successo a Zaccheo. All’apparenza è Zaccheo che prende l’iniziativa di cercare Gesù, ma in realtà è Dio che lo sta spingendo alla ricerca del Figlio. E quando si trova davanti a Gesù scopre con sorpresa che Gesù lo conosce per nome e lo sta cercando: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua!». Gesù si rivolge a Zaccheo come ad uno che già conosce e perciò gli dice che deve fermarsi a casa sua. Zaccheo accolse subito Gesù con grande gioia. E’ la gioia che sperimentiamo stando con Dio. Nell’incontro con Gesù Zaccheo si converte sinceramente e compie frutti di conversione, condividendo la metà dei suoi beni con i poveri e restituendo al quadruplo quello che aveva frodato. Compie un’opera di carità e un’opera di giustizia. Dal vangelo di oggi dunque apprendiamo che Dio va alla ricerca dei peccatori e li spinge verso Gesù. E anche Gesù durante la sua missione terrena andava incontro a loro. Ora che Gesù è asceso al cielo ha affidato a noi suoi discepoli il compito di continuare la sua missione e quindi di andare alla ricerca dei peccatori. Certo, non tutti i peccatori si aprano all’azione di Dio e si convertono. Siccome non conosciamo qual è lo stato della coscienza delle persone, dobbiamo andare incontro a tutti. Anche a quelli che, incontrati già da noi, hanno manifestato disinteresse per Gesù Cristo. Infatti chi ieri era chiuso alla grazia di Dio, oggi potrebbe essere disponibile. Dobbiamo andare incontro ai peccatori, compiendo verso di loro un grande atto d’amore, cioè di condurli a Gesù perché condividano con noi il suo perdono e la sua gioia.
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27 ottobre 2019 – XXX domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Gen 18,1-10 – Salmo responsoriale: Sal 14 – 2lettura: Col 1,24-28 – Vangelo: Lc 18,9-14.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Parola del Signore
Omelia
Mediante questa parabola evangelica ci viene ricordato che non possiamo diventare giusti con le nostre forze ma solo con l’aiuto di Dio.
Il fariseo è convinto di essere giusto, solo perché riesce ad osservare alcuni comandamenti. Nella preghiera dice a Dio che non ruba e non commette adulterio, e osserva alcune pratiche religiose, come il digiuno e la paga della decima. Ma i comandamenti non sono solo questi, ce ne sono altri otto. Non basta non rubare e non commettere adulterio, bisogna osservare anche gli altri, come non avrai altro Dio all’infuori di me, non nominare il nome di Dio invano, ricordati di santificare le feste, onora il padre e la madre, e via dicendo. E poi non è sufficiente evitare il male, bisogna impegnarsi a compiere il bene. Il ricco epulone dell’altra parabola, non era né ladro, né adultero, né si era arricchito frodando, tuttavia andò a finire all’inferno perché visse da egoista e non si prese cura del povero Lazzaro che stava davanti alla sua casa. I farisei, come sappiamo dal vangelo, erano attaccati al denaro e vivevano da egoisti. Infatti quando Gesù parlava di condividere i beni con i poveri, i farisei lo deridevano. Questo fariseo poi è corrotto dalla superbia, perché pensa di essere giusto e si erge a giudicare il prossimo: «Non sono come gli altri uomini… e nemmeno come questo pubblicano».
E’ vero, con le labbra ringrazia Dio, ma nel suo cuore ha l’intima presunzione di essere giusto con le proprie forze. Ed è talmente convinto di ciò che nemmeno sente il bisogno di chiedere perdono a Dio dei propri peccati. Anche oggi ci sono alcuni che ragionano come questo fariseo. Quando qualcuno si dice cristiano ma poi sostiene che non è necessario partecipare alla messa domenicale e farsi la comunione e non è necessario confessarsi, poiché basta osservare i comandamenti e compiere le opere buone, non sta affermando implicitamente che può diventare giusto con le proprie forze, senza bisogno della grazia di Dio, oppure che lo è già diventato? Quando poi gli chiedi quali sono i comandamenti che osserva e le opere buone che compie, ti fa un elenco come il fariseo, che però è incompleto, perché non parla di tutti i comandamenti e di tutto il bene che dovrebbe fare. Quelli che dicono di poter osservare i comandamenti e diventare giusti con le proprie forze, è come se dicessero che Gesù Cristo è morto inutilmente. Il pubblicano al contrario si riconosce peccatore e con una preghiera brevissima ma sincera si affida alla misericordia di Dio: «O Dio, abbi pietà di me peccatore!».
Gesù, il Figlio di Dio, ci rivela qual è la risposta di Dio a questi due uomini che lo pregano: il pubblicano viene giustificato, il fariseo no. Gesù ci dice anche il motivo di questo comportamento di Dio. Il pubblicano viene giustificato, viene cioè perdonato e reso giusto da peccatore quale era, perché si è umiliato davanti a Dio, cioè ha riconosciuto che era un peccatore bisognoso del suo perdono e del suo aiuto, il fariseo invece, che si esalta con superbia, viene lasciato nei suoi peccati che non vuole riconoscere. La giustizia dunque non è una conquista dell’uomo ma un dono di Dio. Non possiamo raggiungere la vera giustizia con le nostre forze, come pensava il fariseo, ma solo affidandoci alla grazia di Dio, come ha fatto il pubblicano. Se potessimo raggiungere la giustizia da noi stessi, non ci sarebbe stato bisogno dell’incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù. Ora invece la giustizia e la salvezza sono un dono di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Consapevoli di ciò dobbiamo avere un cuore come quello del pubblicano e dell’orante che parla nel salmo, un cuore povero. Nella bibbia si parla spesso dei poveri del Signore, che sono umili e confidano in lui. Gesù proclama beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Dobbiamo ogni giorno pregare Dio con cuore povero, chiedendogli la grazia che ci rende giusti e ci salva, e chiedendogli di farla fruttificare nella nostra vita, poiché: «La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità».
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20 ottobre 2019 – XXIX domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Es 17,8-13 – Salmo responsoriale: Sal 120 – 2lettura: 2Tm 3,14-4,2 – Vangelo: Lc 18,1-8.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Parola del Signore
Omelia
Questo brano del vangelo incomincia con l’insegnamento di Gesù sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai e termina con la domanda di Gesù: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
La preghiera e la fede sono strettamente congiunte, come due figlie di un’unica madre, la parola di Dio. L’apostolo infatti nella seconda lettura parla della parola di Dio contenuta nella Bibbia dicendo: «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia». La giustizia è la volontà di Dio, che deve alimentare la fede e la preghiera. Quello che ascoltiamo dalla parola di Dio lo dobbiamo fare nostro con la preghiera, desiderando che si realizzi nella nostra vita, proprio come ha fatto la Madonna rispondendo all’Angelo, che le aveva appena annunciato la parola di Dio: «Avvenga per me secondo la tua parola». La preghiera autentica non è chiedere a Dio qualsiasi cosa ma che la sua volontà si realizzi nella nostra vita momento per momento. Dio ci ha creati liberi e non ci vuole imporre la sua volontà. Mediante la preghiera accogliamo la volontà di Dio nella nostra vita. Quindi la preghiera dunque nella sua essenza, come dicono i Padri, è il desiderio del cuore che assimila la volontà di Dio e permette alla fede di diventare vita quotidiana.
Dopo aver compreso che cos’è la preghiera comprendiamo pure che vuol dire Gesù sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai e in che modo dobbiamo imitare la vedova importuna. Questa vedova ottiene giustizia da un giudice iniquo, perché vuole togliersela dai piedi. A maggior ragione Dio, che è buono e giusto, farà giustizia ai suoi eletti che gridano a lui giorno e notte. Gli eletti sono quelli che corrispondono alla chiamata di Dio. Gesù in un altro passo dice che «molti sono chiamati ma pochi eletti», per dire che siamo chiamati tutti, ma non tutti corrispondiamo alla sua chiamata. La corrispondenza avviene innanzitutto con la preghiera, cioè desiderando stare con Dio e fare la sua volontà. Questo desiderio in noi deve essere continuo, anche quando lavoriamo, mangiamo e dormiamo. Se facciamo così, imitiamo la vedova importuna e apparteniamo al novero degli eletti che gridano a Dio giorno e notte. Quindi la preghiera incessante non è un parlare continuo, ma un desiderio perseverante, come un fuoco sempre acceso. Se la preghiera si identificasse con le parole, Gesù non ci avrebbe detto in un altro passo: «Quando pregate non sprecate le parole come i pagani, i quali credono di essere esauditi a forza di parlare». La preghiera è il desiderio di Dio e della sua volontà su di noi. Siccome però questo desiderio tra i mille impegni quotidiani tende a intiepidirsi e potrebbe spegnersi del tutto, per evitare che accada ciò, in alcuni momenti ci aiutiamo anche con le parole. Le parole o le preghiere sono per la preghiera come la legna per il fuoco.
Nella prima lettura e nel Salmo vediamo quali sono alcuni effetti della preghiera.
Nella prima lettura Giosuè con il suo esercito riesce a sconfiggere Amalèk grazie alla preghiera continua di Mosè, aiutato da Aronne e Cur. Amalèk che attacca Israele in cammino verso la terra promessa e vorrebbe impedirgli di proseguire, secondo i Padri della Chiesa, raffigura il demonio che vuole impedirci di proseguire il cammino verso il cielo. Il demonio si serve per farci guerra della nostra debolezza e del mondo, con i suoi modi di pensare e di vivere sbagliati. Per vincere il demonio che ci fa guerra dobbiamo pregare come Mosè e se non ce la facciamo da soli, chiediamo ad altri di pregare per noi. Facciamoci aiutare nella preghiera. La preghiera perseverante ottiene la vittoria sul demonio.
Nel Salmo l’uomo che parla mediante la preghiera prende consapevolezza della vicinanza di Dio. Sappiamo bene che Dio è con noi e noi siamo alla sua presenza, ma spesso, poiché Dio non si vede, ce ne dimentichiamo. La preghiera ci fa vivere nella consapevolezza della presenza di Dio, che si prende cura di noi. Gesù nel vangelo dice che Dio farà giustizia ai suoi eletti, nel senso che li esaudirà e li ricompenserà per la loro fede, speranza e carità. Allora non stanchiamoci di pregare e saremo ricompensati da Dio già qui sulla terra e in modo pieno alla venuta del Signore Gesù, che realizzerà per noi quello che abbiamo creduto e sperato.
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13 ottobre 2019 – XXVIII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: 2Re 5,14-17 – Salmo responsoriale: Sal 97 – 2lettura: 2Tm 2,8-13 – Vangelo: Lc 17,11-19.
Dal Vangelo secondo Luca
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Parola del Signore
Omelia
Questi dieci lebbrosi si fermano a distanza perché così stabiliva per loro la legge di Mosè e gridano: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Hanno sicuramente sentito parlare di Gesù come un rabbì che fa miracoli e quindi gli chiedono la guarigione dalla loro terribile malattia. Gesù risponde chiedendo un atto di fiducia nel suo potere di guaritore: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». I lebbrosi sapevano bene che dovevano presentarsi ai sacerdoti solo nel caso in cui fossero guariti. Con il suo comando Gesù è come se stesse dicendo: andate dai sacerdoti perché prima di arrivare da loro sarete guariti. I lebbrosi eseguono il comando di Gesù e sono guariti: «E mentre essi andavano, furono purificati». Ma solo uno di loro comprende che la parola di Gesù è parola di Dio, perché è capace di realizzare quello che dice. Per questo ritorna, lodando Dio e ringraziando Gesù: «Vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano».
E in questo secondo incontro riceve da Gesù la vera guarigione che lui è venuto a portare: la salvezza, che consiste nella liberazione dal peccato e nella comunione con Dio. Questo è stato possibile perché la sua iniziale fiducia umana in Gesù è diventata fede: «La tua fede ti ha salvato!». Mentre gli altri nove lebbrosi sono stati solamente guariti dalla lebbra, questo samaritano è stato anche salvato, cioè è entrato in comunione di vita con Dio. Tutti e dieci hanno sperimentato la guarigione, ma solo uno di loro ha saputo vedere in questo la potenza di Dio, che opera per mezzo di Gesù Cristo.
Gesù nella sua vita terrena si è rivolto principalmente ai Giudei, perché le promesse fatte ai Padri, Abramo, Isacco, Giacobbe, riguardavano la loro discendenza. Ma qua e là ha avuto modo di venire pure in contatto con stranieri, come il centurione, la donna cananea e questo samaritano. Mentre i Giudei nell’insieme si mostrano scettici nei riguardi di Gesù, i pochi pagani che lo incontrano sono ben disposti nei suoi riguardi con una grande fede. L’atteggiamento di chiusura dei Giudei e di disponibilità dei pagani preannuncia quello che sarebbe accaduto alla fine, e cioè il rifiuto di Gesù da parte dei Giudei con la condanna a morte e la conversione in massa dei pagani mediante la predicazione della chiesa.
Questo fatto era stato preannunciato già nella storia dell’Antico Testamento attraverso alcuni episodi e mediante delle profezie. Abbiamo ascoltato nella prima lettura come la guarigione di Naaman, il siro, dalla lebbra provoca in lui la conversione al Dio d’Israele. Come il samaritano del vangelo anche lui comprende che la parola del profeta, il quale gli ha detto di bagnarsi sette volte nel fiume Giordano, è parola di Dio. Perciò ritorna da Eliseo e confessa la sua fede nel Dio d’Israele: «Ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele». D’ora in poi Naaman«non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore». Nel Salmo si dice che «Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,/agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia». E’ la salvezza realizzata per mezzo di Gesù Cristo predicata a tutti i popoli dalla sua chiesa.
L’incontro di Gesù con gli stranieri preannuncia anche quello che d’ora in poi sarà l’unica cosa necessaria nel rapporto con Dio, la fede nel Figlio suo Gesù Cristo. Gesù Cristo è la parola di Dio, che si è fatto parola umana nelle Scritture e si è fatto uomo, nascendo a Betlemme di Giudea. L’annuncio di Gesù Cristo, parola di Dio, è accompagnato dalla testimonianza di quelle persone che sono state cambiate da lui. Nella seconda lettura Paolo ricorda a Timoteo il contenuto delle fede e la sua testimonianza di perseguitato per la fede in Gesù. Paolo accetta di soffrire per Gesù Cristo risorto, perché è convinto che Gesù è risorto veramente dai morti, e sa che nella misura in cui parteciperà alle sofferenze di Cristo parteciperà anche alla sua gloria. E non teme le persecuzioni da parte di quelli che vorrebbero impedirgli di parlare di Gesù. L’annuncio evangelico e la vita di Paolo sono diventati un tutt’uno. In Paolo non parla di Gesù Cristo solo la bocca ma anche la vita incatenata per lui. Se la vita di Paolo è incatenata per Gesù, parola di Dio fattasi uomo, la parola di Dio non è incatenata, nel senso che nessun uomo, nessun creatura può impedirle di operare e di agire. Uno dei paradossi cristiani è che quando i credenti sono deboli a causa di discriminazioni, emarginazioni e persecuzioni, e quindi sono impediti di annunciare il vangelo, proprio allora la parola di Dio opera con più efficacia nei cuori degli uomini. Questo succede per due motivi: primo perché la convinzione con cui i cristiani accettano le prove, senza rinunciare alla propria fede, fa molta presa sugli estranei, e poi perché, partecipando più intensamente alla croce di Cristo con la loro vita, diventano una ripresentazione di Gesù crocifisso, che ha detto di attirare dalla croce tutti a sé.
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6 ottobre 2019 – XXVII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Ab 1,2-3; 2,2-4 – Salmo responsoriale: Sal 94 – 2lettura: 2Tm 1,6-8.13-14 – Vangelo: Lc 17,5-10.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Parola del Signore
Omelia
Nelle ultime due domeniche Gesù ci ha raccontato la parabola dell’amministratore disonesto e quella del ricco epulone. Con la prima parabola Gesù ci insegna a usare i beni terreni per farci amici che un giorno ci accoglieranno nei cieli, con la parabola del ricco epulone ci mostra quale sorte attende quelli che tengono le ricchezze solo per sé, senza condividerle con i poveri.
I discepoli dopo aver ascoltato le parole di Gesù si rendono conto che per metterle in pratica c’è bisogno di una grande fede, e perciò gli dicono: «Accresci in noi la fede!». Gesù risponde che non c’è bisogno di una grande fede, ma di una fede autentica, anche se piccola. Mediante la fede riusciamo a fare quello che è umanamente impossibile, perché diventiamo partecipi della potenza di Dio. La fede è un dono di Dio che richiede l’accoglienza da parte dell’uomo. Quindi comporta una parte di Dio, che è quella preponderante, e una parte dell’uomo.
La fede nasce dall’ascolto della parola di Dio, ecco perché il Salmo esortava: «Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore”». Per crescere nella fede dobbiamo nutrirci della parola di Dio, accogliendola con un cuore docile. Il cuore docile è il terreno buono su cui il seme della parola di Dio attecchisce e porta frutto, il cuore indurito è il terreno cattivo dove il seme o non attecchisce affatto o attecchisce senza portare frutto.
La parola di Dio per produrre frutti buoni deve essere compresa in modo corretto, altrimenti non genera una fede autentica ma guasta. Per questo l’apostolo nella seconda lettura esorta Timoteo a custodire il dono della fede, seguendo i suoi insegnamenti e la sua testimonianza di vita. Paolo e gli altri apostoli con la schiera innumerevole dei santi costituiscono i testimoni autentici, in quanto hanno sofferto per Gesù, e hanno trasmesso la sana dottrina, senza adulterarla con la mentalità del mondo.
L’autenticità della fede viene messa in luce dalle prove della vita. Nella prima lettura, il profeta diceva: «Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,/ mentre il giusto vivrà per la sua fede». Nelle difficoltà, chi non ha l’animo retto ed ha una fede superficiale, non radicata nella parola di Dio, soccombe, va in crisi e perde la fede, perché si lascia travolgere dall’apparenza, dove tutto sembra smentire le promesse di Dio. Il giusto invece che ha una fede autentica sa aspettare la salvezza di Dio, non si lascia ingannare dall’apparenza, perché si ricorda di tutte le volte in cui ha sperimentato la vicinanza e l’aiuto di Dio.
Quando, la fede autentica produce frutti buoni, cioè opera per mezzo della carità, allora si presenta un altro pericolo: l’orgoglio. Gesù con l’esempio del servo ci vuol mettere in guardia da questa tentazione, che rovinerebbe tutto il bene fatto.
Nel mondo antico la schiavitù era legalizzata e i servi sapevano bene che per i loro servizi non potevano rivendicare nessuna ricompensa dai loro padroni che erano liberi di ricompensarli o meno. Gesù dunque ci vuole dire che noi dobbiamo avere lo stesso atteggiamento nei riguardi di Dio, quando avremo fatto tutto quello che ci ha comandato. Non dobbiamo inorgoglirci e pretendere la ricompensa di Dio, anche perché senza la sua grazia, non saremmo mai riusciti a compiere la sua volontà. Dio da parte sua, come ci ha rivelato Gesù, non si comporta con noi come un padrone, ma tutt’altro, come un servo. Difatti Gesù ha detto ai discepoli e quindi anche a noi: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve». Dio ci serve prendendosi cura di noi giorno per giorno, e ci comanda di imitarlo, prendendoci cura del prossimo, giorno per giorno. Quando verrà a prenderci, Gesù ha detto che se ci troverà a servire il prossimo, ci farà mettere a tavola e passerà a servirci, completando su di noi la sua opera di amore.
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29 settembre 2019 – XXVI domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Am 6,1.4-7 – Salmo responsoriale: Sal 145 – 2lettura: 1Tm 6,11-16- Vangelo: Lc 16,19-31.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Parola del Signore
Omelia
Il ricco va a finire all’inferno a causa del suo egoismo, che lo aveva corrotto e reso insensibile al povero Lazzaro, il quale stava davanti alla sua porta, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla sua mensa. Non si dice nella parabola che il ricco si era arricchito frodando il prossimo, né che vivesse da dissoluto, ma soltanto che viveva nel lusso e nell’abbondanza, pensando solo a sé stesso. Quando si trova nei tormenti dell’inferno si rende conto di avere sbagliato tutto, ma ormai non c’è possibilità di salvezza. Allora chiede ad Abramo di mandare Lazzaro dai suoi fratelli che conducono sulla terra uno stile di vita come il suo, affinché li ammonisca del pericolo che corrono. Ma Abramo risponde, che non c’è bisogno, perché hanno Mosè e i profeti, cioè la parola di Dio dell’Antico Testamento: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». La fede e la conversione non nascono dai prodigi ma dalla parola di Dio, che ci parla in modo indicibile nella coscienza e poi nelle Scritture. Se siamo aperti a Dio quando ci parla nella coscienza, lo saremo anche quando ci parla nelle Scritture e nella predicazione della sua parola. Se invece siamo chiusi a Dio quando ci parla nella coscienza, non lo prenderemo sul serio quando ci parla nelle Scritture e nella predicazione della chiesa, e non ci convertiremo nemmeno se vedessimo dei prodigi. Si racconta del romanziere francese Emile Zolà, che sollecitato da un amico, si era recato a Lourdes, facendo il proposito di credere in Dio se avesse assistito in quel luogo a qualche miracolo. Per ben due volte Zolà assistette a delle guarigioni miracolose nel santuario di Lourdes, tuttavia non mantenne il suo impegno e non credette. Questo fatto conferma che la fede e la conversione scaturiscono dalla parola di Dio e non dai prodigi, che possono aiutare a credere solo nel caso in cui si è già disponibili a Dio.
Il vangelo ci fa vedere quale sarà la sorte eterna degli egoisti, che pensano solo a sé stessi, e sono insensibili alle necessità dei fratelli, la prima lettura ci fa vedere che gli egoisti già su questa terra subiscono le conseguenze negative del loro comportamento disumano. Infatti il profeta annuncia il castigo dell’esilio ai notabili del regno d’Israele, che pensano a mangiare, bere e divertirsi, e trascurano il loro dovere di prendersi cura della nazione. Alla radice dell’egoismo c’è un atteggiamento di fondo, che è quello di confidare in sé stessi e nei mezzi umani. La Scrittura più volte mette in guardia da questa fiducia in sé stessi, che porta all’ateismo pratico e quindi all’egoismo. L’atteggiamento opposto è quello di confidare in Dio, e solo quando c’è quest’atteggiamento è possibile prendere sul serio la parola di Dio. Allora se non vogliamo fare la fine del ricco, dobbiamo confidare in Dio e lasciarci guidare dalla sua parola insegnata da Mosè e dai profeti nell’Antico Testamento, e poi da Gesù nel Nuovo Testamento. L’apostolo nella seconda lettura scongiurava il discepolo Timoteo di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento. Si tratta del comandamento dell’amore lasciato in eredità da Gesù ai suoi discepoli. In questo comandamento si riassume tutta la parola di Dio, tutto quello che Gesù ha insegnato e fatto. Bisogna custodirlo senza macchia e in modo irreprensibile, cioè senza annacquarlo, perché altrimenti non salva, e praticandolo giorno per giorno. Seguendo il comandamento di Gesù non dobbiamo limitarci a dare qualcosa ai poveri, ma condividere i nostri beni con i poveri. Cioè non dobbiamo fare la carità a distanza, ma condividendo le necessità e le sofferenze dei fratelli. Voglio ricordare due episodi di carità. Avevo circa 5 anni e a casa di mia nonna un giorno bussò una zingara che aveva in braccio un bambino di pochi mesi. Mia nonna la fece entrare in casa e la fece sedere perché doveva allattare il bambino. Poi le diede da mangiare e le diede dei vestiti nuovi che le avevano mandato le figlie dall’America. Questo episodio non lo dimenticherò mai. Un signore di Terrati di Lago, mi ha raccontato che nella sua famiglia erano 10 figli e vivevano lavorando la terra. A mezzogiorno si fermavano per consumare il pasto, che non era abbondante come è oggi per noi. Lo consumavano vicino ad una fontana pubblica. Un giorno mentre stavano mangiando, venne un signore alla fontana e il papà lo chiamo, dicendogli se voleva prendere un boccone con loro. Quel signore accettò subito, e mangiava, mangiava, perché aveva fame. Ecco questa è la carità cristiana, aiutare il bisognoso non a distanza ma condividendo quello che abbiamo. Il Signore che ci ha fatto oggi udire queste cose ci aiuti a metterle in pratica.
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22 settembre 2019 – XXV domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Am 8,4-7 – Salmo responsoriale: Sal 112 – 2lettura: 1Tm 2,1-8 – Vangelo: Lc 16,1-13.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Parola del Signore.
Omelia
Gesù ci invita a guardare a questo amministratore disonesto non per la disonestà ma per la scaltrezza. Trovandosi in difficoltà perché il padrone aveva deciso di licenziarlo, ha pensato di rinunciare a quello che gli spettava per riacquistare la fiducia del padrone e farsi amici che si sarebbero sentiti obbligati nei suoi riguardi. Infatti quando chiama i debitori a saldare i debiti è presente il padrone. Nella riscossione dei debiti si limita a richiedere il debito reale, che era il patrimonio del padrone, e rinuncia alla maggiorazione, che spettava a lui. L’amministratore è stato scaltro perché ha usato quello che gli spettava, e che costituiva i suoi beni, per riacquistare la fiducia del padrone e farsi amici e trovare accoglienza sulla terra.
Gesù dice che «i figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». L’amministratore appartiene ai figli di questo mondo, cioè fa parte di quelle persone che vivono solo nella prospettiva di questa vita terrena e non si curano di Dio e della sua legge. Noi cristiani siamo i figli della luce, in quanto discepoli di Gesù che è la luce del mondo. Nella riflessione di Gesù noi non siamo altrettanto scaltri come i figli di questo mondo. Che cosa dovremmo fare per essere scaltri come loro?
Secondo Gesù, noi che crediamo in lui e sappiamo che la nostra dimora non è qui sulla terra, bensì nel cielo, dobbiamo avere la stessa scaltrezza dell’amministratore e usare la nostra ricchezza per farci amici nel cielo: «Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne». L’amministratore ha usato la sua ricchezza per farsi amici sulla terra, noi dobbiamo usarla per farci amici nel cielo. Gesù chiama disonesta la ricchezza terrena perché spesso corrompe chi la possiede rendendolo egoista ed idolatra. Chi viene corrotto così dalla ricchezza, va incontro alla dannazione eterna, perché non adora più Dio ma la ricchezza e diventa insensibile alle necessità dei fratelli. Gesù allora ci sta dicendo che è segno di scaltrezza usare i propri beni per farsi amici che un giorno ci accoglieranno nel regno di Dio.
Ma chi sono questi amici con cui dobbiamo condividere i nostri beni e che un giorno ci accoglieranno nel regno di Dio?
A questa domanda risponde il Salmo, dicendo che Dio siede in alto al di sopra dei cieli ma si china sulla terra per sollevare il povero e farlo sedere tra i principi del suo popolo. Dio vuole bene a tutti, perché siamo tutti suoi figli, ma ha un occhio di riguardo verso i poveri, che sono i figli più svantaggiati. Dio si prende cura dei poveri attraverso di noi. Ecco perché la Scrittura, in un passo dei Proverbi, dice che quando aiutiamo il povero, facciamo un prestito a Dio.
Ma guai a chi fa torto ai poveri! Il profeta nella prima lettura a nome di Dio ammonisce severamente quelli che non solo non aiutano i poveri ma addirittura li sfruttano. Il loro peccato grida giustizia al cospetto di Dio, il quale appunto dice: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».
Questi insegnamenti e moniti riguardo ai beni terreni ci fanno capire che da come ci poniamo verso la ricchezza dipende la credibilità o meno della nostra vita cristiana. Se infatti mostriamo di essere attaccati ai beni terreni, chi prenderà sul serio Gesù Cristo in cui diciamo di credere? Diciamo che Gesù è il nostro salvatore ma poi attacchiamo il cuore alla ricchezza. Se non condividiamo i nostri beni con i poveri, chi ci crederà se diciamo che abbiamo sperimentato nella nostra vita l’amore di Dio? Adesso che siamo riuniti per celebrare la messa, seguendo il consiglio dell’Apostolo nella seconda lettura, preghiamo per tutti gli uomini, perché Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati. Ma per essere salvati devono giungere alla conoscenza della verità, che è Gesù Cristo. Allora preghiamo perché il Signore renda tutti noi testimoni autentici del suo vangelo e apra i cuori degli uomini che non lo conoscono, perché incontrando noi suoi discepoli possano arrivare a lui e così essere salvati.
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15 settembre 2019 – XXIV domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Es 32,7-11.13-14 – Salmo responsoriale: Sal 50 – 2lettura: 1Tm 1,12-17 – Vangelo: Lc 15,1-32.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore.
Omelia
I farisei e gli scribi si scandalizzano perché Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro. Allora Gesù per giustificarsi racconta tre parabole. Con le parabole della pecora smarrita e della moneta perduta, Gesù vuole dire che lui va alla ricerca dei peccatori come il pastore va alla ricerca della pecora smarrita e la donna della moneta perduta. Se è comprensibile che un pastore vada alla ricerca di una delle sue pecore che si è smarrita, e la donna alla ricerca di una moneta perduta, molto di più bisogna capire Gesù che va alla ricerca dei peccatori, poiché, in quanto uomini, valgono più delle pecore e delle monete.
Con la parabola del padre misericordioso vuole dire che in lui si manifesta l’amore di Dio, padre buono, il quale accoglie i suoi figli che ritornano a lui. Il padre della parabola è chiaramente Dio, il quale va incontro al figlio minore, che ritorna dopo aver vissuto da dissoluto, e va incontro al figlio maggiore, che non vuole partecipare alla festa, perché non comprende il comportamento del padre verso il fratello.
Dio ha mandato il Figlio suo Gesù Cristo non per i giusti ma per i peccatori, e per questo Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro, perché hanno bisogno del suo aiuto.
In un’altra occasione, sempre per rispondere agli scribi e ai farisei, che mormoravano per questo suo comportamento, Gesù dirà: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati. Io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori a convertirsi».
In Gesù si rivela il Dio d’Israele, che è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore. Il penitente che parla nel Salmo fa appello appunto a questo carattere di Dio, per chiedergli perdono: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;/ nella tua grande misericordia/ cancella la mia iniquità».
Dalla parabola impariamo che Dio ci accoglie sempre quando ritorniamo a lui, anzi ci viene incontro, perché siamo suoi figli e gli apparteniamo. E fa festa per noi. . La festa di Dio per i figli che ritornano a lui si manifesta con la gioia del perdono che inonda la vita del peccatore pentito. La gioia che sperimentiamo dopo una confessione ben fatta non è altro che la gioia di Dio, che diventa la nostra gioia.
Ma apprendiamo anche che hanno bisogno di conversione tutti e due i figli. Il figlio minore che si è allontanato dal padre ha bisogno di conversione, abbandonando la vita da dissoluto. Il figlio maggiore ha bisogno di conversione, cambiando il rapporto con il padre, che finora ha vissuto da servo e non da figlio: «Io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando». Questo fatto lo ha portato a vivere i comandi del padre non come esigenze di amore ma come un peso. E stando con il padre non ha imparato a conoscerlo e ad amare come lui.
La conversione è un cammino che parte dall’interiorità. Il figlio che si era allontanato dal padre trova la via del ritorno quando rientra in sé stesso. Mentre quando facciamo il peccato e vogliamo fare a meno di Dio, viviamo protesi all’esterno, quando invece stiamo vicini a Dio e fuggiamo il peccato, viviamo protesi verso l’interno, attenti alla voce della nostra coscienza. Il ritorno a Dio avviene dentro di noi e poi si manifesta anche all’esterno con atti di fede, come la confessione e la partecipazione alla messa. Siccome la conversione deve essere continua, deve essere continuo anche questo cammino verso l’interiorità dove c’è Dio.
La seconda lettura ci dà due insegnamenti importanti: Dio può trasformare completamente la nostra vita al di là di quello che immaginiamo, e una volta che abbiamo sperimentato il perdono di Dio dobbiamo collaborare con lui per la salvezza degli altri. Dio ha trasformato Paolo da bestemmiatore, persecutore e violento in apostolo del vangelo. E Paolo spende la sua vita ad annunciare il vangelo, per portare a Dio il maggior numero possibile di uomini. La prima lettura ci fa vedere quanto è efficace presso Dio la preghiera di un uomo giusto come Mosè, che intercede per i peccatori. Anche se non ci sentiamo all’altezza di Mosè, dobbiamo pregare lo stesso per la conversione dei peccatori, perché sperimentino la misericordia di Dio e la gioia del suo perdono come le abbiamo sperimentate noi e continuiamo a sperimentarle giorno per giorno.
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8 settembre 2019 – XXIII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Sap 9,13-18 – Salmo responsoriale: Sal 89 – 2lettura: Fm 1,9-10.12-17 – Vangelo: Lc 14,25-33.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Parola del Signore
Omelia
Se vogliamo seguire Gesù e diventare suoi discepoli, dobbiamo metter in pratica quello che ci dice. Le condizioni dettate da Gesù sono veramente impegnative, perché richiedono di non anteporre nulla all’amore per Gesù, di amare totalmente Gesù e i fratelli, e di essere distaccati da ogni bene terreno. Innanzitutto non bisogna anteporre nulla a Gesù: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». Bisogna amarlo più dei genitori, più dei figli, dei fratelli, della moglie e perfino della propria vita. Quando Gesù ci chiede è perché già ci ha donato, e se ci chiede è perché vuole donarci di più. Se ci chiede di amarlo più dei genitori, dei figli, dei fratelli, della moglie e della propria vita, è perché ci ha dato questi beni. E ci chiede di amarlo di più, non perché amiamo di meno i nostri cari, ma perché amando lui sopra ogni cosa, impariamo ad amare di più e meglio i nostri cari e anche noi stessi.
Gesù ci chiede poi di portare la croce dietro di lui: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». La croceè l’amore quando costa. Gesù così ci chiama ad amare come lui sempre e tutti anche quando amare costa sacrifici. Quindi ci chiede un amore totale verso di lui e verso il prossimo. Questo conferma quello che abbiamo detto prima che amando Gesù sopra ogni cosa, non amiamo di meno i nostri cari ma li amiamo di più, perché saremo portati ad amarli anche quando diventano una croce, un tormento, una tribolazione, senza mollarli, ma facendocene carico.
Infine Gesù ci chiede di non attaccare il cuore a nessun bene terreno: «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». Anche qui la rinuncia è in vista dell’amore, perché bisogna rinunciare ai propri beni condividendoli con i poveri. Dunque le richieste di Gesù riguardano l’amore, un amore vero e perfetto, che non fa danno al prossimo ma si spende per il prossimo, un amore che si fa servizio degli altri fino al dono della vita come ha fatto lui. Infatti chi dona la vita amando in questo mondo, la conserva per sempre nell’eternità, chi la trattiene vivendo nell’egoismo, la perderà per sempre nell’eternità.
Gesù dice che dobbiamo valutare attentamente queste condizioni come il costruttore e il re dell’esempio, per evitare di incominciare a seguirlo e poi a un certo punto mollare tutto senza perseverare con lui sino alla meta. Questa valutazione ci fa rendere conto che con le nostre forze non siamo in grado di mettere in pratica le condizioni dettate da Gesù. Con le nostre forze non siamo in grado di fare quello che dice Gesù, d’altra parte se vogliamo arrivare alla salvezza, dobbiamo fare quello che lui dice.
La soluzione a questo impasse ci viene dalla prima lettura e dal Salmo responsoriale. La prima lettura contiene una parte della preghiera con cui Salomone chiede a Dio la sapienza. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della sapienza, per poter pensare come pensa lui, e valutare le cose come le valuta lui.
Nel Salmo gli oranti che parlano dopo aver chiesto a Dio il dono della sapienza, gli chiedono di poter sperimentare il suo amore:
«Saziaci al mattino con il tuo amore:/esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni».
Se Dio ci dona la sua sapienza e ci fa sperimentare il suo amore, allora giorno per giorno impareremo ad amare come Gesù ci chiede.
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25 agosto 2019 – XXI domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 66,18-21 – Salmo responsoriale: Sal 116 – 2lettura: Eb 12,5-7.11-13- Vangelo: Lc 13,22-30.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
Parola del Signore
Omelia
Gesù non risponde mai alle domande su cose che non è necessario conoscere per ottenere la salvezza. Quindi nella risposta fa capire che invece di domandare quanti sono quelli che si salvano, bisogna impegnarsi per essere salvati. La salvezza viene presentata da Gesù come il passaggio per la porta stretta che immette nella sala dove si tiene il banchetto del regno di Dio: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno». La porta stretta è la sequela dietro a Gesù. Solo seguendo Gesù possiamo entrare nel regno di Dio ed essere salvati. La sequela di Gesù è molto esigente, come il passaggio per una porta stretta. Gesù altrove detta le condizioni della sequela quando dice: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo…chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». Se vogliamo entrare per la porta stretta della sequela di Gesù dobbiamo dunque metterlo al primo posto nella nostra vita. Questo richiede una continua conversione per liberarci da tutti i legami e gli affetti esagerati che ci distraggono da lui. I molti che hanno cercato di entrare per la porta stretta ma non ci sono riusciti, hanno fallito perché non hanno perseverato nella sequela e non si sono impegnati a convertirsi. La porta si è chiusa con il sopraggiungere della morte, e sono rimasti prigionieri del male ed esclusi dal banchetto del regno. Il tempo presente è prezioso per la nostra salvezza. Non sappiamo per quanto sarà a nostra disposizione. Quindi non dobbiamo distrarci dal seguire Gesù e non dobbiamo desistere dalla conversione.
Il Signore che ci vuole bene, a volte, interviene direttamente a scuoterci se ci vede distratti da lui e in pericolo di perderci. E’ quello che ci ricorda la seconda lettura. Permette così che si abbattano su di noi difficoltà e tribolazioni terrene, che, se le sappiamo accettare come correzione del Signore, stimolano in noi quella conversione che da noi stessi non siamo stati capaci di operare: «È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?». Se sono molti quelli che restano fuori, perché non sono riusciti ad entrare per la porta stretta, sentiamo dalle parole di Gesù che sono molti anche quelli che entreranno alla mensa del regno di Dio: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio».
Gesù prospetta che tra gli esclusi ci saranno degli israeliti, che si consideravano sicuri della salvezza, e tra gli ammessi molti pagani, che gli israeliti consideravano perduti in quanto ignoravano il vero Dio. Gesù sapeva che dopo la sua morte e risurrezione, con la predicazione del vangelo sarebbe iniziato un movimento di conversione al vero Dio da parte dei popoli pagani. Gli israeliti che pensavano di essere vicini a Dio, rifiutando Gesù, si sono esclusi dal regno, i pagani considerati lontani, accettando Gesù sono entrati nel regno di Dio. Quindi noi che abbiamo creduto in Gesù dobbiamo stare attenti perché se non ci convertiamo con cuore sincero, non entreremo nel regno di Dio.
Gesù concludeva dicendo: «Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi». Si riferisce a quelli che si salveranno. I primi conoscono il Signore da più tempo, gli ultimi invece da poco tempo. La situazione si capovolge perché gli ultimi corrispondono al Signore con più amore, e diventano qualitativamente migliori dei primi. E’ quello che diceva il profeta nella prima lettura parlando dei lontani, che, convertendosi al Signore, saranno più zelanti degli israeliti, che erano i vicini.
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11 agosto 2019 – XIX domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Sap 18,6-9 – Salmo responsoriale: Sal 32 – 2lettura: Eb 11,1-2.8-19- Vangelo: Lc 12,32-48.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
Parola del Signore.
Omelia
Nel vangelo di oggi Gesù ci esorta: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese». Credendo in lui, noi siamo entrati in comunione di vita con Dio. Ma questa comunione non è ancora definitiva e perfetta. Incomincerà ad essere definitiva e perfetta solo quando il Signore verrà a prenderci nell’ora della morte. Per noi cristiani la morte è la visita del Signore che ci porta in paradiso. Dicendo: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese», Gesù ci ricorda che sulla terra siamo di passaggio e non dobbiamo perdere di vista dove stiamo andando. Siccome non sappiamo il momento in cui il Signore verrà a visitarci, dobbiamo stare sempre pronti e sempre svegli. Il sonno è immagine di chi perde di vista il Signore e si adagia nei propri peccati. La veglia invece è immagine di chi aspetta il Signore con la fede, la speranza e la carità.
La seconda lettura ci presenta l’esempio di Abramo che ha creduto e sperato nel Signore. La fede nel Signore lo portava ad obbedire alla sua parola e a fidarsi di lui nella prova. La speranza lo portava ad attendere con fiducia la realizzazione della sua promesse. L’altra virtù che caratterizza la vita cristiana è la carità. Gesù dice nel vangelo: «Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma».
La condivisione dei beni con i poveri è un aspetto importante della carità.
Dunque dobbiamo vivere sulla terra nell’attesa della venuta del Signore, come le persone che parlano nel Salmo, che dicono: «L’anima nostra attende il Signore».
Dobbiamo stare sulla terra come gli israeliti in procinto di uscire dall’Egitto: «Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici».
L’avvertimento di Gesù a stare pronti riguarda tutti i discepoli ma prima di tutto quelli che hanno la responsabilità di prendersi cura degli altri.
Nella chiesa Gesù ha chiamato alcuni discepoli perché si prendano cura degli altri, alimentando la fede, la speranza e la carità dei fratelli con la sua parola e i sacramenti.
Ma se un discepolo che deve aiutare i fratelli non cura per se la fede, la speranza e la carità, come potrà aiutare gli altri?
Un sacerdote, un vescovo, che si addormentano invece di vegliare, fanno tanto male al popolo di Dio. Quando il Signore verrà punirà severamente i ministri infedeli, perché «a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
Dunque ci sarà il giudizio per tutti, e sarà con attenuanti per quelli che non conoscevano bene la volontà del Signore, con aggravanti per quelli che la conoscevano. Il giudizio ce lo prepariamo da noi stessi con le decisioni e i comportamenti di oggi. Gesù è la luce del mondo, se lo rifiutiamo stiamo nelle tenebre. Lui è il salvatore, se lo rifiutiamo ci priviamo della salvezza. Il Signore alla sua venuta prenderà atto delle nostre scelte e le rispetterà.
Gesù proclama beati quelli che aspettano la sua venuta: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli…, beati loro! ».
Perché beati? Sentiamo quello che dice Gesù: «In verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli».
Il Signore ci ha lavato i piedi quando è morto sulla croce per noi, continua a lavarci i piedi quando ci accostiamo ai sacramenti, in particolare al sacramento del perdono e all’eucaristia. Ci lava i piedi come fa una mamma o un papà con i suoi figli, servendoli dalla mattina alla sera. Quando verrà a prenderci completerà il servizio d’amore nei nostri riguardi, accogliendoci definitivamente alla mensa del regno.
Dopo aver ascoltato la parola di Gesù, chiediamo alla Madonna, madre di Dio e madre nostra, la grazia di perseverare nella fede, nella speranza e nella carità, giorno per giorno, affinché quando il Signore arriva e bussa, gli apriamo subito.
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28 luglio 2019 – XVII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Gen 18,20-32 – Salmo responsoriale: Sal 137 – 2lettura: Col 2,12-14 – Vangelo: Lc 11,1-13.
Dal Vangelo secondo Luca
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
Parola del Signore
Omelia
Domenica scorsa Gesù parlava del primato dell’ascolto della sua parola, perché solo ascoltandolo possiamo conoscerlo veramente ed entrare in relazione di amicizia con lui. Oggi Gesù parla della preghiera, che è la nostra risposta a lui, dopo averlo ascoltato. Per non sbagliarci su quello che dobbiamo dire nella preghiera, Gesù stesso ci ha insegnato la preghiera del ‘Padre nostro’. Gesù ci insegna a pregare rivolgendoci a Dio e chiamandolo: «Padre». E qui sorge una domanda: se la preghiera è risposta a Gesù che parla, perché dobbiamo rivolgerci a Dio Padre? Perché Gesù è la parola di Dio Padre, che ci parla nelle Scritture.
Gli evangelisti riportano delle preghiere di Gesù, che si rivolge a Dio chiamandolo: «Padre». Gesù è il Figlio di Dio che si è fatto uomo per rendere tutti quelli che credono in lui figli di Dio. Noi che crediamo in Gesù siamo figli di Dio e per questo possiamo rivolgerci a Dio con la confidenza dei figli, chiamandolo: «Padre». Nella preghiera del ‘Padre nostro’ Gesù ci insegna a chiedere tutte le cose importanti e necessarie alla nostra vita, che Dio, come Padre buono vuole donarci, ma non ci dona senza la nostra disponibilità. Quindi mediante la preghiera ci prepariamo a desiderare e ad accogliere i doni di Dio. Dicendo a Dio: «Sia santificato il tuo nome», gli chiediamo il dono di poter custodire in noi la sua presenza, amando come Gesù, osservando i suoi comandamenti. Dicendo a Dio: «Venga il tuo regno», gli chiediamo di far parte del suo regno che viene ora ed è visibile nella sua chiesa, e quando verrà in pienezza alla fine dei tempi. Dicendo: «Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano», chiediamo a Dio Padre, due cose, innanzitutto, il pane disceso dal cielo che è Gesù, parola ed eucaristia, e poi il necessario per condurre una vita dignitosa sulla terra. Gli chiediamo il dono del pane disceso dal cielo, suscitando sempre in noi fede e fame di questo pane. Infatti perdendo la fede e la fame, non abbiamo più questo pane, che è sempre a disposizione, ma non più per noi che non lo cerchiamo. Gli chiediamo poi anche il necessario per condurre una vita dignitosa e decorosa, quindi il lavoro, il vestito, la casa, la salute e tutto il resto. Da notare che Gesù ci insegna a chiedere per primo non le cose necessarie alla vita terrena, ma la presenza di Dio in noi, la partecipazione al suo regno e il pane disceso dal cielo, poi le cose necessarie a questa vita. Noi invece nelle nostre richieste facciamo il contrario, prima chiediamo le cose necessarie alla vita terrena e poi l’amicizia con Dio. Ma come possiamo ottenere da Dio, se non mettiamo la sua amicizia al primo posto? Come possiamo ottenere da Dio se non crediamo che è Dio? Infatti se non lo mettiamo al primo posto nella nostra vita, non lo trattiamo da Dio, non lo consideriamo potente e capace darci quello che gli stiamo chiedendo. Non dimostriamo una grande fede in lui. Gesù invece ci ha insegnato: «Cercate innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte questo cose vi saranno date in aggiunta».
Con la richiesta: «Perdona a noi i nostri peccati,/anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore», Gesù ci insegna a prendere consapevolezza che siamo sempre peccatori e abbiamo sempre bisogno del perdono di Dio. Ma ci insegna anche ad impegnarci a perdonare quelli che ci hanno offeso, perché come potremmo chiedere a Dio di perdonarci se poi non siamo capaci di perdonare?
Infine Gesù ci fa chiedere a Dio: «Non abbandonarci alla tentazione». Siamo tentati in continuazione dal demonio, dalla carne e dal mondo. Se confidiamo nelle nostre forze o cerchiamo le occasioni, soccombiamo inevitabilmente nel peccato. Con l’aiuto di Dio, potremo resistere alle tentazioni e sfuggire le occasioni.
Dopo averci insegnato le cose importanti e necessarie che dobbiamo chiedere a Dio Padre, Gesù ci insegna in che modo dobbiamo chiederle. Con l’esempio dell’amico importuno, ci insegna a chiedere con invadenza. L’invadenza come dicono i santi Padri non deve riguardare tanto le parole quanto il desiderio del cuore. Con il nostro cuore dobbiamo desiderare senza stancarci i doni di Dio che chiediamo. Con l’altro esempio, Gesù ci insegna a chiedere con la fiducia di essere esauditi, perché Dio è Padre buono e vuole donarci solo cose buone, migliori di quelle che i padri terreni danno ai loro figli. Il dono più grande e più buono che Dio vuole donarci è lo Spirito Santo. Nelle richieste del Padre nostro, in tutti i doni che chiediamo, è sottinteso lo Spirito Santo. Poiché se lo Spirito Santo è in noi, Dio Padre è presente in noi, noi siamo nel suo regno, abbiamo fede e fame di Gesù, Parola del Dio vivente, non ci mancherà nulla per condurre una vita dignitosa, vivremo sempre nella consapevolezza del nostro peccato e di chiedere perdono a Dio, perdoneremo le offese e confideremo solo nel suo aiuto per resistere al maligno. Il Salmo ci insegna che Dio che è eccelso guarda verso l’umile, quindi l’umiltà cioè la povertà di spirito, è l’atteggiamento fondamentale per essere esauditi. La prima lettura ci insegna che i giusti, con la loro vita gradita a Dio, sono una preghiera di intercessione per la salvezza di tutti, anche dei malvagi. Infine la seconda lettura, ricordandoci che col battesimo siamo diventati una cosa sola con Gesù, ci fa capire che la nostra preghiera sarà sempre esaudita se viene fatta per mezzo di Gesù. Se abbiamo capito tutto questo, chiediamo, cerchiamo e bussiamo, e Dio Padre ci darà, ci farà trovare e ci aprirà.
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21 luglio 2019 – XVI domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Gen 18,1-10 – Salmo responsoriale: Sal 14 – 2lettura: Col 1,24-28 – Vangelo: Lc 10,38-42.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Parola del Signore
Omelia
Marta e Maria rappresentano i due modi con cui possiamo accogliere Gesù. Marta si dedica a servire Gesù e a preparargli il pranzo, Maria gli presta attenzione, ascoltando la sua parola. Ancora oggi possiamo accogliere Gesù servendolo nei fratelli, soprattutto nei più bisognosi. Infatti lui ci ha detto a proposito delle opere di misericordia nei riguardi del prossimo: «L’avete fatto a me». E possiamo accogliere Gesù che parla e insegna nelle Scritture, nell’omelia domenicale, nella predicazione della chiesa, ascoltando la sua parola. Nella risposta a Marta Gesù fa capire che tra questi due modi di accoglierlo il primato spetta all’ascolto della parola: «Di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore». Gesù non vuole dire che non gradisce l’accoglienza di Marta, ma che il primato, la prima cosa da fare per accoglierlo è prestargli attenzione come sta facendo Maria. Se viene uno a casa nostra, non lo accogliamo subito servendogli qualcosa ma prima gli prestiamo attenzione e lo ascoltiamo per sapere quello che gradisce e poi lo serviamo. Prima lo accogliamo come Maria e poi come Marta. Allora questi due modi di accogliere Gesù non si escludono, per cui uno può dire: io voglio accogliere Gesù, dedicandomi al servizio della carità; un altro dice: io invece mi dedico all’ascolto della parola di Gesù. Tutti noi discepoli di Gesù siamo chiamati ad accoglierlo come Marta, servendolo nei fratelli, e come Maria, ascoltando la sua parola. Ma il primato spetta all’ascolto della parola, che è Gesù stesso. Questo si spiega col fatto che Gesù, come dice l’apostolo nella seconda lettura, è al centro del mistero di Dio, del progetto salvifico di Dio. Gesù è la ragione della nostra esistenza, e solo incontrando lui e seguendolo, trova senso e realizzazione la nostra vita.
Quindi per conoscere Gesù e per seguirlo abbiamo bisogno di ascoltare la sua parola come Maria. L’ascolto della parola di Gesù quando è autentico ci porta naturalmente a preoccuparci dei bisogni e delle necessità dei fratelli. Ora, se abbiamo capito che Gesù è la ragione della nostra esistenza, la più grande carità che possiamo fare al prossimo è quella di condurlo a Gesù, di farglielo conoscere. Poi vengono tutti gli altri atti d’amore, come dar da mangiare, vestire, consolare, consigliare, perdonare, sopportare. Se il servizio della carità è sganciato dall’ascolto della parola di Gesù, come stava avvenendo per Marta, può diventare qualcosa che invece di farci crescere nella sua amicizia ci distrae da lui. Marta presa dai molti servizi per accogliere Gesù, affannandosi e agitandosi sta perdendo di vista anche Gesù. Il termine usato da Gesù, tradotto con affannarsi, si trova nella parabola del seminatore a proposito delle spine che soffocano il seme. Gesù spiega che le spine sono le preoccupazioni del mondo che soffocano il seme della parola che così non porta frutto. La cosa che colpisce è che qui si tratta del servizio della carità, perché Marta agisce per accogliere Gesù. Dunque se il servizio della carità è distaccato dall’ascolto della parola di Gesù, invece di avvicinarci a lui ci distrae, diventando come le preoccupazioni terrene che soffocano la parola di Gesù e non la fanno fruttificare. Madre Teresa di Calcutta che ha speso la sua vita a servizio dei poveri e dei sofferenti pregava cinque ore al giorno. A quella signora che diceva: io la domenica non vado a messa ma vado a visitare una persona sola, con un tacito rimprovero a tutti quelli che vanno a messa, Gesù direbbe quello che oggi ha detto a Marta:«Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno». Se la signora ha voluto rimproverare quelli che vengono a messa e poi quando vedono un bisognoso si girano dall’altra parte, ha tutte le ragioni per farlo. Da parte sua si domandi se sta facendo il bene, perché prova gratificazione a farlo, oppure perché mira a gratificare il prossimo. Spesso noi con la motivazione di fare del bene agli altri, in realtà miriamo a fare del bene a noi stessi. E se fare del bene non ci gratifica, molliamo tutto. Si domandi se è disposta a fare del bene a tutti, anche ai nemici, o solo a quella vecchietta. A me è capitato di vedere persone che sono pronte a fare compagnia ad una vecchietta, ma non sanno perdonare e accettare il proprio marito o la propria moglie così com’è, persone che fanno del bene ai lontani, che nemmeno conoscono, e poi sono indifferenti ai vicini.
Quando la carità scaturisce dall’ascolto della parola di Gesù ci porta a vedere il suo volto e non solo in alcuni, ci apre gli occhi sulle loro necessità e sui loro problemi, ci spinge ad aiutarli mirando innanzitutto al loro bene e dopo al nostro, fosse anche la gratificazione che ne deriva. Allora per non affannarci come Marta, distraendoci da Gesù, ogni giorno dobbiamo avere dei momenti in cui come Maria ci sediamo ai suoi piedi e ascoltiamo la sua parola, leggendo le Scritture. Ogni domenica dobbiamo fermarci dalla routine quotidiana, andando in chiesa per la santa messa. Questo lo dico a me stesso, poi alle catechiste e a tutti i collaboratori. Lo dico ad ognuno di voi. Quando ci poniamo a sedere come Maria a piedi di Gesù, non perdiamo tempo, ma ci stiamo ricaricando, ricevendo da lui le motivazioni e la forza per amare di più. La Madonna dopo aver ascoltato la parola di Dio e averla accolta in se, si alzò e andò in fretta ad aiutare la cugina Elisabetta. Questa è la fretta autentica della carità che va distinta dall’affannarsi di Marta, è la fretta che troviamo in Abramo nella prima lettura che non perde tempo per servire il Signore che gli ha fatto visita.
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14 luglio 2019 – XV domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Dt 30,10-14 – Salmo responsoriale: Sal 18 – 2lettura: Col 1,15-20 – Vangelo: Lc 10,25-37.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Parola del Signore
Omelia
La questione posta dal dottore della legge è di estrema importanza: «Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». La vita eterna è Dio stesso. Gesù dice in un altro passo del vangelo, parlando con il Padre: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo». Gesù ci rivela che Dio è amore, e quindi diventa comprensibile che per ereditare la vita eterna, cioè stare con Dio, dobbiamo amare come lui. Il dottore della legge, approvato da Gesù, riassume la Scritture nel duplice comandamento dell’amore, a Dio e al prossimo. Fino a Gesù si aveva un’idea riduttiva di prossimo. Per es. gli israeliti pensavano che il prossimo fosse ogni israelita. Gli scribi e i farisei escludevano dal prossimo il popolo della terra, i peccatori e i samaritani. Invece Gesù con la parabola del buon samaritano ci fa capire che il prossimo è ogni uomo. Bisogna notare che il dottore della legge aveva posto una questione teorica: «Chi è il mio prossimo?». Gesù invece imposta la questione in modo pratico: Come farsi prossimo. Infatti conclude la parabola domandando al dottore della legge: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Il samaritano ha saputo farsi prossimo di quell’uomo bisognoso, perché lo ha guardato con gli occhi di Dio, provando compassione per lui. Non ha pensato che era un giudeo, suo nemico, ma ha visto un uomo come lui bisognoso d’aiuto e si è fermato a prestargli soccorso. Gesù dice che, se vogliamo ereditare la vita eterna, se vogliamo vivere in comunione con Dio oggi e per l’eternità, dobbiamo fare come il samaritano. E’ sconcertante il comportamento del sacerdote e del levita, che se ne ritornavano a casa dopo aver prestato servizio al tempio. Si girano da un’altra parte perché non vogliono avere fastidi. Amare comporta sacrifici e pazienza. Sono stati nel tempio, hanno ascoltato la parola di Dio, insegnato al popolo, hanno pregato, hanno offerto sacrifici, e poi non riescono ad aiutare quel povero bisognoso d’aiuto. Dio per bocca di Isaia si lamenta con gli israeliti, che non si accostano a lui con sincerità: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me». Eppure la prima lettura dice che i comandamenti di Dio non sono gravosi perché sono alla nostra portata. La parola di Dio è sulla nostra bocca e nel nostro cuore, nel senso che possiamo pronunciarla con la bocca e possiamo comprenderla con la mente. Per assimilarla e incarnarla nella nostra vita, dobbiamo nutrirci della parola di Dio, leggendola meditandola, pregandola. Il Salmista che fa questa esperienza della parola di Dio, dice che la parola di Dio rinfranca l’anima, dona saggezza, illumina gli occhi e dà gioia al cuore. Rinfranca la nostra vita stanca, perché ci indica la via giusta in cui troviamo pace. Noi siamo affaticati ed oppressi perché ci lasciamo distrarre dagli idoli del mondo, che non possono appagarci. La parola di Dio ci insegna la sapienza, cioè a ragionare come lui. Quindi ci fa guardare le cose come le guarda Dio. Ci apre gli occhi perché vediamo la sua presenza nella nostra vita. Da qui la nostra gioia, sapendo di non essere soli. Questa parola di Dio, che è anche sapienza di Dio, è Gesù Cristo, per mezzo del quale e in vista del quale sono state fatte tutte le cose, ma soprattutto noi uomini, creati ad immagine e somiglianza di Dio. Gesù è l’immagine di Dio, quindi è la ragione della nostra esistenza. Volgendo tutta la nostra vita su di lui, impariamo ad amare veramente e quindi ci prepariamo ad ereditare la vita eterna.
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7 luglio 2019 – XIV Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 66,10-14- Salmo responsoriale: Sal 65 – 2lettura: Gal 6,14-18 – Vangelo: Lc 10,1-12.17-20.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città». I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Parola del Signore.
Omelia
Gesù dice che «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!». La messe è una distesa di spighe mature che attendono la mietitura. Con quest’immagine Gesù si riferisce agli uomini che sono disposti ad accoglierlo. Sono tantissimi, come una distesa di spighe mature, ma sono pochi gli operai, sono pochi i cristiani che si impegnano a far conoscere Gesù a quelli che non lo conoscono o lo conoscono solo per sentito dire. I cristiani nel mondo sono più di due miliardi, ma non si impegnano se non pochi a parlare agli altri di Gesù Cristo. Guardiamo alla nostra comunità, a questa assemblea riunita per celebrare la santa messa. Quanti tra di noi, uscendo dalla chiesa, si impegneranno a parlare ai lontani di Gesù Cristo?
«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!». E’ triste sapere da Gesù che molti crederebbero in lui se ci fossero più cristiani disposti ad andare verso queste persone per aiutarli ad incontrarlo. Il rimedio che Gesù suggerisce per questa penuria di operai è la preghiera: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Gesù sta parlando a noi che ascoltiamo, e ci comanda di chiedere a Dio Padre, signore della messe, affinchè ci renda apostoli del Figlio suo tra gli uomini. Quindi non dobbiamo pregare perché il Signore della messe, mandi gli altri, ma perché ci renda apostoli. Infatti ognuno di noi è chiamato ad essere discepolo, a seguire Gesù sulla via dell’amore, come abbiamo ascoltato domenica scorsa, e ad essere suo apostolo tra gli uomini.
Gesù dopo avere suggerito ai discepoli di pregare, incomincia a mandarli dove stava per recarsi. I discepoli devono andare a preparare gli uomini all’incontro con Gesù. Li manda a due a due e non da soli perché siano credibili quando parleranno. Questo significa che ognuno di noi deve essere visibilmente legato ad una comunità cristiana. Oggi molti cristiani hanno perso il senso dell’appartenenza ad una comunità cristiana, e passano da una comunità all’altra, a seconda del loro sentire del momento. Un cristiano che vive così non diventerà mai maturo nella fede, né sarà credibile nella sua testimonianza.
Gesù nell’atto di mandare i discepoli dà loro delle direttive, perché siano credibili: «Ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi». Dobbiamo comportarci come agnelli, cioè come discepoli di Gesù, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Dobbiamo essere come lui inoffensivi, senza rendere male per male ma vincendo il male con l’amore. Le altre direttive di Gesù: «Non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada», non vanno prese alla lettera ma a senso. Non dobbiamo confidare nei mezzi umani, altrimenti non saremo credibili quando diremo che il Signore è il nostro unico bene. E non dobbiamo perder tempo in nulla, fossero anche i saluti, pur di far conoscere Gesù. Chi ci accoglie, si dispone ad accogliere Gesù, il salvatore del mondo, chi ci rifiuta, rifiuta Gesù, l’unico salvatore. Per questo dobbiamo far comprendere a chi rifiuta Gesù che va incontro alla rovina, perché non ci sono altri salvatori e altre salvezza, Gesù è l’unico.
I discepoli diventati apostoli vanno e ritornano pieni di gioia, perché sperimentano la potenza del nome di Gesù: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Nel nome di Gesù fuggono i demoni, vengono rimessi i peccati, è donata la pace. Gesù dice ai discepoli che non devono rallegrarsi per il potere ricevuto contro i demoni, ma perché sono in comunione con Dio. Non dobbiamo rallegrarci per i carismi ricevuti, di saper predicare, di saper coinvolgere le persone, di scacciare i demoni, di compiere miracoli. Non dobbiamo rallegrarci per i successi nell’apostolato. I carismi e i successi dipendono dallo Spirito di Dio che opera attraverso di noi. Dobbiamo rallegrarci quando siamo in comunione con Dio. Nei carismi lo Spirito Santo passa attraverso di noi ma non si ferma in noi. Invece quando siamo in comunione con Dio riposa in noi. La prova che siamo in comunione con Dio si ha quando viviamo inseriti nella comunità cristiana e amiamo come Gesù ci ha insegnato. Infatti in un altro passo Gesù dice che molti nel giorno del giudizio gli diranno: «Signore, abbiamo profetato nel tuo nome, abbiamo scacciato miracoli nel tuo nome, abbiamo profetato nel tuo nome». E Gesù risponderà: «Non vi conosco. Allontanatevi da me voi tutti che operate l’iniquità». Paolo nella lettera ai Corinzi, quasi facendo eco a queste parole di Gesù, dirà: «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe». Dobbiamo rallegrarci se stiamo amando come Gesù ci ha insegnato, perché il mondo con la sua mentalità egoistica è stato per noi crocifisso, non esercita più nessuna attrattiva su di noi. La prima lettura ci dice che c’è ancora un altro motivo per cui rallegrarci e cioè quando il Signore è conosciuto sempre più, e crescono di giorno in giorno quelli che lo incontrano nella comunità cristiana. Gerusalemme verso cui scorre come un torrente la pace e la gloria dei popoli come un fiume è la chiesa sparsa su tutta la terra.
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30 giugno 2019 – XIII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: 1Re 19,16.19-21- Salmo responsoriale: Sal 15 – 2lettura: Gal 5,1.13-18 – Vangelo: Lc 9,51-62.
Dal Vangelo secondo Luca
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
Parola del Signore
Omelia
Il tema che lega le letture della parola di Dio di questa domenica è innanzitutto il cammino. Nel vangelo ascoltiamo che «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». Nella prima lettura si dice che «Eliseo si alzò e seguì Elia». Nella seconda lettura l’apostolo ci esorta: «Camminate secondo lo Spirito». E infine nel Salmo, l’orante che sta parlando con Dio gli dice: «Mi indicherai il sentiero della vita». Per intraprendere questo cammino c’è bisogno di una decisione ferma.
Dunque «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». Gesù, il Figlio di Dio, è venuto sulla terra per rivelare l’amore di Dio, amando gli uomini con lo stesso amore con cui lui è amato da Dio. Per questo, sapendo che sta per avvicinarsi l’ora di passare da questo mondo al Padre attraverso la croce, Gesù prende la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Gesù prende la ferma decisione di dare agli uomini la prova suprema dell’amore Dio, andando incontro con decisione alla morte di croce. Nella morte di croce si rivela l’amore di Dio per noi al massimo grado. I due discepoli, Giacomo e Giovanni, non hanno compreso che Dio è amore, che Gesù è venuto a rivelare l’amore di Dio, che la potenza di Dio è l’amore, perciò davanti al rifiuto dei Samaritani suggeriscono a Gesù di vendicarsi: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Gesù li rimprovera come fa con gli indemoniati. I discepoli non ragionano secondo Dio ma secondo la mentalità del mondo manovrato dal demonio. Pietro che rimprovera Gesù perché ha parlato della sua sofferenza e i due discepoli Giacomo e Giovanni che gli suggeriscono di vendicarsi, ragionano secondo la mentalità del mondo che viene dal maligno. Nei loro suggerimenti Gesù sente la voce del maligno e perciò li zittisce come fa con gli indemoniati. Questo ci deve far capire che ogni sentimento di odio, di risentimento, di vendetta, di ripicca, per rendere male per male viene dal maligno e allontana da noi l’amore di Dio.
Se vogliamo essere discepoli di Gesù dobbiamo renderci conto che cosa comporta e prendere una ferma decisione a seguirlo sulla via della croce, cioè dell’amore perfetto.
I tre discepoli non hanno messo al primo posto Gesù e non sono pronti a seguirlo sulla via della croce, dell’amore sino alla fine. Il primo vorrebbe seguirlo non per sé stesso ma per i vantaggi che pensa di ricavarne. Il secondo e il terzo non l’hanno messo al primo posto e con la scusa di compiere dei doveri gli antepongono gli affetti terreni.
Gesù comprende che dietro i loro doveri si nasconde la mancanza di una decisione e con le risposte che dà li sollecita a fare chiarezza nella loro vita per decidersi per lui, altrimenti non saranno mai veri discepoli.
Dobbiamo dunque prendere una ferma decisione per Gesù come ha fatto Eliseo quando venne chiamato da Elia. Da come si comporta comprendiamo che abbandona per sempre la vita di prima per mettersi al seguito di Elia: «Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse». Era un ricco proprietario, arava con dodici paia di buoi, e tuttavia considera più vantaggiosa per sé la vita di profeta. Lascia una vita sicura per una vita incerta. Qual è stata la motivazione che lo ha aiutato a fare questa scelta? Senza dubbio la sua fede in Dio.
La seconda lettura ci dice che la ferma decisione per seguire Gesù significa rinunciare a vivere secondo la carne, cioè la natura umana corrotta, e lasciarsi guidare dallo Spirito Santo: «Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne». La carne ci fa vivere da egoisti, lo Spirito diffonde nei nostri cuori l’amore di Dio e ci fa vivere da uomini liberi e felici. Infatti tra Spirito Santo amore, libertà e gioia c’è un rapporto di causa-effetto.
Seguendo Gesù sulla via della croce, cioè dell’amore perfetto, camminando secondo lo Spirito Santo, noi seguiamo il sentiero della vita verso una comunione eterna con Dio Padre.
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3 marzo 2019 – VIII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Sir 25,5-8- Salmo responsoriale: Sal 91 – 2lettura: 1Cor 15,54-58- Vangelo: Lc 6,39-45.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».
Parola del Signore
Omelia
«Può forse un cieco guidare un altro cieco?» si domanda Gesù. Sappiamo bene che se un cieco volesse farsi guida di un altro cieco, rischierebbero entrambi di farsi molto male. Ma a cosa si riferisce Gesù con queste parole?
In altre occasioni Gesù chiama guide cieche gli scribi e i farisei, che insegnano bene e razzolano male. Quindi Gesù comanda di seguire quello che insegnano ma di non fare quello che fanno. In un altro passo sempre riferendosi a scribi e farisei, Gesù li chiama ciechi perché non sanno valutare ciò che conta di più e ciò che conta di meno. Quindi con le sue parole Gesù si riferisce ai cattivi maestri. E siccome sta parlando ai discepoli, si riferisce ai cattivi maestri nella sua chiesa.
Noi sappiamo che l’unico maestro nella chiesa è Gesù. Egli stesso ha detto ai discepoli: «Non fatevi chiamare maestri, perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo». Tutti nella chiesa siamo discepoli di Gesù e dobbiamo fare riferimento a lui, imitando il suo comportamento e trasmettendo fedelmente il suo insegnamento. Tra i discepoli poi ci sono alcuni che Gesù chiama ad insegnare agli altri fratelli a nome suo. Da quanto detto comprendiamo che un maestro si comporta correttamente se fa riferimento a Gesù, imitando il suo comportamento e trasmettendo la sua parola. Infatti un maestro insegna con l’esempio e con le parole. Un maestro che deve insegnare a nome di Gesù, deve imitare il suo comportamento e trasmettere le sue parole. Un maestro che trascura di fare ciò o perché predica bene e razzola male o perché modifica le parole di Gesù, diventa un cattivo maestro. Un cattivo maestro è un cieco con una trave negli occhi. La trave è la superbia e la presunzione di mettere da parte Gesù, di modificare e trascurare il suo insegnamento. Un cattivo maestro, un cieco che vuole guidare altri ciechi, non ha l’autorevolezza di correggere chi sbaglia. E’ uno con una trave nell’occhio, come abbiamo detto, e pretende di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello. Con la sua cecità molto probabilmente vede il male dove c’è il bene e vede il bene dove c’è il male. Quindi non può correggere nessuno, se prima non corregge sé stesso e non si converte dalla superbia.
Gesù ci insegna il criterio per distinguere i cattivi dai buoni maestri: «Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto». Per frutti Gesù intende sia le azioni e sia le parole. A volte sono le azioni che mettono in luce i cattivi maestri, altre volte sono le parole. Infatti ci può essere un cattivo maestro che all’apparenza sembra buono, ma se trasmette un insegnamento che modifica il vangelo o lo interpreta in modo sbagliato, allora è segno che non vive in comunione con Gesù: «Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore».
L’insegnamento di Gesù si può modificare in tre modi: per annacquamento, per selezione, per omissione. Se io dicessi in un’omelia: “Gesù ci comanda di essere uomini di pace”, ma non specifico che la pace di Gesù è diversa di quella del mondo, ho annacquato il suo insegnamento. Se per esempio dicessi: “Dio ci perdona sempre, perché è misericordioso”, ma non aggiungo che è necessaria la nostra conversione, ho selezionato l’insegnamento di Gesù, scegliendo una cosa e tralasciandone un’altra. La cosa più grave sarebbe se invece di annunciare la parola di Gesù vi parlassi di altre cose, magari anche interessanti, ma che non sono parola di Gesù. Mi hanno raccontato di un sacerdote che durante la messa faceva battute e la gente rideva. Ho pensato con tristezza quando mi raccontavano ciò: un cieco che guida altri ciechi.
Che cosa dobbiamo fare, fratelli?
Dobbiamo pregare gli uni per gli altri affinché guardiamo sempre a Gesù Cristo e non ci distacchiamo mai da lui. Per restare nell’immagine dell’albero, è necessario avere le radici nel Signore. Il Salmo dice a tal proposito: «Il giusto fiorirà come palma,/ crescerà come cedro del Libano;/ piantati nella casa del Signore,/ fioriranno negli atri del nostro Dio». L’albero con le radici assorbe le sostanze nutritive del terreno. Noi con le radici nel Signore dobbiamo assorbire la linfa della sua grazia. L’apostolo nella seconda lettura esorta: «Rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore». Con le radici nel Signore non dobbiamo lasciarci sradicare dai venti delle tentazioni, dalle mode e dalla mentalità del mondo. Se le nostre radici sono salde nel Signore, allora saremo buoni cristiani, capaci di discernere i maestri autentici da ascoltare e i cattivi da fuggire. Allora saremo buoni maestri che conducono il gregge di Cristo alla sorgente della sua parola.
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24 febbraio 2019 -VII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23- Salmo responsoriale: Sal 102 – 2lettura: 1Cor 15,45-49- Vangelo: Lc 6,27-38.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
Parola del Signore
Omelia
Tutto quello che Gesù ci ha comandato lo ha vissuto lui stesso in prima persona. Ci ha comandato di non rendere male per male ma di vincere il male con il bene: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male». E così ha fatto perdonando e pregando per i suoi persecutori. Ci ha comandato di evitare il male e la violenza, e di essere pronti a subirli piuttosto che ricambiarli: «A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica». E per questo si è sottoposto volontariamente al supplizio della croce. Ci ha comandato un amore gratuito, perché amare i nemici e quelli che ci odiano significa amare senza attendersi di essere ricambiati: «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano». E per questo ha dato la vita per noi peccatori. Ci ha comanda, in poche parole, di comportarci come lui il Figlio di Dio, perché credendo in lui, anche noi siamo figli di Dio. I figli di Dio devono somigliare a Dio, il quale, come dice il Salmo, «è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore». La caratteristica fondamentale della personalità di Dio è la misericordia, ovvero il suo amore che si esprime quando perdona i peccatori e quando aiuta gli uomini che hanno bisogno di lui. E poiché Dio si è rivelato nel Figlio suo Gesù, siamo chiamati come figli di Dio a seguire Gesù. In Gesù Cristo Dio ha preso su di sé i nostri peccati e ci ha donato il suo amore, non ci giudica e non ci condanna, ma ci perdona. Quindi avendo ricevuto e ricevendo in continuazione il perdono di Dio e il suo amore generoso, ed essendo in intimità con lui come figli, siamo chiamati a comportarci verso il prossimo come lui si comporta con noi. Se al contrario, dimentichi della misericordia di Dio nei nostri riguardi, rendiamo male per male e ci facciamo giudici spietati del prossimo condannandolo, o siamo indifferenti alle sue difficoltà, nel giudizio finale la misericordia di Dio si trasformerà per noi in condanna.
I comandamenti che ci ha insegnato Gesù sono certamente superiori a quelli dell’Antico Testamento. I comandamenti dell’antica legge ci insegnano a vivere secondo la morale naturale comune a tutti gli uomini, i comandamenti di Gesù ci insegnano a vivere secondo la morale soprannaturale propria dei figli di Dio. L’apostolo, nella seconda lettura, distingue la vita naturale e la vita soprannaturale: «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita». La vita naturale è quella che Dio ha infuso in Adamo al momento della creazione mediante l’anima. La vita soprannaturale è quella che Dio ha donato a Gesù risuscitandolo dai morti mediante il suo Santo Spirito e costituendolo mediatore dello Spirito Santo per gli uomini.
Venendo a questo mondo, siamo discendenza di Adamo e riceviamo da Dio la vita naturale mediante l’infusione dell’anima. Nel battesimo diventiamo discendenza di Gesù Cristo e riceviamo la vita soprannaturale o celeste mediante il dono dello Spirito Santo. Quindi non portiamo più l’immagine dell’uomo terreno che va verso la morte ma l’immagine dell’uomo celeste, cioè Gesù Cristo, che risorto dai morti non muore più. Dobbiamo vivere come Gesù e lo possiamo fare perché abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, che scrive nei nostri cuori i comandamenti dell’antica legge e quelli del nuovo testamento, trasformandoli da un peso quali ci sembrano in esigenze di vita.
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17 febbraio 2019 – VI domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Ger 17,5-8- Salmo responsoriale: Sal 1 – 2lettura: 1Cor 15,12.16-20- Vangelo: Lc 6,17.20-26.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Parola del Signore
Omelia
Gesù proclama beati i poveri, gli affamati e gli afflitti, invece ammonisce i ricchi, i sazi e i gaudenti. Proclama beati i primi perché a loro è riservato il regno di Dio, cioè la comunione personale con Dio, avverte i secondi perché con il loro comportamento ne sono esclusi.
Ma perché il regno di Dio è riservato a quelli che vivono in difficoltà e negato a quelli che sono nell’abbondanza?
La risposta ci viene dalla prima lettura, dove è maledetto l’uomo che confida in sé stesso e nei mezzi umani ed è benedetto l’uomo che confida nel Signore. Gli uomini che vivono in difficoltà, normalmente, sono portati a riconoscere la loro condizione di creature e quindi sono disponibili al Signore e a confidare in lui. Gli uomini che vivono nel benessere sono portati a dimenticarsi di essere creature e così si chiudono al Signore confidando in sé stessi. Un Salmo dice: «L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono».
Ma come si manifesta la fiducia nel Signore?
A questa domanda ci risponde il salmo responsoriale, che proclama: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi… ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte». Il punto di partenza per confidare nel Signore è credere in lui e nutrirsi della sua parola, meditandola. Chi confida nel Signore, si fida della sua parola e agisce di conseguenza. Se la fede non viene nutrita dalla parola di Dio pensata e meditata, non genera la fiducia nel Signore e non diventerà mai fede vissuta. Paolo nella seconda lettura mette in evidenza che nella comunità cristiana di Corinto c’erano alcuni che credevano nella risurrezione di Gesù ma poi pensavano che i morti non risorgono: «Se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti?». Questi cristiani che credevano in Gesù risorto ma negavano la risurrezione dai morti, non speravano certamente in un’altra vita dopo la morte. Quindi non speravano nel giudizio di Dio e in una ricompensa dopo la morte. In questo modo la loro fede in Gesù risorto non aveva nessun influsso sul loro modo di pensare e di agire. Questo ci dice che non basta credere all’annuncio ma bisogna riflettere sul contenuto dell’annuncio per tirarne tutte le conseguenze pratiche. Questi cristiani non avevano riflettuto su quello in cui credevano, e per questo credevano una cosa e ne pensavano un’altra.
La parola di Dio dunque proclama beati quelli che credono nel Signore, nutrendosi della sua parola, e confidano in lui camminando per le sue vie. Beati perché la loro vita è come un albero lungo corsi d’acqua, nella condizione ideale per portare frutto. Beati perché il Signore si prende cura di loro, chiamandoli a far parte del suo regno. Il regno di Dio di cui parla Gesù è la comunione personale con Dio. Ai poveri, agli affamati, agli afflitti, a tutti quelli che confidano nel Signore è promesso sin da ora il regno di Dio nella sua fase iniziale e poi quando si realizzerà in pienezza nel futuro. I ricchi, i sazi e i gaudenti, che confidano in sé stessi e non in Dio, e vivono da egoisti e non facendosi scrupoli nel loro comportamento, sono ammoniti severamente perché si escludono dal regno di Dio. Gesù poi proclama beati i discepoli che saranno perseguitati dagli uomini e ammonisce quelli che saranno applauditi. Gli uomini qui indicano quella parte di umanità che in ogni generazione è chiusa a Dio perché segue gli idoli del piacere, del possesso e del successo. I discepoli di Gesù devono testimoniare e annunciare la sua vita e la sua parola che insegnano a mettere Dio al primo posto e a mettersi a servizio dei fratelli nell’amore. Se i discepoli sono perseguitati dal mondo, vuol dire che si stanno comportando bene come i veri profeti di Dio dell’antichità che subivano persecuzioni da coloro che erano chiusi a Dio, e soprattutto come Gesù che è stato perseguitato e ucciso dal mondo. Se invece saranno applauditi dal mondo vuol dire che non si stanno comportando bene, ma somigliano ai falsi profeti del passato che erano accolti e seguiti dagli uomini chiusi a Dio, e soprattutto non somigliano a Gesù il vero profeta e maestro a cui bisogna fare riferimento, che fu perseguitato e ucciso dal mondo.
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10 febbraio 2019 – V domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 6,1-2.3-8- Salmo responsoriale: Sal 137 – 2lettura: 1Cor 15,1-11- Vangelo: Lc 5,1-11.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Parola del Signore
Omelia
Non siamo degni di stare con Dio perché siamo peccatori, ma proprio per questo abbiamo ancora più bisogno di lui perché ci salvi. E’ quello che hanno sperimentato Isaia e Pietro. Isaia vedendo Dio in visione esclama impaurito: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito». Pietro, percependo in Gesù la presenza di Dio, gli dice in segno di rispetto: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Il nostro peccato è un abisso che ci separa da Dio e ci conduce alla morte eterna.
Per colmare questo abisso e salvarci Dio ha mandato il Figlio suo Gesù, che si è fatto uomo come noi, è morto per espiare i nostri peccati ed è risorto per renderci partecipi della vita divina. I Santi Padri Cirillo d’Alessandria e Isidoro di Pelusio vedevano nel carbone ardente preso dall’altare che tocca le labbra di Isaia e lo purifica dal peccato un’immagine dell’incarnazione del Figlio di Dio.
Per entrare in contatto personale con Dio che si è fatto come noi e così essere salvati dobbiamo credere alla parola della predicazione, che annuncia Gesù Cristo morto e risorto. L’apostolo dice che questo annuncio ci salva se lo manteniamo integro nel suo contenuto, perché se lo modifichiamo, non salva più. Per stare in contatto personale con Dio dobbiamo obbedire alla parola di Gesù, anche quando ci comanda cose che a noi sembrano assurde. Proprio allora dobbiamo obbedire ancora di più, perché il Signore ci vuole far sperimentare la sua potenza. Pietro, da pescatore provetto, sa bene che non si può pescare di giorno con le reti, perché i pesci non abboccano. Tuttavia si fida della parola di Gesù più che della sua esperienza: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». E difatti la parola di Gesù messa in pratica fa sperimentare la sua potenza che rende possibile quello che sembra impossibile. Dopo questa esperienza Pietro e i suoi amici diventano discepoli di Gesù. Fino ad allora erano stati tra la folla che segue Gesù e ascolta volentieri la sua parola, ma senza prendere la decisione di seguirlo. Ma dopo che non solo ascoltano ma mettono anche in pratica la parola di Gesù e così sperimentato la sua potenza, «lasciarono tutto e lo seguirono». La differenza tra la folla e i discepoli sta in questo che la folla ascolta la parola di Gesù ma senza impegnarsi a metterla in pratica, i discepoli fanno tutto quello che Gesù comanda. In tutti e quattro i brani biblici che sono stati proclamati c’è una sollecitazione a diventare apostoli per far conoscere agli altri quello che abbiamo sperimentato. Nella prima lettura Isaia dice: «Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”». Nel vangelo Gesù promette a Pietro: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Nella seconda lettura, Paolo, discepolo di Gesù, ha attirato al Signore i cristiani di Corinto: «Il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto». Infine nel Salmo l’anonimo che rende grazie al Signore con tutto il cuore proclama: «Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,/ quando ascolteranno le parole della tua bocca». Quindi per rendergli grazie dovranno ascoltare le parole del Signore. C’è bisogno del nostro annuncio, che dobbiamo fare con la parola e con la vita. La parola di Gesù attira gli uomini a lui di per sé stessa, ma è più efficace nell’attrazione se i discepoli l’annunciano non solo con la bocca ma anche con la vita. Se siamo uniti a Gesù con l’obbedienza alla sua parola, allora tutta la nostra vita è un annuncio che attira a lui. Come uomini che siamo stati attirati a Gesù dalla sua parola e sperimentiamo giorno per giorno la sua salvezza, non cessiamo di rendergli grazie impegnandoci a portare a Gesù altre persone, che sperimentando la sua salvezza, lo ringrazino come noi.
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3 febbraio 2019 – IV domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Ger 1,4-5.17-19- Salmo responsoriale: Sal 70 – 2lettura: 1Cor 12,31-13,13- Vangelo: Lc 4,21-30.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Parola del Signore
Omelia
I compaesani di Gesù non credono che lui sia l’inviato di Dio per portare la salvezza. D’altra parte sono curiosi di vedergli fare qualche miracolo come hanno sentito che ha fatto a Cafarnao. Ma Gesù non può compiere nessun miracolo, perché i compaesani non sono disposti a credere in lui. Se avessero avuto un minimo di disponibilità nei suoi riguardi, Gesù avrebbe forse compiuto qualche miracolo per aiutarli a credere. Ma essi sono completamente scettici nei suoi riguardi, perché pensano di conoscerlo molto bene. Allora Gesù per far capire ai compaesani che se non crederanno in lui non potranno vedere i segni di Dio, ricorda due episodi dell’Antico Testamento. Il profeta Elia, proprio per l’incredulità degli israeliti, durante la carestia era stato inviato da Dio da una vedova di Sarepta di Sidone, che accogliendo il profeta aveva sperimentato la potenza del Dio d’Israele. In seguito il profeta Eliseo aveva guarito dalla lebbra Naaman il siro, che non apparteneva al popolo d’Israele.
I compaesani invece di ravvedersi si indignano con Gesù, lo scacciano dalla sinagoga e vorrebbero gettarlo giù da un burrone, ma Gesù «passando in mezzo a loro, si mise in cammino». L’ostilità dei compaesani non ferma il cammino di Gesù come non lo fermerà poi la condanna a morte sulla croce. Infatti Gesù è risuscitato e continua a camminare per le strade del mondo ad annunciare la buona notizia della salvezza attraverso i suoi discepoli. Come l’ostilità degli uomini non ha fermato Gesù così non deve fermare noi suoi discepoli. Abbiamo ascoltato nella prima lettura che Dio ammonisce Geremia: «Non spaventarti di fronte a loro,/ altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro». Se abbiamo paura di essere derisi o isolati o di subire qualche forma di persecuzione perché cristiani, allora potremmo essere tentati di nascondere la nostra identità, di adeguarci a quello che fanno gli altri, di tacere la parola di Dio. Quest’ultimo pericolo riguarda ogni cristiano ma soprattutto quelli che hanno ricevuto il compito della predicazione. Allora per non attirarci l’ostilità dell’uditorio siamo tentati di annacquare la parola di Dio oppure di selezionarla o peggio ancora di tacerla del tutto. Se non annunciamo la parola di Dio che dona la salvezza, manchiamo al nostro dovere certamente, ma facciamo tanto male a quelle stesse persone che vorremmo compiacere. Infatti la parola del Signore è parola che salva sempre anche quando rimprovera e ammonisce. Perché se rimprovera non lo fa per umiliare e provocare dispiacere ma per spingere alla conversione. Se nascondiamo la parola di Dio per paura degli uomini, sarà Dio ad incuterci paura incalzandoci nella coscienza, perché abbiamo pensato a noi stessi e non alla salvezza dei fratelli. D’altra parte il Signore, come disse a Geremia, non ci lascia mai soli. E quelli che vorranno ostacolarci nella testimonianza cristiana, non potranno prevalere.
Allora se vogliamo essere discepoli di Gesù che continuano la sua missione di salvezza nel mondo, come suggerisce il salmista, dobbiamo confidare in lui e lasciarci ammaestrare da lui. L’apostolo nella seconda lettura diceva che tutto quello che viene fatto senza la carità non giova a niente. La carità è l’amore di Dio che Gesù ci ha mostrato in tutta la sua vita, e che viene diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo.
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27 gennaio 2019 – III domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Ne 8,2-4.5-6.8-10- Salmo responsoriale: Sal 18 – 2lettura: 1Cor 12,12-30- Vangelo: Lc 1,1-4; 4,14-21.
Dal Vangelo secondo Luca
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Parola del Signore
Omelia
La storia della salvezza, ovvero la storia di Dio con gli uomini, viene raccontata nella Bibbia che è suddivisa in due grandi blocchi di libri, l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento. L’AT contiene le promesse di salvezza agli uomini da parte di Dio, il NT il racconto della realizzazione della salvezza per opera di Gesù Cristo.
Nel vangelo abbiamo ascoltato quello che Gesù dice nella sinagoga di Nazareth. Gesù, secondo il suo solito, di sabato si reca nella sinagoga per ascoltare la proclamazione della parola di Dio dell’AT. Gesù, come dirà egli stesso, non è venuto per abolire la Legge e i Profeti ma per dare compimento. Difatti dopo aver letto un passo del profeta Isaia, in cui si preannunciava la salvezza di Dio, Gesù commenta davanti a tutti: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Dio è intervenuto migliaia di volte nella storia dell’AT per aiutare il suo popolo nei momenti di difficoltà. Nello stesso tempo per bocca dei profeti prometteva per il futuro la sua salvezza non solo a favore degli Israeliti ma anche di tutti i popoli della terra. Dio realizza la salvezza promessa per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio. In Gesù si realizzano le promesse salvifiche dell’AT.
L’evangelista Luca spiega che si è accinto a scrivere il vangelo dopo aver fatto ricerche accurate sugli avvenimenti della vita di Gesù, e con lo scopo di dimostrare al suo amico Teofilo, divenuto cristiano, come gli insegnamenti della fede hanno un solido fondamento storico. La salvezza di Dio, promessa nell’AT e realizzata nel NT per mezzo di Gesù, raggiunge gli uomini mediante la parola di Dio, contenuta nelle Scritture, e mediante lo Spirito Santo che opera nel sacramento del battesimo.
La prima lettura e il Salmo ci insegnano come dobbiamo rapportarci con la parola di Dio perché ci salvi, la seconda lettura come dobbiamo rapportarci con lo Spirito di Dio, perché viviamo nella salvezza. Nei riguardi della parola di Dio dobbiamo avere grande disponibilità, e quindi metterci in un atteggiamento di ascolto per capire che cosa ci voglia dire. La comprensione della parola è di fondamentale importanza. La mancanza di comprensione, come dice Gesù nella parabola del seminatore, dà occasione al diavolo perché rubi dal nostro cuore la parola ascoltata. Dall’ascolto e dalla comprensione scaturisce la conversione. Abbiamo udito che gli israeliti ascoltando e comprendendo le parole della Scrittura piangevano. Si sentivano interpellati da quelle parole, le sentivano rivolte a se stessi. Ma da soli con le nostre forze non riusciamo a mettere in pratica quello che il Signore dice. L’ascolto sincero della parola di Dio ci porta spontaneamente a chiedergli aiuto come fa il salmista: «Ti siano gradite le parole della mia bocca;/davanti a te i pensieri del mio cuore,/Signore, mia roccia e mio redentore». Quando ascoltiamo la parola di Dio con disponibilità e sincerità e ci sentiamo interpellati da essa, in quel preciso momento la parola di Dio incomincia a trasformare la nostra vita. Avviene quello che Gesù proclama nella sinagoga di Nazareth: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Nella seconda lettura ci viene detto dall’apostolo che mediante il battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo che ci unisce a Gesù come le membra al corpo. Quindi formiamo con Gesù e con i fratelli nella fede un solo organismo vivente, animato dallo Spirito di Dio. Ma se vogliamo vivere come membra del corpo di Cristo, dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito Santo. Se ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, siamo a servizio di Gesù Cristo, che vive ed opera attraverso di noi, facendoci condividere le gioie e i dolori dei fratelli. Se ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, viviamo nella salvezza e nella libertà dei figli di Dio.
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20 gennaio 2019 – II domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 62,1-5 – Salmo responsoriale: Sal 95 – 2lettura: 1Cor 12,4-11- Vangelo: Gv 2,1-11.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Parola del Signore
Omelia
Secondo il vangelo di Giovanni, Gesù incomincia la sua missione pubblica a Cana di Galilea durante una festa di nozze, compiendo un miracolo per gli invitati che rischiavano di rimanere senza vino. L’evangelista annota che alla festa di nozze c’era Gesù con la madre e i suoi discepoli. Con il miracolo dell’acqua trasformata in vino, Gesù manifestò la sua gloria di Figlio di Dio e i suoi discepoli incominciarono a credere in lui. I discepoli hanno creduto che Gesù è il Signore che viene ad unirsi al suo popolo come lo sposo alla sua sposa. I profeti, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, avevano preannunciato la venuta del Signore in mezzo al suo popolo, rappresentato dalla città di Gerusalemme: «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,/ né la tua terra sarà più detta Devastata,/ ma sarai chiamata/ Mia Gioia e la tua terra Sposata,/ perché il Signore troverà in te la sua delizia/ e la tua terra avrà uno sposo».
Gesù è lo sposo che viene ad unirsi al suo popolo, formato da tutti quelli che credono in lui, e porta loro in dono il vino della Nuova Alleanza. Come il vino è superiore all’acqua così la Nuova Alleanza è superiore all’Antica. Infatti l’Antica Alleanza è raffigurata dalle sei anfore piene di acqua per la purificazione rituale dei Giudei, dove il numero sei secondo la mentalità semitica è segno di imperfezione. L’Antica Alleanza, simboleggiata dall’acqua, era imperfetta quanto alla rivelazione di Dio che avveniva per mezzo dei profeti ed era ancora parziale, quanto alla Legge che insegnava la giustizia naturale ma non dava la forza di compierla, quanto al culto che non ristabiliva la piena comunione con Dio e non santificava gli uomini, ma teneva vivo in loro il ricordo dei peccati. Invece il vino della Nuova Alleanza è superiore all’acqua dell’Antica Alleanza quanto alla rivelazione di Dio che avviene mediante il Figlio ed è completa, quanto alla legge che insegna la giustizia superiore dei figli di Dio, e quanto al culto che ristabilisce la piena comunione con Dio e santifica gli uomini donando la grazia della salvezza. Ma per poter ricevere il vino della Nuova Alleanza bisogna credere a Gesù come i discepoli e seguire il consiglio della Madonna ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Gesù continua ad occuparsi della sua sposa, cioè del suo popolo, accrescendola di nuovi figli, e dall’altro edificandola e facendola maturare. Il Signore accresce la sua chiesa suscitando nei discepoli, come diceva il salmo, l’annuncio della salvezza: «Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza./In mezzo alle genti narrate la sua gloria,/ a tutti i popoli dite le sue meraviglie». Il Signore edifica la sua chiesa mediante i carismi. L’apostolo ci dice che i carismi in quanto dono provengono dal dono per eccellenza che è lo Spirito Santo, in quanto servizio per gli altri provengono da Gesù che è venuto sulla terra per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti, in quanto azioni provengono da Dio da cui ha origine ogni opera buona.
Allora vuol dire che attraverso i carismi tutte e tre le persone divine operano nella chiesa e con i carismi messi a servizio dei fratelli noi diventiamo collaboratori di Dio. Se non mettiamo i carismi a servizio degli altri, impediamo a Gesù di fare qualcosa per gli altri. Per questo il servo che nascose il talento Dio lo ha chiamato malvagio. Con il suo atteggiamento ha impedito al prossimo di sperimentare un’azione buona da parte di Dio. Questo ci deve spingere a mettere i carismi ricevuti a servizio dei fratelli. D’altra parte non possiamo aspirare a carismi che non ci sono stati dati, perché i carismi in quanto tali sono doni che lo Spirito Santo distribuisce come vuole. Né dobbiamo pensare che il nostro carisma esaurisca la totalità dello Spirito Santo. I carismi sono una manifestazione particolare e vanno esercitati in comunione con gli altri carismi per edificare la chiesa. La parzialità dei carismi ci deve far sentire necessari per gli altri e nello stesso tempo bisognosi degli altri. Con il nostro carisma doniamo e riceviamo dai carismi degli altri. Donando e ricevendo cresciamo e maturiamo come credenti mentre viene edificata e cresce la chiesa.
Quindi mediante i carismi messi a servizio del prossimo, collaboriamo con il Signore per l’edificazione della sua chiesa, con l’annuncio ai lontani collaboriamo con il Signore ad accrescere la sua chiesa di nuovi figli.