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20 dicembre 2020 – IV domenica di Avvento B
Liturgia della Parola: 1lettura: 2Sam 7,1-5.8-12.14.16 – Salmo responsoriale: Sal 88 – 2lettura: Rm 16,25-27 – Vangelo: Lc 1,26-38.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Parola del Signore
In ognuna di queste domeniche di avvento è risuonato uno slogan. La prima domenica, vegliate, la seconda, la conversione, la terza, la testimonianza, in quest’ultima domenica, la fedeltà. La liturgia della parola di oggi vuole mettere in risalto la fedeltà di Dio alle sue promesse.
Abbiamo già ascoltato il vangelo di oggi il giorno dell’Immacolata. In quel giorno la nostra attenzione era attirata sulla fede obbediente di Maria, in questa domenica, ormai prossima al Natale, viene attirata sulla fedeltà di Dio. Nella prima lettura abbiamo ascoltato la promessa di Dio a Davide. Questi vuole costruire a Dio un tempio. Il Signore fa sapere per bocca del profeta Natan che non sarà Davide a costruirgli una casa ma sarà lui a costruirla a Davide: «Il Signore ti annuncia che farà a te una casa». Dio così promette a Davide una discendenza e un discendente che inaugurerà un regno senza fine: «Io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno…La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre». Nella promessa di Dio viene ripetuta l’espressione ‘per sempre’, perché le promesse di Dio sono irrevocabili. Questa promessa di Dio si realizza in Gesù Cristo, figlio della Vergine Maria. L’angelo richiama la promessa di Dio a Davide: «Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Dunque Dio ha mantenuto la sua parola, ha realizzato la sua promessa.
Nel salmo responsoriale abbiamo un inno all’amore e alla fedeltà di Dio verso la casa di Davide. La fedeltà di Dio è strettamente legata al suo amore. L’amore di Dio è fedele, perché è per sempre. Nell’inno si canta questa fedeltà di Dio e si esprime la convinzione che Dio realizzerà quello che ha promesso a Davide. Come facevano le persone che parlano nell’inno ad essere certi che Dio avrebbe realizzato la promessa fatta a Davide? Noi ci fidiamo di una persona, perché sappiamo che mantiene la parola data, che fa quello che dice. Gli israeliti hanno imparato a fidarsi di Dio conoscendo dai loro antenati la storia, poi raccontata nella Bibbia. Dio, per es., ha realizzato ad una ad una tutte le promesse che aveva fatto ad Abramo. Gli aveva promesso un figlio, e così è stato. Gli aveva promesso che da lui sarebbe sorto un popolo, e così è avvenuto. Gli aveva promesso che questo popolo avrebbe posseduto la terra di Canaan, e così è stato. E’ una cosa evidente anche oggi: gli israeliti abitano nell’antica terra di Canaan, cioè la Palestina.
Dio dunque ha realizzato le promesse fatte a Davide in Gesù Cristo, il quale è venuto ad inaugurare un regno che non avrà mai fine. Dopo aver compiuto le antiche promesse, Dio ha fatto altre promesse per mezzo di Gesù Cristo a tutti quelli che crederanno in lui. I vangeli e gli altri libri del Nuovo Testamento sono pieni di promesse nei nostri riguardi. Ci sono promesse che riguardano la vita presente sulla terra, promesse che riguardano la vita futura, promesse per i singoli credenti e promesse per la chiesa. Solo per fare un assaggio, in Ap 3,20 dice: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». In Gv 14,23 dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». In Mt 28,20b dice: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Ha promesso che sarà presente quando la chiesa si raduna nel suo nome: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro»(Mt 18,20). Ha promesso che Dio Padre esaudirà le preghiere fatte dalla chiesa: «Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli, gliela concederà»(Mt 18,19). E saranno esaudite se fatte nel suo nome: «E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò»(Gv 14,13-14). Ha promesso ancora: «In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna…»(Gv 6,47), e «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno»(Gv 6,54). Possiamo fidarci di queste promesse appena citate e di tutte le altre che ci ha fatto Gesù, Parola di Dio?
Dopo quello che abbiamo imparato dalla storia della salvezza raccontata nella Bibbia possiamo fidarci perché Dio è fedele alle sue promesse. Questa fiducia in Dio si accresce ancora di più quando, vivendo in comunione con Gesù, sperimentiamo la sua presenza e il suo aiuto nella vita quotidiana. Se chiedo aiuto al Signore e mi esaudisce, allora cresce la mia fiducia e la mia certezza che realizzerà quello che ci ha promesso per il futuro. Ma c’è ancora un altro motivo che rafforza la nostra fiducia, la coscienza della potenza di Dio. L’apostolo dice nella seconda lettura riferendosi a Dio: «A colui che ha il potere…». E l’angelo nel vangelo ricordava a Maria: «Nulla è impossibile a Dio».
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13 dicembre 2020 – III domenica di Avvento B
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 61,1-2.10-11 – Salmo responsoriale: Lc 1,46-50.53-54- 2lettura: 1Ts 5,16-24 – Vangelo: Gv 1,6-8.19-28.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Venne un uomo mandato da Dio:il suo nome era Giovanni.Egli venne come testimoneper dare testimonianza alla luce,perché tutti credessero per mezzo di lui.Non era lui la luce,ma doveva dare testimonianza alla luce.Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Parola del Signore
Omelia
Giovanni il Battista ha avuto il compito di portare gli uomini all’incontro con Gesù Cristo. Giovanni ha svolto questo compito, esortando gli uomini alla conversione e rendendo testimonianza a Gesù.
Domenica scorsa abbiamo ascoltato che Giovanni predicava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, e ci siamo soffermati a parlare della conversione. Oggi ascoltiamo che Giovanni rende testimonianza a Gesù, la luce del mondo. Giovanni rende testimonianza davanti alle autorità religiose del suo tempo, sacerdoti e leviti mandati a lui da Gerusalemme. Dal vangelo di Luca sappiamo che la gente si domandava in cuor suo se il Cristo non fosse Giovanni. Perciò Giovanni che sa stare al posto suo e non approfitta del successo della sua missione, chiarisce subito che non è lui il Cristo: «Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”». E siccome gli inviati vogliono sapere che cosa Giovanni pensi di sé stesso, egli risponde: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Questa voce nel libro del profeta Isaia esorta a preparare la via al Signore che viene a salvare il suo popolo. Quindi Giovanni ci sta dicendo che Gesù Cristo che inizierà la missione dopo di lui è il Signore. Giovanni lo lascia intendere anche quando dice: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Giovanni non si ritiene degno di essere schiavo di Gesù. Infatti slegare il laccio dei sandali era un gesto umiliante riservato agli schiavi. Se Giovanni non è degno di essere schiavo di Gesù, questo significa che Gesù non è un semplice inviato di Dio ma è il Signore stesso.
Il vangelo di oggi, parlando della testimonianza di Giovanni il Battista resa a Gesù, ricorda a tutti noi cristiani che dobbiamo rendere testimonianza a Gesù. Giovanni ha reso testimonianza a Gesù parlando di lui. In Mc 1,8 Giovanni dice di Gesù: «Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». In Gv 1,29 vedendo venire Gesù verso di lui Giovanni dice: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo». E poco dopo in Gv 1,32 dice: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui». Giovanni ha reso testimonianza a Gesù anche con la sua vita, compiendo la volontà di Dio con fedeltà fino a subire la morte per questo. La testimonianza di Giovanni inizia quella catena ininterrotta di testimonianze a Gesù che arriva sino a noi. I primi discepoli di Gesù erano stati discepoli di Giovanni e si mettono a seguire Gesù grazie alla testimonianza di Giovanni. Dopo la risurrezione Gesù manderà i suoi discepoli a rendergli testimonianza a tutti gli uomini. Se noi abbiamo conosciuto Gesù e lo abbiamo seguito, è perché altri ci hanno parlato di lui e ci hanno aiutato ad incontrarlo. Penso ai genitori, i nonni, i catechisti e le catechiste, le suore, i sacerdoti, la comunità cristiana. Anch’essi hanno conosciuto Gesù grazie alla testimonianza di altre persone. La testimonianza di Gesù che è giunta sino a noi e ci ha condotti ad incontrarlo ci spinge a fare altrettanto con quelli che non conoscono ancora Gesù o lo conoscono per sentito dire, senza averlo incontrato veramente. Dobbiamo rendere testimonianza a Gesù perché ce lo chiede lui stesso e poi perché non dobbiamo tenere gelosamente solo per noi la salvezza che abbiamo ricevuto da Gesù ma dobbiamo condividerla con il maggior numero possibile di persone. Dobbiamo rendere testimonianza a Gesù con le parole e con la vita come ha fatto Giovanni il Battista e poi tutti quelli che di generazione in generazione hanno reso testimonianza a Gesù in modo credibile e attraente. Non dobbiamo fermarci ai testimoni che ce lo hanno fatto conoscere, se la loro testimonianza era limitata, ma dobbiamo guardare ai testimoni che la chiesa ci addita come esempio, cioè i santi. Quindi dobbiamo rendere testimonianza a Gesù parlando di lui e soprattutto con la santità della vita, cioè amando come lui ci ha insegnato. La santità come ricorda la seconda lettura è un dono di Dio e un impegno nostro. L’apostolo chiede a Dio di santificare fino alla perfezione i cristiani di Tessalonica e li esorta a conservarsi irreprensibili: «Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile». La santità è dono di Dio che ci fa conoscere il suo amore in Gesù e lo diffonde nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo. Noi attingiamo la santità nelle Scritture e nei sacramenti. Nelle Scritture conosciamo Gesù Cristo, in cui si rivela l’amore di Dio, nei sacramenti riceviamo lo Spirito Santo che diffonde nei nostri cuori l’amore di Dio. Ma sperimentiamo l’amore di Dio anche nelle vicende della vita, poiché ci esaudisce tutte le volte che lo invochiamo chiedendogli cose che giovano alla nostra salvezza, ci libera dai pericoli e dalle difficoltà, oppure ci dà la forza di sopportarli e di superarli. Quest’amore di Dio ci trasforma e ci rende capaci di amare come Gesù ci ha insegnato. Quindi la santità significa accogliere l’amore di Dio e riversarlo sul prossimo. Dall’amore di Dio accolto e donato scaturisce la gioia che sperimenta la Vergine Maria quando innalza a Dio il Magnificat, riportato oggi come salmo responsoriale. La Madonna porta in sé Gesù Cristo e va a far visita alla parente Elisabetta per starle vicina nella sua gravidanza. Ha accolto in sé l’amore di Dio nell’annunciazione e va a donarlo ad Elisabetta nella visitazione. L’amore ricevuto e donato genera una grande gioia nella Madonna che eleva a Dio il Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore/e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore». Dall’amore di Dio sperimentato nella propria vita scaturisce la gioia del popolo che nella prima lettura parla come un solo uomo: «Io gioisco pienamente nel Signore,/la mia anima esulta nel mio Dio». La gioia cristiana dunque scaturisce dall’esperienza dell’amore di Dio ed è la più grande testimonianza che possiamo rendere a Gesù, perché è sempre attraverso Gesù che Dio ci fa conoscere e ci dona il suo amore. Anzi dobbiamo rendergli testimonianza proprio perché quelli che non conoscono Gesù attratti dalla nostra gioia possano incontrarlo, e credendo in lui, possano sperimentare come noi e con noi l’amore di Dio e la gioia.
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6 dicembre 2020 – II domenica di Avvento B
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 40,1-5.9-11 – Salmo responsoriale: Sal 84 – 2lettura: 2Pt 3,8-14 – Vangelo: Mc 1,1-8.
Dal Vangelo secondo Marco
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa:«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:egli preparerà la tua via.Voce di uno che grida nel deserto:Preparate la via del Signore,raddrizzate i suoi sentieri»,vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Parola del Signore
Omelia
La predicazione di Giovanni Battista dal deserto della Giudea raggiunge tutti noi in questo tempo di avvento. Giovanni predica un battesimo di conversione per preparare gli uomini all’incontro con Gesù. Giovanni prima che con le parole predica la conversione con la sua vita ridotta all’essenziale e che mostra di confidare solo in Dio: «Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico». La conversione è necessaria sia a quelli che sono già cristiani, sia a quelli che stanno per diventarlo, ricevendo il battesimo, sia a quelli che ancora non conoscono Gesù Cristo. La chiesa predica la conversione tutto l’anno, ma ci sono dei periodi come l’Avvento e la Quaresima in cui lo fa con più forza. Sono infatti chiamati tempi forti, in cui l’invito alla conversione diventa più urgente. La conversione per essere autentica deve partire dalla mente, poiché dobbiamo cambiare i nostri modi di pensare e di vivere sbagliati, assimilando i modi di pensare e di vivere di Dio. Egli dice per bocca del profeta Isaia: «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,/le vostre vie non sono le mie vie».
La conversione deve portare a far nostri i pensieri di Dio e le sue vie, cioè i suoi comportamenti. Quindi per avviare la conversione abbiamo bisogno della parola di Dio, attraverso la quale conosciamo i suoi pensieri e le sue vie. L’altro giorno una signora mi ricordava che durante il primo lockdown che è coinciso con la Quaresima consigliai di leggere il libro dell’Esodo. Mi domandava pertanto quale libro biblico bisogna leggere in questo tempo d’Avvento. Le ho risposto il profeta Isaia dal cap. 40 al cap. 55. Durante la Quaresima che prepara alla Pasqua si legge il libro dell’Esodo, durante l’Avvento che prepara al Natale si legge il profeta Isaia dal cap. 40 al cap. 55 in cui si parla della liberazione dalla schiavitù di Babilonia. Quindi la conversione quaresimale viene in qualche modo paragonata alla liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, quella dell’Avvento alla liberazione dalla schiavitù di Babilonia.
La conversione comporta degli impegni con cui contrastiamo le nostre cattive abitudini e le nostre tendenze verso i sette vizi capitali. Dobbiamo partire però combattendo la nostra pigrizia nel compimento delle pratiche religiose. Per es., mi ricordo di recitare il rosario, ma non ne ho voglia e così lo salto, autoassolvendomi col dire: Gesù Cristo, mi perdona, vede che sono stanco. Mi ricordo di leggere una pagina della Scrittura, e devo sapere che questo ricordo è un’ispirazione del Signore che mi sollecita a compiere ciò che mi giova. Tuttavia per me è una di quelle giornate pesanti, e non mi sento di farlo. Mi giustifico dicendo: lo farò domani. Devo iniziare a combattere tutte queste pigrizie, dicendo a me stesso: se voglio crescere nell’amicizia con Gesù, devo fare anche questo. Non posso rimandare questo appuntamento di fedeltà con lui, perché sarebbe per me mancanza di amore nei suoi riguardi. Nella prima lettura la voce proclamava: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata». La voce parla di abbassare i monti, colmare le valli, rendere piano il terreno scosceso. La conversione è faticosa ma reca grandi soddisfazioni, perché ci rende più disponibili all’incontro con il Signore, che viene oggi nella chiesa e ci dona la sua salvezza nei sacramenti.
Nel sacramento della Penitenza confessando i nostri peccati come facevano gli israeliti davanti a Giovanni il Battista riceviamo il perdono che Gesù Cristo ci ha guadagnato morendo sulla croce e lo Spirito Santo che è il dono della sua risurrezione. Quando poi ci accostiamo al sacramento dell’Eucaristia davvero con un cuore rinnovato dalla conversione, l’amore di Gesù ci trasforma dandoci la forza di amare come lui.
L’incontro del Signore lascia tracce evidenti nella nostra vita. Non lo vediamo ma lo riconosciamo dall’esperienza del perdono dei peccati e dal progresso nella carità. La voce nella prima lettura diceva: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio». La vediamo nella nostra vita perdonata e trasformata, la vediamo nella vita perdonata e trasformata degli altri. Il Signore si manifesta assimilandoci a sé, rendendoci simili a lui nell’amore. Il Salmo parla di una società in cui regna la salvezza di Dio. E’ una società oggi in embrione nella chiesa, che rappresenta l’inizio dell’umanità secondo il progetto di Dio: «Amore e verità s’incontreranno,/ giustizia e pace si baceranno./ Verità germoglierà dalla terra/ e giustizia si affaccerà dal cielo». Gli uomini di questa nuova umanità portano impressi nella loro personalità e nei loro comportamenti i tratti della personalità e del carattere di Dio, l’amore, la verità, la giustizia, la pace.
Questa nuova umanità raggiungerà il compimento quando Gesù si manifesterà nella gloria. La seconda lettura parlava proprio di questo: «Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia». Se dunque vogliamo far parte di questa nuova umanità e di questo mondo nuovo in cui abita la giustizia, cioè non ci sarà più il peccato, e gli uomini vivranno facendo la volontà di Dio, dobbiamo fare la volontà di Dio e perseverare affinché alla sua venuta ci «trovi in pace, senza colpa e senza macchia».
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29 novembre 2020 – I domenica di Avvento B
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 63,16-17.19; 64,2-7 – Salmo responsoriale: Sal 79 – 2lettura: 1Cor 1,3-9 – Vangelo: Mc 13,33-37.
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Parola del Signore
Omelia
L’anno liturgico incomincia con il tempo di Avvento, che significa venuta. Infatti in questo tempo ci prepariamo a festeggiare il Natale, in cui ricordiamo la prima venuta di Gesù, quando nacque a Betlemme di Giudea. La parola della Scrittura che ascolteremo nelle domeniche di Avvento ricorda che il Signore Gesù deve venire ancora, per ciascuno di noi singolarmente nel momento della morte e per tutti noi insieme alla fine del mondo. Il momento di cui parla Gesù nel vangelo dunque non è solo quello della sua manifestazione nella gloria ma anche quello della sua manifestazione a ciascuno di noi nella morte. Questo è il momento a cui dobbiamo pensare con più urgenza, perché sappiamo che l’altro momento riguarderà un lontano futuro. Non sappiamo quanto sarà il momento della nostra morte e se vogliamo stare con Gesù per l’eternità dobbiamo essere pronti ad attenderlo. Da qui il suo monito, ripetuto per ben tre volte: «Vegliate… Vegliate… Vegliate!».
Ma che cosa vuol dire Gesù quando ammonisce di vegliare?
Per comprenderlo dobbiamo mettere a confronto con questo passo del vangelo tutti quei versetti dei vangeli e degli altri scritti del Nuovo Testamento in cui Gesù o i suoi apostoli ripetono lo stesso monito: «Vegliate!». I versetti in cui compare questo monito sono tanti. Nell’orto degli ulivi, sentendo imminente la sua ora, Gesù si rivolge a Pietro, Giacomo e Giovanni dicendo: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me»(Mt 26,38). E poi di nuovo: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole»(Mt 26,41). Alla fine della parabola delle dieci vergini, raccontando l’esclusione delle vergini stolte, che avevano le lampade spente perché senza l’olio delle buone opere, ammonisce: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»(Mt 25,13). Nel vangelo di Luca parlando della fine del mondo dice: «Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo»(Lc 21,36). Troviamo ancora il monito di vegliare sulla bocca di Paolo e di Pietro. Paolo esorta i cristiani di Efeso dicendo loro: «In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi»(Ef 6,18). Ai cristiani di Corinto dice: «Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate forti»(1Cor 16,13). Infine l’apostolo Pietro scrive ai suoi destinatari: «Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede»(1Pt 5,8-9).
Facendo una sintesi di quello che ci dicono questi versetti, vegliare significa vivere sulla terra nella fede, nella speranza e nella carità. La fede in Gesù Cristo e nella sua parola, la speranza nelle sue promesse, la carità, amando Dio e il prossimo come Gesù ci ha insegnato.
Nella prima lettura sentiamo che cosa succede a quelli che si addormentano invece di vegliare nella fede, nella speranza e nella carità: «Siamo divenuti tutti come una cosa impura,/ e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia/…Nessuno invocava il tuo nome,/ nessuno si risvegliava per stringersi a te». Questa situazione non si realizza dall’oggi al domani, ma si sviluppa un pò alla volta. All’inizio incominciamo a trascurare la messa domenicale. Poi col passare del tempo è la volta della preghiera. Intanto moltiplichiamo i peccati, non sentiamo il bisogno di confessarli. Li rimuoviamo non pensandoci, perché il ricordo ci fa soffrire. Facciamo qualche azione buona per tenere a bada la coscienza. Le azioni buone fatte con questi atteggiamenti non sono atti giustizia ma gratificazioni personali. In una parola viviamo come se Dio non esistesse, come se non dovessimo mai morire, come se non dovessimo mai compare davanti a Dio per essere giudicati. Le persone che parlano nella prima lettura, grazie a Dio, mentre erano immerse nel sonno del peccato e della dimenticanza di Dio, toccate dalle avversità della vita, si sono svegliate, e si rivolgono a Dio pentite: «Ma, Signore, tu sei nostro padre;/ noi siamo argilla e tu colui che ci plasma,/ tutti noi siamo opera delle tue mani».
Ascoltando questa parola di Dio, se ci accorgiamo di esserci addormentati anche noi, perché ci siamo allontanati dal Signore, non lo abbiamo invocato, abbiamo passato intere giornate senza rivolgerci a lui, e siamo vissuti come se lui non esistesse, moltiplicando i nostri peccati, chiediamogli con le parole del Salmo: «Tu, pastore d’Israele, ascolta,/…Risveglia la tua potenza/e vieni a salvarci/…Da te mai più ci allontaneremo,/facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome».
La seconda lettura ci presenta persone che invece vegliano nella fede, nella speranza e nella carità, per cui vengono elogiate dall’Apostolo: «La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo». Quando corrispondiamo alla grazia di Dio, egli che è fedele ci rende saldi nella fede, nella speranza e nella carità, concedendoci di perseverare «sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo».