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5 maggio 2024 – VI domenica di Pasqua B
Liturgia della Parola: 1Lettura: At 10,25-26.34-35.44-48 — Salmo responsoriale: Sal 97 – 2Lettura: 1Gv 4,7-10 — Vangelo: Gv 15,9-17.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Parola del Signore.
Omelia
Gesù ci dice nel vangelo di oggi: Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Vuole dire che ci ama non solo allo stesso modo con cui lo ama il Padre ma con lo stesso amore del Padre. L’amore che Gesù riceve dal Padre lo dona a noi. Ecco perché la seconda lettura diceva che l’amore di Dio si è manifestato in Gesù Cristo suo Figlio. L’amore di Dio non è un semplice sentimento ma è di più, coincide con la sua natura: Dio è amore, diceva la seconda lettura. Quindi quando Dio ama dona se stesso. Così vediamo che Gesù Cristo in tutto quello che ha detto e fatto ha speso la sua vita per gli altri, fino al dono supremo nella morte di croce. Gesù non ha mai pensato al suo tornaconto e al suo vantaggio, ma sempre a quello della gente che incontrava. Quando insegnava, quando agiva, pensava sempre alla salvezza degli altri.
Quest’amore di Dio che si rivela in Gesù Cristo ci viene comunicato mediante lo Spirito Santo. Nella prima lettura abbiamo ascoltato che lo Spirito Santo discende su tutti quelli che ascoltavano l’apostolo Pietro nella casa di Cornelio. È la Pentecoste degli stranieri. Nella Pentecoste lo Spirito Santo discese sui discepoli di Gesù che erano insieme alla Madonna. Erano tutti israeliti. Nella casa di Cornelio quelli che ascoltano la parola della predicazione sono stranieri. Lo Spirito Santo diffonde nei nostri cuori l’amore di Dio. Avviene una trasfusione. Quando uno si sottopone ad una trasfusione di sangue, il sangue del donatore viene iniettato nelle sue vene e circola poi in tutto il suo corpo. Lo Spirito Santo effonde l’amore di Dio nei nostri cuori, cioè nella nostra anima, che è il centro della nostra persona. L’amore di Dio ci perdona e ci guarisce. Dio non si limita a perdonarci i peccati ma ci guarisce dai peccati. La misericordia di Dio non sarebbe autentica se ci lasciasse nei peccati. Sarebbe come se un medico, ci dicesse di non pensare alla malattia ma senza guarirci. Dio ci perdona e ci guarisce. Certo, la guarigione avviene lentamente, perché richiede la trasformazione della nostra personalità. Pensiamo a Mosè. Da alcuni episodi del libro dell’Esodo comprendiamo che era un tipo irascibile e un violento. Poi leggendo più avanti la Scrittura dice che Mosè era l’uomo più mite della terra. Stando con il Signore, il Signore lo aveva trasformato. Qui abbiamo di fronte a noi il quadro di san Francesco di Sales, il santo della dolcezza. Eppure era un uomo irascibile. Ma lo Spirito santo, diffondendo nel suo cuore l’amore di Dio lo ha guarito e trasformato.
Noi riceviamo lo Spirito Santo nei sacramenti, che sono come una sorgente a cui attingere.
Gesù diceva ai discepoli che avrebbero ricevuto lo Spirito e quindi sperimentato il suo amore in modo intimo: Rimanete nel mio amore. Questa esortazione di Gesù è rivolta oggi a noi, che abbiamo ricevuto lo Spirito Santo mediante i sacramenti. Gesù ci esorta a custodire il suo amore, a non perderlo. E ci insegna anche cosa dobbiamo fare per custodirlo: Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. E poco dopo: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Gesù ci dice che per custodire in noi il suo amore dobbiamo donarlo agli altri, amando come lui ci ha amato. Nelle cose materiali, se io per esempio ho una penna e la regalo, rimango senza penna. Nel caso dell’amore di Dio, se io lo dono agli altri, non lo perdo, ma rimane in me e si accresce. Come il fuoco, se lo copro, viene soffocato e si spegne. Se invece lo lascio libero, arde e si espande. Così è l’amore di Dio, per rimanere in noi e crescere, dobbiamo donarlo agli altri, amando come Gesù ci ha insegnato.
Gesù ci dice queste cose perché vuole che noi abbiamo la sua gioia, diventiamo felici. Ogni uomo cerca la felicità. Qualsiasi uomo cerca la felicità. Poi ci sono opinioni diverse su cosa sia la felicità, o con che cosa si ottenga. Ma tutti vogliamo essere felici. Gesù ci insegna che la felicità si ottiene sperimentando l’amore di Dio e donandolo agli altri. Dobbiamo attingere l’amore di Dio dai sacramenti e donarlo agli altri. Dio ci ama, come abbiamo detto, perdonandoci, guarendoci, accogliendoci. Lo stesso dobbiamo fare noi con il prossimo, amandolo, perdonandolo, accogliendolo. Gesù ci tratta come amici, non da servi. Siamo servi per quello che Gesù ci comanda e che dobbiamo mettere in pratica. Per il resto ci tratta da amici, perché ci dona l’amore di Dio, ci rende figli di Dio, ci dona la confidenza di chiamarlo Padre.
Gesù ci manda nel mondo perché portiamo frutto. Domenica scorsa con l’immagine della vite e dei tralci Gesù ci esortava a rimanere uniti a lui per portare molto frutto. Il frutto era di imitare Gesù, imparare ad amare come lui. Oggi Gesù ci manda come apostoli e quindi a testimoniare il suo amore. E il frutto è che quelli che hanno a che fare con noi sperimentando attraverso di noi l’amore di Dio si avvicinino al Figlio Gesù.
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28 aprile 2024 – V domenica di Pasqua B
Liturgia della Parola: 1Lettura: At 9,26-31 — Salmo responsoriale: Sal 21 – 2Lettura: 1Gv 3,18-24 — Vangelo: Gv 15,1-8.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Parola del Signore.
Omelia
Per esprimere il rapporto che egli stabilisce con noi Gesù si serve dell’immagine della vite e dei tralci: Io sono la vite, voi i tralci. Da questo comprendiamo che Gesù non è solo vicino a noi e noi siamo vicini a lui, ma egli vive in noi e noi in lui: Io sono la vite, voi i tralci. L’apostolo Paolo per esprimere lo stretto rapporto di Gesù con noi usa l’immagine del corpo: noi siamo le membra del corpo di Cristo. Quest’unione di Gesù con noi è qualcosa che supera la nostra comprensione. È un mistero della fede. I misteri della fede sono realtà che superano la nostra comprensione. Per farci capire qualcosa di questo mistero, Gesù usa l’immagine della vite e l’apostolo quella del corpo. Questa unione tra Gesù e noi espressa con l’immagine della vite e del corpo è la chiesa. La chiesa nella sua realtà più profonda è l’unione intima, personale e vitale tra Gesù e i discepoli. Certo, la chiesa ha anche un aspetto visibile. Noi radunati qui per la messa domenicale siamo la chiesa pellegrinante in Montalto Uffugo, Settimo e san Antonello. Bisogna dire che non sempre chi appartiene visibilmente alla chiesa, di fatto poi è anche chiesa, perché potrebbe essere distaccato da Gesù. In questi anni abbiamo conosciuto diversi scandali perpetrati da persone che ricoprivano anche uffici importanti nella chiesa. Sembravano appartenere alla chiesa, ma di fatto non erano uniti a Gesù. Come egli dice in questo brano evangelico, il Padre taglia via i tralci che non portano frutto. Dio ha fatto emergere che non erano tralci di Gesù Cristo. Questo lo diciamo senza giudicare nessuno, e con grande timore e tremore, sapendo che senza l’aiuto del Signore possiamo fare peggio di loro. Purtroppo questi fatti hanno gettato discredito sull’intera chiesa, perché non si è compresa la vera natura della chiesa, che è l’unione con Gesù Cristo.
Per questo Gesù ci esorta: Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio porta frutto se rimane unito alla vite, invece secca, se viene reciso, così succede anche a noi con Gesù Cristo che è la vera vite. Ma in che modo rimaniamo uniti a Gesù e noi in lui? Ce lo dice egli stesso poco dopo: Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi. Questa mutua immanenza tra Gesù e noi si realizza quando noi accogliamo la sua parola come il terreno buono della parabola. Dobbiamo accogliere la parola di Gesù senza metterla in discussione in quelle parti che non ci piacciono, senza dubitare della sua bontà per noi, anche se constatiamo la nostra difficoltà a metterla in pratica. Dobbiamo accoglierla con piena disponibilità. Il primo frutto della parola è la fede. Se la fede c’è già, la parola la nutre e l’accresce. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi. Quando accogliamo la parola di Gesù, egli viene a vivere in noi, e noi mediante la fede viviamo in lui.
C’è poi un altro modo con cui si realizza questa comunione di vita tra Gesù e noi. Ce lo insegna Gesù nel discorso sul pane di vita quando dice: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Mediante la santa eucaristia avviene una fusione tra la vita di Gesù e la nostra. Questa fusione avviene in tutti i sacramenti, a partire dal battesimo, ma raggiunge il massimo livello quando ci nutriamo dell’eucaristia. Nella seconda lettura ci viene insegnato un altro modo in cui si attua e sia accresce questa comunione tra Gesù e noi. Quando osserviamo i suoi comandamenti, egli vive in noi e noi in lui. Se dunque rimaniamo in Gesù e lui rimane in noi, la nostra vita porta frutto. Ma di quale frutto Gesù sta parlando? Gesù dice: In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Il frutto è che diventiamo discepoli di Gesù, discepoli autentici, che imitano il suo comportamento. In una parola il frutto si manifesta quando amiamo come Gesù. Solo se stiamo uniti a lui come i tralci alla vite, possiamo amare come lui. Se ci distacchiamo, non abbiamo più questa possibilità. Il distacco può avvenire quando uno rinnega Gesù Cristo, non vuole più credere in lui. Oppure quando si commette il peccato mortale. Viene chiamato così perché al sopraggiungere di questo peccato, lo Spirito santo che è la vita dell’anima se ne va via. Uno che è nel peccato mortale, continua a respirare, mangia, il suo cuore batte, ma nella sua anima c’è la morte. A questo punto sorgono delle obiezioni. Noi conosciamo molti che non stanno uniti a Gesù, eppure compiono azioni buone. Tantissimi non hanno mai sentito parlare di Gesù, eppure fanno opere buone. Come si conciliano queste cose con le parole di Gesù: Senza di me non potete far nulla?
Nel mondo si parla tanto di amore, ma l’amore vero e perfetto è possibile solo vivendo uniti a Gesù. Vi porto un esempio. Molti praticano il volontariato, anche non credenti. Perché lo fanno? Perché fare del bene agli altri gratifica. E quando il bene che ci è richiesto non gratifica, cosa facciamo? Quando fare del bene costa sacrificio, diventa una croce, solo con le nostre forze non riusciamo a farlo. Il cristiano che vive di Gesù Cristo riesce a fare il bene anche quando non c’è alcuna gratificazione. Una volta una giornalista americana andò a far visita a madre Teresa in una delle sue case di ricovero per i poveri. E vide tutto il servizio che lei e le sue suore facevano per i poveri e gli ammalati, alcuni in condizioni veramente disgustose. La giornalista disse a Madre Teresa: Quello che fate voi, io non lo farei nemmeno per tre miliardi. Madre Teresa rispose: Nemmeno noi. Lo facciamo per Gesù Cristo. L’amore vero che ci ha insegnato Gesù Cristo è innanzitutto gratuito, senza secondi fini, poi è universale, esteso a tutti, e poi si manifesta anche quando costa sacrificio. Così nel mondo vediamo uno che si impegna a fare opere di carità verso i poveri, e poi non è capace di chiedere perdono alla moglie a cui ha recato dispiacere. Uno che segue Gesù Cristo prima si riconcilia con la propria moglie, poi si impegna anche a fare opere di carità verso i poveri. Tutto questo ragionamento per dire che senza Gesù Cristo noi riusciamo ad amare fino ad un certo punto e spesso in modo imperfetto e guasto.
Quando siamo uniti a Gesù come tralci vivi e portiamo frutto, comportandoci come lui ci ha insegnato, Dio viene glorificato. Viene glorificato da noi, in quanto manifestiamo nella nostra vita la sua gloria che è il suo amore, quello che abbiamo appreso dal Figlio suo Gesù. Viene glorificato da quelli che ci conoscono, perché, praticandoci si sentono spinti a cercare Gesù, che ci ha manifestato la gloria di Dio, cioè il suo amore, morendo sulla croce per noi.
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21 aprile 2024 – IV domenica di Pasqua B
Liturgia della Parola: 1Lettura: At 4,8-12 — Salmo responsoriale: Sal 117 – 2Lettura: 1Gv 3,1-2 — Vangelo: Gv 10,11-18.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Parola del Signore.
Omelia
Gesù diceva nel vangelo di oggi: Io sono il buon pastore. Per comprendere a pieno quest’affermazione di Gesù bisogna ricordare quello che avevano detto a nome di Dio i profeti Geremia ed Ezechiele contro i cattivi pastori del popolo, sia le guide religiose e sia i capi politici. Dio li rimprovera perché non si prendono cura del suo popolo e pascono se stessi. Così i profeti a nome di Dio preannunciavano la venuta di un pastore secondo il cuore di Dio. Gesù dicendo: Io sono il buon pastore, sta dicendo che è il pastore atteso, il pastore secondo il cuore di Dio. Nel vangelo ci sono altri due episodi in cui Gesù si presenta come il buon pastore del popolo di Dio. Si racconta nel vangelo che Gesù insieme ai discepoli vanno con la barca all’altra riva del lago. La gente intuisce dove Gesù sta per recarsi e a piedi lo precedono in quel luogo. Quando Gesù scende dalla barca si trova di fronte le folle che lo attendono. Gesù allora si commosse per loro perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore. I pastori c’erano ma non si curavano del popolo. Gesù allora si mise ad insegnare loro molte cose e poi moltiplicò i pani. Questo ci fa capire che viene prima il nutrimento che nutre l’anima, il cibo che dura per la vita eterna, e poi il nutrimento che nutre il corpo, il cibo che perisce. E poi Gesù racconta la parabola della pecorella smarrita per spiegare a quelli che mormoravano il motivo per cui stava con i pubblicani e i peccatori. Gesù è il pastore che lascia le novantanove pecore per cercare quella che si è smarrita. Da questo comprendiamo quanto ciascuno di noi sia prezioso ai suoi occhi.
Gesù dunque è il buon pastore che si contrappone al mercenario. Il mercenario rappresenta i cattivi pastori che non si curano del gregge, e tanto meno si espongono al pericolo per difendere il gregge ma lo abbandonano a se stesso. Invece Gesù è il buon pastore che dà la vita per le pecore. Nel corso di questo brano Gesù ripete altre quattro volte questo concetto, che cioè egli dà la vita per le pecore. È quello che ha fatto morendo sulla croce. E se domandassimo a Gesù: perché, Signore, hai dato la vita per noi? Egli risponderà: perché voi mi appartenete, voi siete miei. Il salmista dice di Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo. E Gesù diceva: conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre. La conoscenza qui indica l’amore. Gesù ci ama con lo stesso amore con cui è amato dal Padre. Nell’amore di Gesù per noi riceviamo l’amore di Dio Padre. Quest’amore di Dio per noi si manifesta nella morte di croce. Gesù dona la vita per noi per obbedire al comando del Padre e lo fa nello stesso tempo volentieri. Mentre per noi la morte è un fatto ineluttabile, Gesù è andato incontro alla morte volontariamente. Lo ricordiamo in ogni messa al momento della consacrazione: Egli offrendosi volontariamente…
Donando la sua vita sulla croce Gesù salva e raduna le pecore di Dio, sia quelle presenti tra gli ebrei e sia quelle sparse tra i popoli. Egli è venuto per tutti, è l’unico salvatore del mondo. Nella prima lettura Pietro diceva: In nessun altro c’è salvezza, non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati. Come cristiani dialoghiamo con tutti. Ma da ciò non dobbiamo dedurre che una religione vale l’altra, e che i fondatori delle altre religioni siano paragonabili a Gesù. Gesù è l’unico salvatore. Lo ha detto lui: Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. E Pietro gli faceva eco nella prima lettura di oggi: In nessun altro c’è salvezza. Se uno non ha fatto esperienza di Gesù, le sue parole sembrano una pretesa inaccettabile. Ma per chi lo ha conosciuto, le parole di Gesù sono la pura verità. Gesù con la sua morte raduna tutti gli uomini nella chiesa, la famiglia dei figli di Dio. Siamo venuti al mondo nascendo nella famiglia naturale, fatta da un papà e da una mamma, e siamo rinati a vita nuova nella chiesa che è la famiglia dei figli di Dio.
Gesù, dopo averci detto qual è il suo carattere fondamentale, cioè di dare la vita per noi, ci dice qual è il carattere fondamentale delle sue pecore, delle pecore che appartengono al suo gregge: Ascolteranno la mia voce. Precedentemente aveva detto che le sue pecore ascoltano soltanto la sua voce: Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei. L’estraneo è il demonio e tutti i suoi emissari, i cattivi maestri presenti nel mondo e, ahimè, anche nella chiesa. Cattivi maestri perché danno il cattivo esempio, oppure perché adulterano l’insegnamento di Gesù. Le pecore di Gesù Cristo ascoltano solo la sua voce. L’ascolto di cui parla Gesù è quello della fede che si fonda sulla sua parola. Le pecore di Gesù non seguono gli estranei, non si lasciano ingannare dai cattivi maestri. Se io dicessi qualcosa che è contro la fede o contro la morale, se voi siete pecore di Gesù Cristo, ve ne accorgete subito. Se non ve ne accorgete, vuol dire che non siete pecore di Gesù. Le pecore di Gesù hanno imparato a conoscere la sua voce dalle Scritture e dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che sono la sorgente da cui scaturisce l’acqua pura della sua parola. Se ci abituiamo a bere quest’acqua, poi sappiamo riconoscere ogni acqua che non ha lo stesso sapore perché è stata inquinata. L’ascolto di cui parla Gesù è poi quello che ci porta a comportarci come lui. Per questo Giovanni dice nella prima delle lettere dice: Se Gesù ha dato la vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli.
Se vogliamo essere pecore del gregge di Gesù Cristo, dobbiamo ascoltare solo la sua voce, dobbiamo credere solo in lui e seguire il suo comportamento.
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14 aprile 2024 – III domenica di Pasqua B
Liturgia della Parola: 1Lettura: At 3,13-15.17-19 — Salmo responsoriale: Sal 4 – 2Lettura: 1Gv 2,1-5a — Vangelo: Lc 24,35-48.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosé, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Parola del Signore.
Omelia
Di questo voi siete testimoni. Gesù risorto spiega ai discepoli che tutto quello che era avvenuto, la sua morte e risurrezione, era stato predetto dai profeti. E conclude: Di questo voi siete testimoni. I testimoni sono quelli che hanno assistito ad un evento e possono attestare quello che hanno visto. I discepoli hanno seguito Gesù nella sua missione terrena. Lo hanno visto morto e risorto e quindi sono testimoni. Ma sono testimoni soprattutto perché hanno compreso chi è Gesù e il senso di quello che ha fatto. Anche i capi religiosi hanno visto Gesù morto, eppure non posso dirsi testimoni, perché non hanno compreso chi è Gesù e il senso della sua morte. Invece i discepoli istruiti da Gesù sulla base delle Scritture sono testimoni privilegiati. Le Scritture, cioè l’Antico Testamento, sono la chiave di lettura per potere comprendere la morte e la risurrezione di Gesù. In particolare il profeta Isaia nei capitoli 52,13-53,12, dove parla della sofferenza e della morte del servo del Signore e poi della sua risurrezione. I discepoli hanno capito che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, che è morto per espiare i nostri peccati ed è risorto per renderci partecipi della vita divina. Le Scritture avevano predetto la morte e la risurrezione del Cristo e poi che nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati. I discepoli dovranno portare a tutti gli uomini la salvezza realizzata da Gesù. La salvezza che Gesù ci ha ottenuto morendo e risorgendo non raggiunge automaticamente tutti gli uomini. Per questo egli manda i discepoli a portare la sua salvezza a tutti gli uomini. Se la salvezza di Gesù arrivasse automaticamente a tutti gli uomini, non ci sarebbe stato bisogno di mandare i discepoli ad annunciare il vangelo. Non ci sarebbe bisogno della chiesa, dei sacramenti e della messa domenicale. Perché gli uomini siano salvati, devono conoscere e credere in Gesù. Da qui la necessità che i discepoli annuncino Gesù Cristo. Nella prima lettura abbiamo ascoltato che l’apostolo Pietro annuncia Gesù Cristo proprio a quelli che lo hanno fatto condannare a morte: Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni.
I discepoli dunque sono testimoni perché hanno visto e hanno capito. Ma c’è un altro aspetto per cui sono testimoni. I discepoli sono i primi ad usufruire della salvezza di Gesù Cristo. Domenica scorsa abbiamo ascoltato che Gesù risorto apparendo loro dice: Pace a voi! E poi soffiò e disse: Ricevete lo Spirito Santo. I discepoli ricevono il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo. Ricevendo la grazia della salvezza vengono trasformati e resi simili a Gesù. Possiamo notare questa trasformazione mettendo a confronto i Vangeli e gli Atti degli Apostoli. Nei Vangeli vediamo che i discepoli sono pieni di difetti e di limiti umani. Negli Atti degli Apostoli sono completamente trasformati. Prendiamo per esempio i due fratelli Giacomo e Giovanni. Sono impulsivi e vendicativi. Ricordate quell’episodio in cui Gesù entra in un villaggio di samaritani. I samaritani non vogliono accoglierlo. Giacomo e Giovanni dicono a Gesù: Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? Gesù li rimprovera. Mentre stanno salendo a Gerusalemme, sempre loro due si avvicinano a Gesù e gli chiedono di poter sedere uno alla sua destra e uno alla sua sinistra nel suo regno. Vogliono avere una posizione privilegiata rispetto agli altri discepoli. Quando gli altri dieci li sentono, si sdegnano con loro, ma non perché hanno sbagliato con la loro richiesta ma perché hanno scoperto che volevano prevalere su di loro. Quindi anche gli altri che non avevano fatto la stessa richiesta erano comunque pieni di orgoglio. Quando Gesù annuncia loro che si sarebbero scandalizzati e lo avrebbero abbandonato, tutti dicevano che non sarebbe successo e Pietro che avrebbe dato la vita per lui. Poi sappiamo come andò a finire quando Gesù viene arrestato. Dopo che i discepoli hanno ricevuto la salvezza di Gesù vengono trasformati e assimilati a lui. I discepoli così diventano testimoni della potenza di Gesù risorto che trasforma e assimila a sé quelli che credono in lui. Ricapitolando i discepoli sono testimoni perché hanno visto, hanno compreso, si sono lasciati assimilare a Gesù.
Tutti i discepoli delle generazioni successive possono diventare testimoni secondo quest’ultimo aspetto. Pensiamo ai santi. Noi qui abbiamo le immagini di San Francesco di Paola, San Francesco di Sales, San Charbel. Questi santi sono testimoni di Gesù, non perché lo hanno visto. Hanno accolto la testimonianza dei primi discepoli custodita e trasmessa nella chiesa. Sono testimoni della potenza di Gesù risorto, che li ha trasformati e resi simili a sé nell’amore. I santi sono una prova che Gesù Cristo è veramente risorto e continua ad operare. San Francesco di Paola non è nato santo, ma lo è diventato accogliendo nella propria vita la salvezza di Gesù Cristo morto e risorto. Con la sua vita di santo san Francesco testimonia la potenza di Gesù risorto. Anche noi siamo chiamati a testimoniare nella nostra vita Gesù Cristo risorto.
Nella seconda lettura abbiamo ascoltato: Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Se facciamo esperienza di Gesù, se stiamo uniti a lui, la nostra vita viene trasformata e assimilata alla sua. Non diventiamo simili a Gesù nell’aspetto. Non diventiamo simili a Gesù nei miracoli. Certo potrebbe anche succedere, ma solo in casi rari. Diventiamo simili a Gesù nell’amore a Dio e al prossimo. Per fare esperienza di Gesù dobbiamo vivere inseriti nella comunità che si raduna ogni domenica per celebrare l’eucaristia. E poi avere un rapporto personale con Gesù con la preghiera e la lettura delle Scritture. Intendiamo, l’esperienza con Gesù non ci trasforma in moto automatico se noi non siamo disponibili a lui. Se io partecipo alla messa ma il mio cuore non è rivolto al Signore, è diviso e io sono qui ma la mia mente è altrove, non incontro Gesù Cristo. Ma se facciamo esperienza di Gesù con disponibilità, allora piano piano siamo trasformati e assimilati a lui.
Di questo voi siete testimoni. Gesù lo diceva innanzitutto ai discepoli che aveva dinanzi, ma lo dice oggi anche a noi. Noi siamo chiamati a testimoniare la potenza di Gesù Cristo risorto che ha trasformato la nostra vita, siamo chiamati ad annunciarlo con la bocca e con i nostri comportamenti.
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7 aprile 2024 – II domenica di Pasqua o della Divina Misericordia
Liturgia della Parola: 1Lettura: At 4,32-35 — Salmo responsoriale: Sal 117 – 2Lettura: 1Gv 5,1-6 — Vangelo: Gv 20,19-31.
Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Parola del Signore.
Omelia
Gesù risorto appare ai suoi discepoli e dona loro la salvezza. Con la sua morte e risurrezione Gesù ha operano la nostra salvezza. Con la sua morte ha espiato i nostri peccati, con la risurrezione ci fa dono dello Spirito Santo. Abbiamo ascoltato che Gesù saluta i discepoli dicendo: Pace a voi, e poi soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo. Gesù dunque comunica la salvezza ai suoi discepoli, che consiste nel perdono dei peccati e nel dono dello Spirito santo. Il peccato ci separa da Dio. Se c’è il peccato, non c’è posto per Dio. Se c’è Dio, non c’è posto per il peccato. Gesù ci riconcilia con Dio, con noi stessi e con il prossimo. Il peccato infatti ci separa da Dio, provoca una separazione nella nostra coscienza, e genera le incomprensioni e le divisioni con il prossimo. Gesù poi comunica il dono dello Spirito Santo che è in noi il principio della vita divina. Abbiamo ascoltato che soffiò. Il soffio, il respiro è la vita. Questo gesto ci fa venire in mente il racconto della creazione dell’uomo. Dio plasmò l’uomo con fango dalla terra, poi alitò nelle sue narici, e l’uomo divenne un essere vivente. Dio ha infuso l’anima nell’uomo. In ognuno di noi Dio ha infuso l’anima nel momento del concepimento. L’anima è il principio della vita fisica e biologica. Lo Spirito Santo infuso da Gesù è il principio della vita divina in noi. Nel momento stesso in cui Gesù comunica la salvezza ai discepoli li incarica di continuare la sua missione: Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Dovranno portare agli uomini la sua salvezza, e cioè il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo: A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati. Gesù fa intendere che i discepoli dovranno valutare a chi dare la salvezza o meno. Ma non dice su quale base faranno questa valutazione. O meglio non lo dice esplicitamente ma si comprende bene dall’episodio di Tommaso e poi da altri passi del Nuovo Testamento. Abbiamo ascoltato che i discepoli dicono a Tommaso: Abbiamo visto il Signore! I discepoli rendono testimonianza che Gesù è risorto e quindi è il Signore. I discepoli sono la chiesa nascente, la chiesa in embrione. Ma Tommaso non vuole credere, perché vuole verificare con gli occhi e le mani che Gesù è veramente risorto.
San Agostino all’età di diciotto anni cade in una crisi di fede e si allontana dalla chiesa cattolica per aderire alla setta dei Manichei. Costoro gli assicuravano che avrebbero risposto a tutte le sue domande soltanto con la ragione. In seguito si accorse che non erano capaci di mantenere questa promessa. Agostino ha riflettuto molto sulla fede. Innanzitutto sulla fede nei rapporti umani ed ha scoperto che senza la fede, noi dovremmo rinunciare quasi al 90% delle nostre conoscenze. Per esempio, se io vado da un medico e mi dice che soffro di gastrite, se voglio guarire mi devo fidare di lui. Se valesse il comportamento di Tommaso, io dovrei prendermi una laurea in medicina e poi potrei accertarmi dei miei disturbi gastrici. È vero, se non mi fido di un medico, posso andare da un altro. Ma alla fine per seguire la via più corta, devo fidarmi di qualche medico, perché se volessi verificare da me stesso come chiede Tommaso, dovrei per forza prendermi una laurea in medicina. Lo stesso ragionamento vale per le conoscenze storiche. Io mi fido di quello che mi dicono gli storici che Garibaldi è nato a Nizza. Se volessi verificare questo, dovrei fare delle ricerche. Così anche per molte altre conoscenze, noi ci fidiamo di altri che ce le insegnano. La fede in se stessa è una cosa buona, quello che bisogna considerare è di chi fidarsi, e cioè che la persona a cui prestiamo fede sia credibile e non menzognera. Per quanto riguarda i primi discepoli di Gesù che testimoniarono la sua risurrezione, ci sono molti argomenti a favore della loro credibilità. Ne cito uno soltanto: la maggior parte di loro sono stati uccisi a motivo di quello che annunciavano. Ora è impensabile che si sarebbero fatti uccidere per una cosa inventata da loro. Non parliamo di una sola persona, ma di molti discepoli. L’apostolo Paolo nel capitolo 15 della prima lettera ai Corinzi fa un elenco dei testimoni di Gesù risorto. Parla addirittura di 500 fratelli radunati insieme, molti dei quali, erano ancora viventi mentre scriveva. Tommaso con la sua incredulità non può ricevere la salvezza di Gesù Cristo.
Nella seconda lettura si parla di un altro criterio per ricevere la salvezza. Il Cristo, dice l’apostolo, è quello che è venuto con acqua e sangue. In quel tempo c’erano diversi che si spacciavano come il Cristo di Dio. Giovanni ci tiene a precisare che il Cristo vero è quello che è stato battezzato da Giovanni, l’acqua, ed è morto sulla croce, il sangue. Poi un altro criterio per potere ricevere la salvezza è chiaramente la conversione, la volontà di rinunciare al male.
La prima e la seconda lettura ci parlano delle ricadute della salvezza in coloro che la ricevono. Ci sono ricadute nella vita personale e poi nella comunità. Nella vita personale, avendo ricevuto lo Spirito Santo, essendo partecipi della vita di Dio che è amore, impariamo ad amare sul serio Dio e il prossimo. L’apostolo precisa che l’amore a Dio e al prossimo è quello regolato dai comandamenti. Infatti ci potrebbe essere un amore a Dio e al prossimo che non è quello autentico. I cristiani fanno parte della famiglia dei figli di Dio che è la chiesa. Nella prima lettura si dice che i credenti erano un cuore solo e un’anima sola. Erano cioè uniti tra di loro, uniti nella fede, uniti nell’amore reciproco. Nessuno di loro era bisognoso, perché chi possedeva condivideva i propri beni con chi era nel bisogno.
Ringraziamo il Signore perché, come dice il salmo, il suo amore è per sempre, da morti che eravamo per i nostri peccati ci ha fatti rivivere in Cristo, rendendoci partecipi della sua stessa vita.