Meditazioni tempo ordinario 2023

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19 novembre 2023 – XXXIII domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Prv 31,10-13.19-20.30-31 — Salmo responsoriale: Sal 127 – 2Lettura: 1Ts 5,1-6 — Vangelo: Mt 25,14-30.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Parola del Signore.

Omelia
La parabola dei talenti come quella delle dieci vergini è una parabola di giudizio. Infatti entrambe si concludono con un giudizio. In quella delle dieci vergini le sagge entrano con lo sposo alla festa di nozze, le stolte rimangono escluse. Nella parabola dei talenti il padrone approva e premia i servi che hanno fatto fruttificare i talenti, invece rimprovera e condanna il servo che ha nascosto il talento senza farlo fruttificare. Queste due parabole precedono il racconto del giudizio universale che ascolteremo domenica prossima, solennità di Cristo Re dell’universo.

Il padrone della parabola dei talenti che parte e ritorna dopo molto tempo è chiaramente Gesù Cristo. Sembra essere partito da noi perché con l’ascensione al cielo si è sottratto ai nostri sguardi. Ma in realtà sappiamo che è con noi, come ci ha promesso, tutti i giorni sino alla fine del mondo. E ci ha detto anche come è con noi: Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là ci sono io. Dunque Gesù è qui in mezzo a noi radunati nel suo nome per celebrare la santa messa in obbedienza al suo comando: Fate questo in memoria di me. Ma siccome Gesù non si fa vedere, sembra che sia partito da noi. Così quando si manifesterà, diciamo che ritorna a noi. Gesù si manifesterà a ciascuno di noi subito dopo la morte, quando ci sarà il giudizio particolare che si distingue dal giudizio universale che sarà alla fine del mondo. Il giudizio universale della fine del mondo non è un doppione e lo spiegherò la prossima domenica.

Il padrone della parabola prima di partire consegna ai servi dei talenti, a ciascuno secondo le sue capacità. Gesù ha lasciato a tutti noi i suoi talenti, cioè i suoi beni. Ma quali sono i beni che Gesù ci ha lasciato? Innanzitutto la sua parola. La parola di Gesù è il bene più grande. Senza la parola di Gesù noi saremmo nel buio totale. La parola di Gesù ci illumina facendoci conoscere Dio, il progetto di Dio su di noi, le promesse di Dio e ci indica la via da seguire per raggiungere la salvezza definitiva. La parola di Gesù dunque è luce alla nostra mente che altrimenti sarebbe nelle tenebre. Il salmista dice a Dio: Lampada ai miei passi è la tua parola. Gli altri beni di Gesù sono i sette sacramenti attraverso i quali ci comunica la sua grazia, in particolare il sacramento dell’Eucaristia. Ogni sacramento produce in noi un effetto particolare, ma è sempre la stessa grazia di Gesù Cristo che ci viene comunicata.

Ma perché a uno dà cinque talenti, a un altro due e ad un altro ancora uno? Ciascuno di noi è unico  e irripetibile. Non siamo come delle statuette prodotte in serie. La società in cui viviamo vorrebbe ridurci così, omologandoci in modo che tutti pensiamo la stessa cosa, diciamo le stesse parole, vestiamo allo stesso modo e via dicendo. Dio invece ci ha fatti unici e irripetibili, come dimostra anche il DNA che è unico per ciascun uomo. Noi siamo come dei recipienti, più grandi e più piccoli. Quindi c’è chi può ricevere maggiormente la parola di Gesù e la sua grazia e chi meno. L’importante e farli fruttificare. Abbiamo ascoltato che il servo subito andò ad impiegare i talenti e ne guadagnò altri cinque. Non perse tempo, andò subito. Pensiamo alla Madonna. Dopo aver accolto la parola e la grazia di Dio nell’Annunciazione, subito si reca dalla cugina Elisabetta a prestarle aiuto. Questa sollecitudine a lavorare con la parola e la grazia di Dio dipende da un atteggiamento che viene menzionato nella prima lettura e nel salmo.

Nella prima lettura si dice: la donna che teme Dio è da lodare. E nel salmo: Beato l’uomo che teme il Signore. Il timore di Dio rende zelanti per far fruttificare la parola e la grazia di Gesù. Non si tratta del timore servile, di chi teme di essere punito, ma del timore del figlio, che non vuole recare dispiacere al padre. Quando noi vogliamo bene ad una persona, perché quella persona per noi è importante, stiamo attenti a non recarle dispiaceri, facciamo tutto quello che gli è gradito. Il timore del Signore è così. Il servo della parabola ha agito con sollecitudine perché sapeva che questo piaceva al padrone ed egli voleva compiacerlo. Così facciamo anche noi se abbiamo il timore del Signore, non perdiamo tempo per far fruttificare i suoi talenti.

Dalla prima lettura impariamo anche cosa dobbiamo fare per farli fruttificare. La donna di cui si parla non pensa affatto a se stessa, ma al marito, ai figli, e agli altri. Si spende a servirli. Le sue mani non stanno mai ferme: Si procura lana e lino/e li lavora volentieri con le mani./Stende la sua mano alla conocchia/e le sue dita tengono il fuso./Apre le sue palme al misero,/stende la mano al povero. Quando lavoriamo con la parola e la grazia di Gesù Cristo ci mettiamo a servizio del prossimo. Il prossimo è chi ci sta vicino. Quindi il servizio di amore inizia nella famiglia, tra marito e moglie, tra questi e i figli, e poi via via si allarga anche all’esterno ad ogni persona che incontriamo sul nostro cammino. Quando il Signore verrà ci chiederà conto dei talenti che ci ha affidato.

La parabola pone in risalto la condanna del servo fannullone, per ammonirci a non fare lo stesso. Il servo si giustifica dicendo che ha nascosto il talento, primo perché sapeva che se non agiva lui avrebbe in qualche modo provveduto il padrone e poi perché ebbe paura. A volte siamo tentati anche noi di fare lo stesso. Quando per compiere un’opera buona dobbiamo esporci ai giudizi degli altri, per paura ce ne laviamo le mani, e rassicuriamo noi stessi dicendo che provvederà Dio. Certo Dio può provvedere a tutto, ma ha voluto che noi collaborassimo con lui. E per agire nella storia si serve sempre degli uomini. Chi non fa niente e se ne sta a guardare gli altri, certo, sembra irreprensibile, ma in realtà è un grande egoista. Il Signore dunque vuole che ci impegniamo, che ci mettiamo in gioco lavorando con la sua parola. Il Signore rimprovera il servo fannullone: Servo malvagio e piego. Malvagio, avrebbe potuto fare tanto bene seguendo la parola di Dio. Invece ha pensato solo a se stesso. Così viene condannato e cacciato fuori.

In queste domeniche abbiamo incontrato l’invitato senza abito nuziale, che viene cacciato fuori, le vergini stolte che rimangono fuori, e quando bussano alla porta dal di dentro viene risposto loro: non vi conosco. E oggi questo servo che non ha impiegato il talento viene cacciato fuori. Tutti costoro hanno ascoltato la parola di Gesù e non l’hanno messa in pratica, non hanno fatto fruttificare la parola e la grazia di Gesù con le opere buone. Non dobbiamo fare come costoro, ma dobbiamo imitare i servi che hanno impiegato i talenti, raddoppiandoli. Il padrone diceva: A chiunque ha verrà dato e sarà nell’abbondanza. Chiunque verrà trovato con le opere buone riceverà il paradiso. Il padrone diceva al servo: Prendi parte alla gioia del tuo padrone. Il paradiso è partecipazione alla vita felice di Dio. Sin da adesso Dio ci fa sperimentare la sua gioia, a volte ce la somministra in gocce, a volte in misura più abbondante, ma sempre come una primizia. Nel paradiso godremo della felicità perfetta con Dio: Prendi parte alla gioia del tuo padrone.

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5 novembre 2023 – XXXI domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Ml 1,14b-2,2b.8-10 — Salmo responsoriale: Sal 130 – 2Lettura: 1Ts 2,7b-9.13 — Vangelo: Mt 23,1-12.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Parola del Signore.

Omelia
Nel vangelo di oggi Gesù ci insegna come dobbiamo comportarci con i cattivi maestri. Chi sono i maestri nella chiesa? Innanzitutto il Papa, poi i vescovi, i sacerdoti, i diaconi e le catechiste. Tutti costoro costituiscono la chiesa docente, che insegna a nome di Gesù Cristo, tutti gli altri fedeli formano la chiesa discente, che cioè apprende come i discepoli. Ma anche i maestri per essere tali devono farsi discepoli di Gesù Cristo. Infatti abbiamo ascoltato da Gesù che lui è l’unico maestro e l’unica guida. Quelli che insegnano per essere buoni maestri devono mettere in pratica le cose che dicono agli altri. Per esempio una catechista è credibile quando insegna ai fanciulli a fare silenzio in chiesa e lei per prima mette in pratica questo. Quando invece un maestro dice una cosa e ne fa un’altra, allora è un cattivo maestro. Al tempo di Gesù erano così gli scribi e i farisei. Insegnavano bene e razzolavano male. Quando ci troviamo con cattivi maestri siamo tentati di fare lo stesso. Se la catechista mi dice che la domenica bisogna partecipare alla messa, ma io mi accorgo che la catechista non partecipa, allora io faccio lo stesso. Se il parroco insegna che bisogna perdonare e poi quando gli fanno un torto se lo lega al dito per vendicarsi, io fedele sono portato a fare lo stesso. Gesù al contrario ci dice che dobbiamo fare quello che i cattivi maestri ci insegnano, perché è la sua parola e quindi se la seguiamo ci conduce alla salvezza: Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Non dobbiamo imitare il loro comportamento perché non osservano la parola di Gesù, e se li seguiamo andremo insieme con loro nella rovina. Non tutti però riescono a fare questa distinzione. E alcuni vengono danneggiati dai cattivi maestri, soprattutto quelli che sono deboli nella fede.

Nella prima lettura il profeta Malachia a nome di Dio ci presenta un altro caso di cattivi pastori. Sono i sacerdoti del tempo che si comportavano male e insegnavano anche cose sbagliate: Avete deviato dalla retta via e siete stati di inciampo a molti con il vostro insegnamentonon avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento. Costoro sono completamente corrotti. Quando c’è un cattivo maestro che insegna bene ma si comporta male, posso sempre fare quello che mi ha detto Gesù, seguire il suo insegnamento e fuggire il suo comportamento. Ma quando un maestro si comporta male e insegna male, non c’è nulla da prendere. Dobbiamo evitarlo del tutto, perché è completamente corrotto. Se lo seguiamo si realizza quello che ha detto Gesù quando ha paragonato il cattivo maestro e chi lo segue ad un cieco che guida un altro cieco.

Ma come facciamo a comprendere che l’insegnamento di un pastore è genuino, cioè corrisponde alla parola di Dio, oppure è guasto, poiché il pastore insegna cose sbagliate? Quello che sto per dire è molto importante, perché la nostra fede non si può basare sulle opinioni di coloro che insegnano  nella chiesa, siano essi vescovi, sacerdoti e catechisti, ma soltanto sulla parola di Gesù, che è l’unico vero maestro.

La parola di Dio non è nascosta, non è riservata a pochi eletti, ma è pubblica. È contenuta nelle Scritture e nella Tradizione della chiesa, che sono di pubblico dominio. Poi abbiamo il Catechismo della Chiesa Cattolica che ci offre un’ottima sintesi della dottrina cristiana. Ma meglio di tutto ciò abbiamo la testimonianza dei santi. Che cosa dicevano i santi della messa domenicale? È un dovere partecipare oppure è un optional? Pensiamo al beato Carlo Acutis, che non solo partecipava la domenica alla messa ma tutti i giorni. Che cosa pensavano i santi sulla convivenza? Oggi il 99% delle coppie di fidanzati convivono o palesemente o ufficiosamente. Che cosa diceva san Giovanni Paolo II sulla convivenza? I santi sono i maestri autentici, perché hanno messo in pratica quello che insegnavano. Noi dobbiamo guardare a loro e procederemo sicuri verso la via della salvezza.

Invece molti vanno dietro all’opinione di questo o quell’altro sacerdote. E pur notando divergenze su alcuni argomenti di fede e di morale, non cercano di approfondire la cosa, forse perché per partito preso vogliono seguire l’opinione che si accorda meglio con i loro gusti. Ma in questo modo, se il sacerdote che abbiamo scelto di seguire somiglia a quelli rimproverati dal profeta, rischiamo di andare fuori strada. Avete sentito cosa diceva Dio a questi sacerdoti: Avete deviato dalla retta via e siete stati di inciampo a molti con il vostro insegnamentonon avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento. Questi sacerdoti pare che chiudessero un occhio o tutti e due riguardo ad alcune trasgressioni della Legge. Nel caso di una malattia fisica ci comportiamo con molto scrupolo e cerchiamo di approfondire la cosa, quando vediamo che ci sono divergenze tra i medici nella diagnosi. Facciamo questo perché vogliamo guarire. Dovremmo avere la stessa premura nell’apprendimento della dottrina cristiana per conoscere l’autentica parola di Gesù, perché da essa dipende la nostra salvezza. Quando abbiamo appurato che l’insegnamento che ci viene impartito dai maestri della chiesa è autentico, allora dobbiamo comportarci come i cristiani di Tessalonica. L’apostolo elogiandoli dice di loro: ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, lavete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti. Così dobbiamo fare anche noi.

Gesù infine ci mette in guardia da un atteggiamento sbagliato che è presente nei cattivi maestri. Costoro svolgono il loro compito non preoccupandosi del bene delle persone ma del prestigio, dei titoli e degli onori connessi. Ricordiamoci che già i Dodici, dopo che Gesù aveva annunciato per la prima volta la sua passione, discutevano tra di loro chi fosse il più grande. E due di loro, Giacomo e Giovanni, che erano fratelli, si rivolgono alla loro mamma, dicendole di chiedere a Gesù di poter sedere uno alla destra e uno alla sinistra nel suo regno. Gli altri dieci si sdegnarono con loro quando vennero a sapere la cosa, perché si sentivano scavalcati. Il desiderio della gloria umana è un punto debole in ciascuno di noi insieme al desiderio del piacere e del possesso. La gloria umana, l’umana grandezza, sono illusioni che recano una certa gratificazione, ma poi lasciano più insoddisfatti di prima. Gesù invece insegna un altro tipo di grandezza, quello del servizio dell’amore che lui stesso ha praticato: Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo. E ancora: Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. La vera grandezza si ottiene amando come Gesù ci ha insegnato, un amore che si mette a servizio degli altri, un amore che si dona con grande umiltà.

Gesù concludeva: chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato. Chi cerca la propria gloria, chi cerca di essere superiore agli altri, viene umiliato da Dio che lo lascia nella sua illusione, invece chi si umilia mettendosi al servizio degli altri, sarà esaltato da Dio che lo porta al proprio livello, lo fa suo amico, di più, suo figlio e suo confidente. Che cosa c’è di più grande di questo? Chiediamo al Signore che ci aiuti a discernere la sua parola dagli insegnamenti spuri. Pregate per noi maestri poveri peccatori. E tutti insieme seguiamo Gesù mettendoci a servizio gli uni degli altri.

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29 ottobre 2023 – XXX domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Es 22,20-26 — Salmo responsoriale: Sal 17 – 2Lettura: 1Ts 1,5c-10 — Vangelo: Mt 22,34-40.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Parola del Signore.

Omelia
Probabilmente se ci fossimo trovati a parlare con Gesù gli avremmo fatto la stessa domanda del dottore della legge, con la differenza che questi lo interrogò per sentirgli dire qualcosa con cui accusarlo, noi invece per conoscere il suo insegnamento. Nella Bibbia ci sono diversi comandamenti, sotto forma di prescrizioni e di divieti. Se ne contano più di seicento. Tra tutti questi qual è il grande comandamento?

Gesù dice che il grande e primo comandamento è quello dell’amore di Dio. Gesù cita il libro del Deuteronomio che dice: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Cuore, anima e mente indicano l’interiorità. Quindi non un amore superficiale, ma sentito perché parte dal cuore. Un amore sincero e soprattutto totale: con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Il nostro cuore deve essere totalmente di Dio. Il cuore non è totalmente di Dio quando ci leghiamo agli idoli. Gli idoli sono tutte quelle cose a cui noi attribuiamo un valore esagerato, e per possederli siamo disposti a qualsiasi cosa e a qualsiasi sacrificio. Solitamente si parla dell’idolo della ricchezza, del piacere e del successo. Ma qualsiasi cosa a cui leghiamo il cuore in modo esagerato può diventare un idolo. Quando il cuore si lega ad un idolo o a più idoli, non è più tutto per Dio. Gli idoli danno una certa gratificazione, altrimenti nessuno si legherebbe ad essi. Ma poi nelle difficoltà lasciano da soli, perché non possono darci la salvezza. Solo Dio può salvarci e appagare i desideri più genuini del nostro cuore, che sono desiderio di verità, di amore e di vita. Per questo dobbiamo amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente.

A questo comandamento Gesù aggiunge il comandamento del prossimo, citandolo dal libro del Levitico: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Gesù ci fa capire che questi due comandamenti sono strettamente congiunti, poiché dice: Il secondo poi è simile a quello, e dice anche che la Legge e i Profeti dipendono da questi due comandamenti. Questi due comandamenti o stanno tutti e due insieme o cadono tutti e due insieme. L’apostolo Giovanni nella sua prima lettera dice che l’amore di Dio quando è autentico porta ad amare il prossimo. Se uno dice di amare Dio e non ama il prossimo, è bugiardo, perché non ama neanche Dio. Così pure l’amore del prossimo per essere autentico deve scaturire dall’amore di Dio, cioè deve essere secondo i comandamenti di Dio.

Per comprendere meglio questo facciamo un esempio. Una donna incinta facendo degli esami si accorge che il bambino che porta in grembo nascerà down. Consigliata dai medici decide di abortire e giustifica questa scelta come un atto di amore per il bambino. Alla luce dei comandamenti di Dio e anche del buon senso si comprende che non può essere un atto d’amore togliere la vita ad un bambino indifeso, ma soltanto una scelta dettata dall’egoismo per evitare a se stessi le future difficoltà derivanti da un figlio disabile.

Dunque l’amore di Dio e l’amore del prossimo devono stare insieme, se vengono divisi, non c’è più né amore di Dio né amore del prossimo.

Gesù conclude dicendo: Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti. Con questo vuole dire che tutto quello che troviamo nell’Antico Testamento e poi nel Nuovo ci inculca l’amore di Dio e del prossimo. Nella Bibbia noi troviamo racconti, esempi, insegnamenti e comandamenti. Da tutte queste cose noi apprendiamo l’amore di Dio e del prossimo. La Bibbia ci insegna nel dettaglio come bisogna amare concretamente Dio e il prossimo. Ne abbiamo alcuni saggi nella prima lettura, nel salmo e nella seconda lettura di oggi.

Nella prima lettura ci vengono dati dei comandi riguardo all’amore del prossimo: Non molesterai il forestiero né lo opprimerai…Non maltratterai la vedova o l’orfano…Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio. Questi sono soltanto alcuni saggi degli insegnamenti della Bibbia sull’amore del prossimo. Leggendo la Bibbia impareremo ad amare il prossimo nelle diverse situazioni della vita.

Nel salmo e nella seconda lettura ci vengono dati degli insegnamenti sull’amore verso Dio. L’uomo che parla nel Salmo dice: Ti amo, Signore, mia forza,/Signore, mia roccia,/mia fortezza, mio liberatore./Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;/mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo. Queste affermazioni hanno come sfondo una battaglia in campo aperto. Chi si trova in campo aperto è più esposto agli attacchi dei nemici. Se invece si trova su una roccia, può controllare meglio i movimenti del nemico e difendersi con più efficacia. Così pure si difende meglio chi è munito di uno scudo. L’orante del salmo dice che non ha bisogno di questi mezzi, roccia, rifugio, scudo, perché confida nel Signore, nel suo aiuto e nella sua potenza. Ecco, amare Dio significa confidare in lui.

Nella seconda lettura l’apostolo Paolo parla della nascita della comunità cristiana di Tessalonica, l’odierna Salonicco in Grecia, e dice che questo fatto veniva raccontato nelle altre comunità cristiane. Si diceva che i Tessalonicesi accogliendo la predicazione degli apostoli si erano convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero. L’amore a Dio significa servirlo, cioè obbedire ai suoi comandamenti, cosa che più che giovare a Dio giova a noi.

Chiediamo al Signore Gesù che istruiti dalla sua parola e trasformati  dallo Spirito Santo possiamo amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente e il prossimo come lui ci ha insegnato.

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15 ottobre 2023 – XXVIII domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Is 25,6-10a — Salmo responsoriale: Sal 22 – 2Lettura: Fil 4,12-14.19-20 — Vangelo: Mt 22,1-14.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Parola del Signore.

Omelia
Quello che ci colpisce di questa parabola è il comportamento degli invitati. Non sono stati invitati da uno qualsiasi ma dal re. E sono stati invitati per la festa di nozze del figlio. Ma gli invitati non vogliono prendere parte alla festa: Non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Con il loro comportamento gli invitati non fanno solo uno sgarbo al re ma è come se gli dicessero: non vogliamo che tu regni su di noi, non riconosciamo la tua regalità. Ma chi è questo re e chi sono gli invitati?

Gesù racconta la parabola per parlare del regno dei cieli, quindi di Dio e del nostro rapporto con lui. Il re è chiaramente Dio Padre che organizza una festa di nozze per suo Figlio, quando lo invia sulla terra. Gesù Cristo è venuto sulla terra per farci conoscere Dio e per farci entrare in comunione intima con lui. Nella Bibbia i profeti per esprimere questa comunione intima di Dio con gli uomini si servono di due immagini, quella nuziale e quella del convito. Con l’immagine nuziale Dio è presentato come lo sposo che si unisce a Israele, sua sposa, spesso infedele. Nella prima lettura abbiamo l’immagine del convito che Dio prepara per tutti i popoli della terra. Con il convito si vuole esprimere la comunione intima tra Dio e i popoli della terra. La festa di nozze del figlio del re è l’incarnazione di Gesù Cristo che chiama tutti noi ad entrare in comunione intima con Dio.

I primi invitati alla festa sono gli israeliti che non accettano l’invito del re, perché rifiutano Gesù Cristo. E rifiutando Gesù Cristo, rifiutano Dio che lo ha mandato. Le conseguenze di questo rifiuto sono terribili. Gli israeliti perdono la terra, la città di Gerusalemme viene distrutta, essi stessi vengono dispersi tra tutti i popoli. Nella parabola è il re che manda le sue truppe a compiere queste cose. Nella realtà queste cose saranno compiute dai romani. Da questo episodio storico possiamo comprendere la dinamica del castigo di Dio. Gli israeliti hanno rifiutato il Figlio di Dio, e quindi perdono la protezione di Dio, così che i nemici prevalgono su di loro. Quando pecchiamo e ci ribelliamo a Dio, ci rendiamo vulnerabili ai nemici visibili e invisibili. Il castigo di Dio viene chiamato così non perché lo provochi lui, ma perché dipende dal nostro allontanamento da lui.

Visto che i primi invitati non vogliono prendere parte alla festa di nozze, il re manda a chiamare tutti quelli che non erano stati invitati. Si allude alla predicazione del vangelo ai popoli stranieri. I servi che vanno a radunare gli invitati sono gli apostoli di Gesù, i discepoli, i predicatori del vangelo. Radunano gli invitati nella sala, che si riempie di buoni e cattivi. La sala è la chiesa sparsa su tutta la terra. La chiesa si manifesta ogni domenica nell’assemblea che si raduna per la messa. Noi radunati qui siamo una manifestazione della chiesa. Nella chiesa, come dice la parabola, ci sono buoni e cattivi. Non sta a noi giudicare chi sono i buoni e chi i cattivi. Questo lo farà il Signore a suo tempo. Alcune domenica fa abbiamo ascoltato nella liturgia della parola che su questa terra non c’è nulla di definitivo, e i buoni possono diventare cattivi e i cattivi buoni.

Il re entra nella sala per vedere gli invitati e scorge un tale che è senza l’abito nuziale. Questo tale manca di rispetto verso il re, verso il figlio del re, e verso gli altri invitati. Come ha potuto pensare di entrare alla festa senza l’abito nuziale? Il re dunque ordine che sia scacciato dal convito.

Come vediamo i primi invitati rifiutano l’invito e si escludono da se stessi dal convito. Questo tale accoglie l’invito ma si presenta senza abito nuziale e viene scacciato dal convito. Tutti costoro hanno sbagliato perché non corrispondono alla chiamata di Dio. È questo il messaggio fondamentale della parabola: per partecipare alla festa di nozze del figlio del re, cioè per entrare in comunione intima con Dio, bisogna corrispondere alla sua chiamata. Gesù diceva: molti sono chiamati, ma pochi eletti. Gli eletti sono quelli che corrispondono alla chiamata di Dio.

Se ci guardiamo intorno, ci sono alcuni cristiani che si comportano come i primi chiamati, e altri che si comportano come questo tale che è senza l’abito nuziale.

Ci sono cristiani che disertano la messa domenicale, a cui Dio ci invita per stare in comunione intima con lui mediante Gesù Cristo. Nella messa Dio ci parla attraverso le letture e si fa nostro cibo nell’eucaristia, più intimo di così. Questi fratelli la domenica sentono le campane, ascoltano qualche amico che dice loro: vado a messa, ed è Dio che sta dicendo loro per mezzo dell’amico: vieni anche tu, ma essi non se ne curano. E vanno chi al proprio campo, chi ai propri affari. Agendo così non riconoscono la regalità di Dio sulla loro vita. Se riconoscessero la regalità di Dio sulla loro vita, e cioè che la loro vita dipende da Dio, dipende da Dio il successo del loro lavoro, non trascurerebbero il suo invito alla messa.

Ci sono cristiani poi che partecipano alla messa, ma senza abito nuziale. Pregano, ma non si convertono. Si comportano come quelli che dicono: Signore, Signore, ma non compiono la volontà di Dio. Si fanno una fede a modo proprio, scelgono il sacerdote che si adatta ai loro gusti, che nelle omelie non tratta alcuni argomenti di cui non vogliono sentir parlare, perché li chiamano in causa ed non vogliono convertirsi. Questi fratelli, detto in poche parole, vogliono servire Gesù Cristo e il mondo, e alla fine vivono come fanno tutti, trascurando la parola di Dio. Sono senza abito nuziale, perché mancano della fede, della speranza e della carità, autentiche.

Da quanto detto comprendiamo che se vogliamo essere eletti da Dio, come diceva Gesù, dobbiamo corrispondere alla sua chiamata, vivendo all’interno della chiesa, dobbiamo corrispondere alla sua chiamata mettendo in pratica la sua parola. I comandamenti di Dio non sono gravosi se noi ci lasciamo trasformare dalla sua grazia. L’apostolo diceva nella seconda lettura: Tutto posso in colui che mi dà la forza.

Gli eletti, quelli che hanno corrisposto alla chiamata di Dio, staranno con lui per l’eternità. Nella prima lettura la comunione degli eletti con Dio viene descritta come un banchetto: Preparerà il Signore degli eserciti/per tutti i popoli, su questo monte,/un banchetto. Dio che ci chiama al banchetto eucaristico su questa terra ci vuole preparare al banchetto del cielo, dove noi lo vedremo faccia a faccia e non ci saranno più tutte le cose tristi e brutte della vita terrena, in particolare non ci sarà più la cosa più brutta e che ci fa più soffrire, la morte.

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1° ottobre 2023 – XXVI domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Ez 18,25-28 — Salmo responsoriale: Sal 24 – 2Lettura: Fil 2,1-11 — Vangelo: Mt 21,28-32.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Parola del Signore.

Omelia
Su questa terra non c’è nulla di definitivo. I buoni possono diventare cattivi e i cattivi possono diventare buoni. Nessuno di noi deve sentirsi al sicuro. Nel vangelo vediamo che i pubblicani e le prostitute si convertono e i capi dei sacerdoti e gli anziani si allontanano da Dio. Quindi ci può essere una conversione al bene e una conversione al male. I capi dei sacerdoti e gli anziani erano con Dio, in quanto guide religiose del popolo. Ma poi non accolgono l’inviato di Dio Giovanni il Battista e in questo modo si allontanano da lui. E avanzeranno ancora in questo allontanamento fino all’estremo rifiutando Gesù Cristo, il Figlio di Dio, e facendolo condannare alla morte di croce. I pubblicani e le prostitute erano immersi nei peccati e nei vizi. Ma poi accolgono Giovanni il Battista e si convertono a Dio. Accoglieranno soprattutto Gesù. Pensiamo a Zaccheo, il pubblicano, che accolse con gioia Gesù nella sua casa e si convertì, pensiamo al pubblicano Matteo che accolse l’invito di Gesù a seguirlo e da pubblicano diventa discepolo ed evangelista, pensiamo a Maria Maddalena, la prostituta, che diventerà discepola di Gesù e sarà la prima testimone della sua risurrezione.

Nella prima lettura per bocca del profeta Ezechiele Dio affronta lo stesso argomento: Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore… E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Il giusto può diventare malvagio e il malvagio può diventare giusto. Bisogna innanzitutto dire che non è con una sola azione che avviene questo cambiamento. Non è con una sola azione cattiva che il giusto si perverte, ma se abbandona del tutto la strada del bene e segue quella cattiva. Se il giusto commette un peccato e si pente, rimane nella strada buona. Se invece non si pente, allora incomincia piano piano a moltiplicare i peccati e imbocca la strada del male. Allo stesso modo non è un’azione buona che cambia l’uomo malvagio ma se fa un’inversione a 360° nella sua vita, abbandonando la via del male e imboccando quella del bene. Il cambiamento dunque dipende dall’opzione fondamentale della vita, se cioè vogliamo seguire o meno il Signore.

Nel salmo responsoriale ascoltiamo la preghiera di un uomo che si pente dei propri peccati e chiede a Dio con insistenza di istruirlo e di insegnargli le sue vie: Fammi conoscere, Signore, le tue vie,/insegnami i tuoi sentieri./Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi. Le vie del Signore indicano la sua volontà, i suoi comandamenti. Si rivolge a Dio perché sa che buono e retto è il Signore,/indica ai peccatori la via giusta. Dio per bocca del profeta Ezechiele dice: Forse che io voglio la morte del peccatore o non piuttosto che si converta e viva? Da notare che le vie del Signore alla fine sono diventate una sola via. Qui possiamo vedere una profezia di Gesù Cristo, il quale ha detto: Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Nella seconda lettura l’apostolo Paolo ci esorta appunto ad avere in noi gli stessi sentimenti di Gesù Cristo: Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. La conversione a Dio e quindi al bene, significa seguire Gesù Cristo, imitare il suo comportamento.

I due tratti fondamentali del comportamento di Gesù e quindi dei sentimenti che lo hanno animato sono l’umiltà e l’amore: umiliò se stesso/facendosi obbediente fino alla morte/e a una morte di croce. Non un’umiltà e un amore qualsiasi ma un’umiltà e un amore perfetti. L’umiltà di Gesù Cristo consiste nel considerare gli altri superiori a se stessi, e l’amore nel mettersi al loro servizio, non cercando il proprio interesse ma quello degli altri. Gesù sapeva che andando a Gerusalemme sarebbe stato arrestato, condannato e ucciso. Non ha cercato il proprio interesse e ha preso la ferma decisione di recarsi a Gerusalemme, poiché sapeva che dalla sua passione e morte sarebbe scaturita la nostra salvezza. Per questo l’apostolo esortandoci ad avere in noi gli stessi sentimenti di Gesù Cristo dice: Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.

Ma come facciamo ad avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù?

Questo avviene per noi con il nutrimento della parola della Scrittura, in cui impariamo Gesù Cristo, con la preghiera con cui desideriamo avere e vivere secondo i sentimenti di Gesù Cristo, e con il dono dello Spirito Santo,  che riceviamo nei sacramenti, che crea in noi un cuore nuovo, simile a quello di Gesù Cristo.

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Domenica 24 settembre 2023 – XXV domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 55,6-9 — Salmo responsoriale: Sal 144 – 2Lettura: Fil 1,20c-24.27a — Vangelo: Mt 20,1-16.

Dal Vangelo secondo Matteo 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Parola del Signore.

Omelia
In questa parabola ci colpiscono due cose. Innanzitutto la preoccupazione del padrone di inviare operai nella sua vigna. Sembra che si preoccupi più di mandare operai nella vigna che della vigna stessa. Inizia a mandare operai all’alba, quando incominciava la giornata, poi ne manda altri alle nove del mattino, a mezzogiorno, alle tre del pomeriggio e finanche alle cinque, quando mancava un’ora soltanto alla fine della giornata lavorativa. L’altra cosa che ci colpisce è la ricompensa uguale per tutti gli operai. Dà a tutti gli operai la stessa paga, pur avendo iniziato il lavoro in ore diverse. Quindi si direbbe che tutta la preoccupazione del padrone sia di mandare operai nella sua vigna per poterli alla fine ricompensare. Ma chi è questo padrone e a cosa si riferisce la parabola?

Gesù l’ha raccontata per farci conoscere qualcosa del regno di Dio: Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa… Questo padrone dunque è Dio, o meglio Gesù, il mediatore tra Dio e gli uomini. Gli operai siamo tutti noi. La vigna è la sua chiesa, che costituisce il regno di Dio nella fase iniziale sulla terra. Il Signore Gesù ci chiama a lavorare nella sua chiesa e ci chiama ad ore diverse a seconda della nostra disponibilità a rispondere alla sua chiamata. Se fossimo tutti disponibili sin dalla prima ora ci chiamerebbe tutti insieme in quel momento. Ma ognuno di noi si rende disponibile al Signore ad un certo momento della sua vita. A primo acchito l’agire del padrone non ci sembra improntato a equità. E vorremmo mormorare con gli operai della prima ora. Certo il padrone con i primi è stato giusto, con gli ultimi è stato buono. Noi avremmo agito, dando agli operai della prima ora la paga completa pattuita, e avremmo pagato gli altri in base alle ore lavorative. Invece il padrone dà a tutti la stessa ricompensa.

Nella prima lettura Dio diceva per bocca del profeta Isaia: i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Cioè: io ragiono e mi comporto in modo diverso da voi. Non perché Dio vuole distinguersi, o perché agisce con arbitrio. Dio ragiona e opera in modo diverso da noi perché ha una visione completa della realtà e delle persone. Noi vediamo spesso ciò che appare, Dio invece guarda il cuore. Mentre io vi sto guardando e voi mi state guardando, entrambi vediamo soltanto ciò che appare di noi, ma né voi potete conoscere i miei pensieri, né io i vostri. Dio invece scruta anche i cuori.

Per comprendere come mai Dio è buono con gli operai delle altre ore e con quelli che hanno lavorato un’ora soltanto, dobbiamo rifarci alla parabola del figliol prodigo. Il figlio maggiore rimprovera il padre perché lavora con lui da tanti anni e non gli ha dato mai un capretto per far festa con gli amici, invece ha organizzato una festa per il fratello che è ritornato dopo essersi goduta la vita. Gli operai della prima ora contestano il padrone perché ha dato a quelli che hanno lavorato un’ora soltanto la stessa paga data a loro, che hanno sopportato il peso della giornata e il caldo. Il figlio maggiore e gli operai della prima ora non comprendono che sono stati fortunati. Il figlio perché è stato sempre nella casa con il padre. Il padre in qualche modo cerca di farglielo capire: Figlio, tu sei sempre con me. Gli operai perché hanno lavorato nella vigna del Signore fin dall’inizio della loro vita. Invece il figlio minore e gli ultimi operai sono stati svantaggiati. Il fratello maggiore dice che si è goduta la vita. Noi sappiamo in che situazione miserevole era venuto a trovarsi. Pascolava i porci per guadagnarsi il vitto, e quello che gli davano non gli bastava. Desiderava sfamarsi con le carrube che davano ai porci. Quelli che sono stati mandati nella vigna del Signore negli ultimi anni della loro vita sono certamente meno avvantaggiati rispetto a quelli che hanno lavorato nella vigna sin dagli inizi della loro vita.

Dio allora come un buon padre dà a tutti gli operai la stessa ricompensa. Un buon genitore non aiuta i figli tutti allo stesso modo, ma ha un occhio di riguardo verso il figlio più in difficoltà. Così fa Dio con noi. Quindi la giustizia che a volte vogliamo seguire noi è somma ingiustizia, invece la perfetta giustizia è quella che ci insegna Dio in quanto è contemperata con la bontà e la misericordia.

Comprendiamo ancora meglio perché il Signore dona a tutti la stessa paga, quando sappiamo in cosa consiste la sua ricompensa. Non si tratta di cose o di beni ma di se stesso. La ricompensa è il Signore stesso, la comunione con lui senza fine, come dice l’apostolo nella seconda lettura: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo. Sin da adesso noi siamo in comunione con il Signore mediante la fede e lo Spirito Santo, ma attendiamo una comunione con lui perfetta e senza fine. Gesù conclude il vangelo con una constatazione: Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi. È una frase che Gesù ripete altre volte. Qui fa questa affermazione dopo aver constatato che i primi non accettano e non comprendono la sua bontà. Tutti riceviamo la stessa ricompensa, che è il Signore, ma in questa ricompensa ci sarà un primato, che dipende dalla sintonia che abbiamo stabilito più o meno con lui. Più siamo in sintonia con lui, più siamo grandi e accediamo al primo posto. E siccome la caratteristica fondamentale del Signore è la carità, più amiamo come lui, più siamo i primi nella comunione con lui. Il ribaltamento dipende dal fatto, che i primi chiamati non hanno imparato ad essere in sintonia con il padrone, cioè con Gesù. Se avessero gioito per la sua bontà verso gli ultimi, sarebbero rimasti primi in tutto. Poiché invece non comprendono la sua bontà, e non gioiscono per la ricompensa degli ultimi come il figlio maggiore che non prende parte alla festa per il ritorno del fratello, si trovano ad essere ultimi nella sintonia con il Signore, ultimi nell’amore. Sono stati chiamati per primi, ma qualitativamente si trovano ultimi, perché amano di meno. Quelli che invece sono stati chiamati per ultimi diventano primi, perché qualitativamente migliori, cioè amano di più. Questo ribaltamento non avviene per tutti i primi e tutti gli ultimi. Altrove Gesù dirà con più precisione: Ed ecco ci sono alcuni dei primi che saranno ultimi, e alcuni degli ultimi che saranno primi.

Da questo passo del vangelo dobbiamo ricavare degli orientamenti per la nostra vita. Innanzitutto ringraziare il Signore per averci chiamato a far parte della sua chiesa. C’è una preghiera che ci veniva insegnata al catechismo che dice a Dio: Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…Poi la nostra aspirazione, la nostra carriera deve essere il progresso nella carità, cioè amare come Gesù ci ha insegnato. Infine, visto che la preoccupazione del Signore è di mandare operai nella sua chiesa, aiutiamolo in questa impresa, facendo di tutto per quanto dipende da noi di portare operai nella sua chiesa.

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Domenica 17 settembre 2023 – XXIV domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Sir 27,33-28,9 (NV) — Salmo responsoriale: Sal 102 – 2Lettura: Rm 14,7-9 — Vangelo: Mt 18,21-35.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Parola del Signore.

Omelia
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

Da questa risposta di Gesù comprendiamo che bisogna perdonare sempre. Per spiegarsi meglio Gesù racconta una parabola. Il protagonista è un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Gli fu presentato uno che gli doveva diecimila talenti. Un talento, presso gli israeliti al tempo di Gesù, corrispondeva a circa 50 kg. Poteva essere di ferro, argento e oro. Quindi fatevi il conto per diecimila talenti. Una somma davvero grande. Il servo non ha la possibilità di saldare il debito. Il padrone servendosi della legge del tempo ordina che sia venduto insieme con la moglie e i figli e quanto possedeva e saldasse così il debito. Il servo si getta ai piedi del padrone e lo supplica di dargli del tempo per saldare tutto il debito. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Questo comportamento del padrone ci stupisce. È possibile ma non sembra verosimile perché è molto difficile che un creditore rinunci per compassione ad una somma così enorme di denaro. Tutt’al più accoglierebbe la richiesta del servo e gli darebbe tempo per saldare il debito. Invece il padrone gli condona tutto il debito.

Nelle parabole evangeliche ci sono sempre dei particolari lontani dalla normalità. Pensiamo a quel padrone che manda i servi a riscuotere l’usufrutto dai vignaioli. I vignaioli si rifiutano di pagare l’usufrutto e malmenano i servi. Il padrone manda ancora altri servi. E i vignaioli agiscono allo stesso modo. In fine manda il figlio. Nessun padrone umano agirebbe così. Anche qui questo re che condona l’enorme debito di diecimila talenti per compassione verso il servo non ci sembra di riconoscerlo tra gli uomini. Infatti non è un uomo ma è Dio. È Dio che prova compassione per noi peccatori e ci condona tutto il debito che abbiamo contratto con lui mediante Gesù Cristo suo Figlio. Nella morte di croce di Gesù che espia i nostri peccati Dio ci condona tutto il debito. Questo servo a cui Dio ha condonato l’enorme debito di diecimila talenti rappresenta ciascuno di noi. Forse potremmo pensare che non abbiamo accumulato tutto questo debito con Dio. Sì, siamo peccatori, ma non fino a questo punto. Quando ci esaminiamo sui peccati pensiamo spesso solo al male che abbiamo fatto o abbiamo evitato. È giusto fare questo. Ma dobbiamo pensare anche al bene che abbiamo omesso. Il debito con il Signore lievita soprattutto con il bene che non facciamo a causa della nostra pigrizia, trascuratezza e del nostro egoismo. Dio ci ha condonato tutto nella morte di croce di Gesù. E noi possiamo attingere a questo condono nei sacramenti, in particolare in quelli che ci accompagnano nel cammino della vita, il sacramento del perdono e l’eucaristia.

Il servo che ha sperimentato la compassione del padrone e il condono di tutto il debito incontra un servo come lui che gli doveva cento denari. Una somma irrisoria se paragonata ai diecimila talenti. Cento denari corrispondevano a circa tre mensilità, se consideriamo che un denaro era la paga giornaliera. Il servo prende per il collo il compagno e lo soffocava dicendo: Restituisci quello che devi! Il compagno lo pregava di avere pazienza e gli avrebbe restituito il dovuto. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Noi ci comportiamo come questo servo quando dopo aver ricevuto il perdono del Signore lo neghiamo a quelli che ci hanno offeso. Come si dice tra il popolo, abbiamo una mano lunga per ricevere e una mano corta per dare.

Il padrone, conosciuto l’accaduto, manda a chiamare il servo e lo rimprovera: Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? Il padrone così ritira il condono che gli aveva dato e lo fa condannare. Il messaggio della parabola è espresso dalle parole conclusive di Gesù: Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello. Teniamo bene a mente queste parole, perché alcuni quando parlano di Dio sembrano più misericordiosi di lui. Gesù ci sta dicendo che Dio non ci perdonerà se noi non perdoniamo al prossimo. Ci negherà il suo perdono se noi lo neghiamo al prossimo. E non si tratta di un perdono qualsiasi ma di cuore, quindi sincero e sentito.

Dobbiamo riconoscere che con le nostre forze non riusciamo sempre a perdonare soprattutto se abbiamo subito gravi torti, come l’ingratitudine o il tradimento dell’amicizia. Dobbiamo chiedere al Signore che ci aiuti a perdonare. Nella confessione chiediamo a Dio di donarci la forza di perdonare. Chiediamoglielo con umiltà. Gesù, sapendo la nostra difficoltà a perdonare, ci ha insegnato nella preghiera del Padre nostro a chiedere: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. E con questa richiesta chiediamo a Dio di perdonarci e di darci la forza di perdonare.

In questo passo del vangelo Gesù non ci dice se dobbiamo perdonare sempre a prescindere dal comportamento di chi ci ha offeso, se cioè si è pentito o meno, ci ha chiesto scusa o meno. La risposta ci viene dal comportamento di Gesù. Gesù ci insegna alcune cose con le parole altre cose con il suo esempio. Quando era sulla croce ha perdonato i suoi persecutori: Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno. Da questo comprendiamo che dobbiamo perdonare sempre chi ci ha fatto del male. Parliamo del perdono, cioè non dobbiamo nutrire odio o rancore. La riconciliazione invece può richiedere del tempo. Deve essere il nostro obiettivo, può avvenire subito, ma a volte richiede del tempo. Altre volte è bene che tra alcuni ci sia un certo distanziamento, perché quando stanno insieme bisticciano. Gesù non solo perdona i nemici ma prega per loro e li scusa: non sanno quello che fanno. Questo significa, certo, che non sapevano di crocifiggere il Figlio di Dio. Ma va inteso anche nel senso che facendo del male al prossimo non si rendevano conto di fare del male a se stessi. Chi fa il male, toglie tranquillità alla propria coscienza. Ci può essere chi mette a tacere la coscienza perché rimuove il ricordo del male fatto. Ma nel sottofondo della sua anima c’è come un elemento di disturbo, che prima o dopo si presenterà con più virulenza di prima. Rimuovere un problema non è la soluzione. Bisogna affrontarlo e nel caso del peccato la soluzione è alla nostra portata perché Dio ci perdona sempre. Basta che noi ricorriamo al sacramento del perdono, sinceramente pentiti. Chi fa il male poi si mette dalla parte del demonio, gli dà potere sulla propria vita e a lungo andare ne sperimenterà le dolorose conseguenze. Il Signore Gesù dunque ci insegna a non provare rabbia verso chi ci ha offeso ma a guardarlo con compassione. Questo è il modo giusto di guardare chi ci ha fatto del male e chi fa il male in generale. Il perdono poi fa bene sia a chi lo da e sia a chi lo riceve. Quando nutriamo odio verso qualcuno, siamo noi a star male, non lui. Perdonando riacquistiamo la pace.

Ma il perdono può giovare anche a chi lo riceve. Voglio raccontarvi una breve testimonianza. Il cardinale van Thuan, arcivescovo di Saigon, in Vietnam, venne imprigionato dal regime comunista. Rimase in carcere per tredici anni, di cui nove in isolamento. Un carcere duro. I carcerieri erano con lui severi, ma lui li trattava con mitezza e dolcezza. E dopo un po’ di tempo cambiavano comportamento. Quando si accorgevano di questo, i superiori cambiavano i carcerieri. Lo facevano ogni quindici giorni, perché le guardie stando a contatto con il cardinale diventavano benevoli con lui. Ad un certo punto rinunciano a cambiare le guardie perché temevano che le influenzasse tutte.

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Domenica 10 settembre 2023 – XXIII domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Ez 33,1.7-9 — Salmo responsoriale: Sal 94 – 2Lettura: Rm 13,8-10 — Vangelo: Mt 18,15-20.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Parola del Signore.

Omelia
L’argomento principale della parola di Dio di oggi è la correzione fraterna. Ne parla Dio nella prima lettura al profeta Ezechiele, e ne parla Gesù nel vangelo. La correzione fraterna riguarda il peccatore impenitente, cioè che non si pente. Nella seconda lettura l’apostolo ci ha detto che non dobbiamo avere con nessuno alcun debito se non quello dell’amore vicendevole, perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. La correzione fraterna ci viene comandata da Dio perché è un grande atto di amore verso chi sbaglia. Tra le sette opere di misericordia spirituale c’è appunto ammonire i peccatori. Colui che pecca e non si pente è come uno che sta sprofondando in una voragine senza fondo e non se ne rende conto. Con la correzione dobbiamo aiutarlo a prendere coscienza della gravità del peccato e della possibilità di uscirne con il pentimento e il ritorno a Dio. Il compito della correzione fraterna riguarda tutti i cristiani e soprattutto coloro che il Signore ha posto a guida del suo popolo.

Nella prima lettura Dio dice al profeta Ezechiele: io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Come la sentinella avvisa del pericolo che si avvicina, così il profeta dovrà ammonire il peccatore del male che si abbatterà su di lui se non si converte. È lo stesso compito che il Signore ha affidato a noi sacerdoti. Dobbiamo ammonire i peccatori come fa il medico con i malati gravi che trascurano le cure. C’è pero una differenza, nel caso della malattia non è sempre sicuro che prendendo i farmaci si otterrà la guarigione. Nel caso del peccato invece è sempre sicura la guarigione, se il peccatore si pente e si accosta al sacramento della penitenza, poiché il Signore non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Se il peccatore non vuole sentire ragioni, perirà nel suo peccato, ma il pastore che l’ha ammonito è esente da colpa. Se invece il pastore omette di ammonirlo, e il peccatore si perde, Dio gliene chiederà conto.

La correzione fraterna bisogna esercitarla verso tutti i peccatori, ma soprattutto verso chi ha commesso una colpa contro di noi. Nel vangelo Gesù ci suggerisce di fare la correzione con gradualità. Prima bisogna ammonirlo a tu per tu. L’ammonizione va saputa fare. Va fatta con umiltà per non urtare la suscettibilità di chi ha sbagliato. Va fatta con amore, come un padre verso un figlio e come un fratello verso un altro fratello. Va fatta con un unico scopo: la sua conversione. Gesù dice: se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Giacomo nella sua lettera mostra il duplice vantaggio che deriva dalla riuscita della correzione, e per il peccatore pentito e per colui che lo ha corretto: Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati. Se non vuole sentire ragioni, allora bisogna ammonirlo dinanzi ad una o due persone. Magari non si fida di noi e non prende in considerazione quello che gli diciamo. Lo facciamo ammonire da quelle persone di cui si fida. Se non ascolta nemmeno costoro allora bisogna portarlo dinanzi alla comunità. Si tratta evidentemente della chiesa locale. Si potrebbe obiettare che se non vuole sentire ragioni è difficile che venga dinanzi alla comunità. Ma se accettasse di venire non sarebbe ulteriormente umiliato ed esasperato venendo rimproverato dinanzi ad un’assemblea? Non è necessario portarlo dinanzi alla comunità riunita in assemblea, basta portarlo dinanzi al sacerdote che la rappresenta. Quando ci confessiamo diciamo: Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli. Ma dinanzi a noi non c’è la comunità c’è il sacerdote che la rappresenta. Allora portarlo dinanzi alla comunità significa portarlo dinanzi al sacerdote, farlo rimproverare dal sacerdote, fargli dire da lui che si trova in uno stato di peccato da cui può uscire con il pentimento e la confessione. Se non ascolta la chiesa, è come un pagano e pubblicano. È un peccatore impenitente senza timor di Dio, in grave pericolo di perdersi per sempre.

Il peccatore che non ascolta la chiesa è in disaccordo con Dio come mette in evidenza Gesù con le sue promesse. Il peccatore non ha voluto ascoltare il rimprovero della chiesa, Dio invece ratifica le decisioni della chiesa. Il peccatore non ha voluto ascoltare la parola della chiesa, Dio invece ascolta la preghiera della chiesa anche nella sua più piccola adunanza, come possono essere due persone. Infatti la chiesa è di Gesù Cristo, egli vive ed opera nella chiesa. Per questo Dio ratifica le decisioni e ascolta le preghiere della chiesa.

Quest’ultima promessa di Gesù che cioè Dio ascolta le preghiere della chiesa ci insegna che non dobbiamo disperare del peccatore, ma dopo averle tentate tutte per correggerlo senza ottenere risultati, ci rimane sempre la preghiera. Invece di parlare con lui, parliamo di lui a Dio nella preghiera con insistenza come fece santa Monica per la conversione del figlio Agostino, e se persevereremo, vedremo la potenza di Dio che converte anche i cuori più induriti.

Per noi che siamo qui riuniti il salmista suggerisce il rimedio contro l’impenitenza: Se ascoltaste oggi la sua voce!«Non indurite il cuore». Se ci lasciamo mettere in discussione dalla parola di Dio, se siamo disposti a cambiare idea e atteggiamento ogniqualvolta Dio ce lo indica con la sua parola, acquistiamo un cuore docile e non avremo paura o vergogna di convertirci, di cambiare idea, di chiedere scusa. Diventerà per noi la cosa più normale con Dio e con il prossimo.

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3 settembre 2023 – XXII domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Ger 20,7-9 — Salmo responsoriale: Sal 62 – 2Lettura: Rm 12,1-2  — Vangelo: Mt 16,21-27.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Parola del Signore.

Omelia
Domenica scorsa abbiamo ascoltato che i discepoli dopo la confessione di Pietro prendono coscienza della divinità di Gesù Cristo. Quello che loro intuivano mediante i segni che avevano visto fare a Gesù, con la confessione di Pietro diventa consapevolezza. Oggi Gesù spiega ai discepoli come dovrà concludere la sua missione sulla terra e manifestare la sua gloria: cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.

Il dovere di Gesù sta a significare la volontà di Dio. Dio Padre vuole che il Figlio condivida in tutto la nostra condizione umana, eccetto il peccato. Quindi Dio Padre vuole che il Figlio vada incontro liberamente alla morte di croce. In questo modo condividerà pienamente la nostra condizione umana, che comporta sofferenza e morte. Gesù con il suo potere divino potrebbe sottrarsi alla croce, evitando di recarsi a Gerusalemme. Ma se lo facesse mancherebbe di amore a Dio e a noi. Infatti dalla morte di croce di Gesù scaturirà la nostra salvezza. Gesù dunque completerà la sua missione sulla terra e manifesterà la sua gloria divina morendo sulla croce. La gloria di Dio è l’amore. Nella morte di croce di Gesù si manifesta l’amore di Dio Padre, che ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio Unigenito. Si manifesta l’amore di Gesù al Padre fino alla morte di croce e l’amore di Gesù per noi: Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per gli amici.

I discepoli non comprendono ancora tutto questo. Essi pensano che il Cristo dovrà concludere la sua missione e manifestare la sua gloria instaurando il regno di Dio sulla terra alla maniera dei regni terreni. Pensano che la gloria di Dio sia come quella terrena, che si ottiene con la vittoria degli eserciti, con l’umiliazione dei nemici, con la forza bruta e il successo. Dio che tiene in mano tutto l’universo non ha bisogno di dimostrare così la sua gloria. Vuole mostrarla mediante l’amore che è l’essenza della sua natura. Non comprendendo le parole di Gesù, Pietro lo chiama in disparte e comincia a rimproverarlo. E Gesù di rimando rimprovera Pietro con parole severe: Vadietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! Gesù vuole dirgli: Tu devi stare al tuo posto di discepolo e non devi fare il maestro, perché volendo fare il maestro sei diventato strumento di satana, che mi tenta affinché io non compia la volontà del Padre e quindi la salvezza del mondo. Lo scandalo è un ostacolo nel compimento della volontà di Dio. Dobbiamo ricordare questa risposta di Gesù a Pietro tutte le volte che mettiamo in discussione la sua volontà e ce la prendiamo con lui come se ne sapessimo di più. Inavvertitamente siamo diventati strumento di satana per essere di scandalo a noi stessi e a quelli che ci ascoltano.

A questo punto Gesù incomincia a parlare della nostra croce: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Se vogliamo essere discepoli di Gesù dobbiamo seguirlo sulla via della croce. La croce riguarda tutte quelle situazioni dolorose, pesanti, che provocano disagio e tristezza, da cui se ci sottraiamo o ci ribelliamo manchiamo di amore a Dio e al prossimo. La prima lettura ci presenta un esempio di croce. Il Signore ha chiamato Geremia ad essere suo profeta. Geremia annuncia la parola del Signore che rimprovera e ammonisce il popolo d’Israele. Ma il popolo non ascolta la parola del profeta anzi lo deride e lo schernisce, e trama di togliergli la vita. Il profeta allora pensa di mollare tutto: Mi dicevo: «Non penserò più a lui,/non parlerò più nel suo nome!». Se facesse questo mancherebbe di amore a Dio che lo ha chiamato. E mancherebbe di amore al prossimo, perché ammonire i peccatori è una delle sette opere di misericordia spirituale. Geremia è un uomo sensibile, non ha il cuore indurito. Per questo mentre medita di mollare tutto, un fuoco invade il suo animo che egli non riesce a contenere. È il fuoco dell’amore di Dio che spinge Geremia ad amare come lui.

La croce ci permette di amare Dio e il prossimo in modo perfetto, perché è un amore che costa sacrificio. Gesù ci chiede di seguirlo sulla via della croce perché è l’unica via per arrivare alla salvezza della nostra anima: chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Chi butta la croce o si ribella ad essa pensando così di salvare la propria vita, la perderà. Chi invece perde la propria vita, portando la propria croce dietro a Gesù, la salverà. La cosa fondamentale è la salvezza della nostra anima. Tutto il resto non serve a niente. Potremmo guadagnare il mondo intero, ma se perdiamo la nostra anima, siamo falliti.

Per comprendere tutto questo che dice Gesù abbiamo bisogno di prendere le distanze dalla mentalità del mondo e di lasciarci rinnovare dalla sua parola e dallo Spirito Santo. La mentalità del mondo ci insegna ad essere egoisti. La mentalità del mondo ci viene inoculata attraverso la televisione, mediante le mode, i ragionamenti e i cattivi esempi intorno a noi, e così diventiamo egoisti. Questo non significa che non riusciamo ad amare per niente o a fare opere di carità. Amiamo certo, ma quando amare non costa nulla. Amiamo più per far del bene a noi stessi che al prossimo. Il nostro amore viene inquinato dall’egoismo, e quando si presenta la croce, la gettiamo o, se non lo possiamo fare, perché si tratta di una malattia, ci ribelliamo a Dio. Per disintossicarci dalla mentalità del mondo e acquistare la mentalità di Dio dobbiamo frequentarlo come facciamo con gli amici. Questo ci diventa possibile accostandoci con fede alle Scritture, leggendole e meditandole. Quando leggiamo le Scritture il Signore ci parla. L’altra cosa importante è la preghiera quotidiana. Quando preghiamo siamo noi a parlare al Signore. Ma soprattutto partecipare alla santa messa domenicale, dove possiamo incontrare intimamente il Signore nella santa comunione. Nella comunione eucaristica possiamo sperimentare quello che dice il Salmista, che l’amore del Signore vale più della vita, perché è il suo amore che ci mantiene in vita e solo mediante il suo amore impariamo ad amare veramente anche quanto costa.

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27 agosto 2023 – XXI domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 22,19-23 — Salmo responsoriale: Sal 137 – 2Lettura: Rm 11,33-36  — Vangelo: Mt 16,13-20.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio delluomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Parola del Signore.

Omelia
Gesù trovandosi da solo con i suoi discepoli, pone loro delle domande. Gesù non ha certamente bisogno di domandare per potere conoscere. Egli è il Figlio di Dio che scruta i cuori e conosce ogni cosa. Pone delle domande ai discepoli per spingerli a riflettere. Domanda loro: La gente, chi dice che sia il Figlio delluomo? Gesù quando parla di se stesso si definisce Figlio dell’uomo sulla base della visione riportata nel libro del profeta Daniele. Gesù quindi domanda ai discepoli che cosa la gente pensi di lui. La gente è costituita da quelle persone che provano una certa simpatia nei suoi riguardi, gli vanno dietro per curiosità, per vedergli fare qualche miracolo. I discepoli riferiscono le opinioni della gente: Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti. La gente pensa che Gesù sia Giovanni il Battista o uno degli antichi profeti ritornato sulla terra. Pensano che Gesù sia un inviato da Dio. Anche oggi molti al di fuori della chiesa che conoscono Gesù attraverso i libri di storia, restano affascinati dalla sua personalità e pensano che sia un grande uomo che ha lasciato il segno nella storia. Dire che Gesù è un grande uomo che ha segnato la storia è giusto, ma non è tutto. Dire che Gesù sia un inviato da Dio è giusto, ma non coglie la sua piena identità.

Gesù allora si rivolge di nuovo ai discepoli: Ma voi, chi dite che io sia? I discepoli sono quelli che hanno risposto alla chiamata di Gesù e hanno preso la decisione di seguirlo. Stanno con lui h. 24, lo seguono dovunque vada, in privato gli pongono domande sul suo insegnamento. I discepoli non sono come la gente di fuori. Certo la gente di fuori ha avuto la possibilità di assistere ad alcuni miracoli di Gesù, come la moltiplicazione dei pani, le guarigioni e le liberazioni degli indemoniati. I discepoli tutti insieme, e in particolare alcuni, oltre a questi miracoli hanno assistito alla manifestazione della vera identità di Gesù, come quando lo vedono camminare sul mare, e come lo vedono trasfigurato sul monte. Gesù dunque sollecita i discepoli a dare una risposta: Ma voi, chi dite che io sia? Pietro risponde: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro coglie la vera identità di Gesù, che non è un semplice uomo, ma è il Figlio di Dio, Dio che si è fatto uomo. Questa è la verità fondamentale di noi cristiani. Noi non crediamo semplicemente in Dio ma che Dio si è fatto uomo, che Gesù di Nazareth è Dio. Dobbiamo prendere maggiore consapevolezza di questa verità di fede che costituisce la nostra identità cristiana, in un mondo dove le tendenze predominanti vogliono omologare ogni cosa in tutti gli ambiti. Pietro è giunto a comprendere la vera identità di Gesù non con la sua intelligenza ma con la fede: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Gesù proclama beato Pietro, perché ha ricevuto da Dio il dono della fede. Ma beato anche perché lo ha accolto e manifestato con la confessione di fede in Gesù: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

Gesù allora rivela a Pietro la missione che intende affidargli: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. Pietro è il primo a confessare la divinità di Gesù e Gesù lo costituisce quale fondamento della sua chiesa. Gesù è venuto a formare sulla terra una famiglia, i cui membri sono legati tra di loro dal vincolo della professione di fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Pietro è il primo a fare questa professione di fede,  e quindi il primo a far parte della chiesa, e sarà il fondamento visibile della chiesa. Il fondamento della Chiesa è Gesù Cristo. Ma siccome Gesù dopo l’ascensione si sottrae agli sguardi umani, Pietro sarà il suo rappresentante visibile. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. Nella prima lettura abbiamo ascoltato che il maggiordomo del palazzo reale aveva le chiavi con cui apriva e chiudeva le porte. Pietro viene costituito da Gesù come suo maggiordomo. La chiesa è il palazzo del re, o anche la porta d’ingresso per il regno dei cieli. Pietro a nome di Gesù Cristo svolge l’ufficio di  approvare o condannare, permettere o impedire nell’ambito della fede. Pietro deve custodire la fede in Gesù Cristo, quella fede che è legata alla rivelazione di Dio. Evidentemente Pietro esercita questo ufficio in ogni tempo mediante il suo successore, il Romano Pontefice.

Quando c’è l’insediamento di un nuovo papa, alcuni per analogia con il mondo politico, pensano che il nuovo papa come fa il nuovo segretario di un partito possa inaugurare un nuovo corso e una nuova linea. Il papa non è al di sopra ma a servizio della parola di Dio e della fede. Deve soltanto custodire la fede rivelata una volta per sempre da Gesù Cristo.

Da quanto detto dobbiamo ricavare alcuni insegnamenti per la nostra vita quotidiana. Anche noi con Pietro confessiamo a Gesù: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Ma dobbiamo crescere e maturare in questa fede, diventando sempre più convinti che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E soprattutto dobbiamo tirare da questa fede le conseguenze pratiche. Se crediamo che Gesù è Dio, dobbiamo prendere sul serio la sua parola, dobbiamo farci guidare da lui nelle decisioni della nostra vita, dobbiamo confidare solo in lui.

La seconda cosa da considerare è l’enorme responsabilità che Gesù ha affidato al papa. Una responsabilità che fa venire il capogiro. Per questo dobbiamo sostenere il papa con la nostra preghiera. Egli dice sempre: pregate per me, non dimenticatevi di pregare per me. Dobbiamo pregare quotidianamente per il papa, chiedendo al Signore che come ha promesso lo assista con il suo Santo Spirito, liberandolo sempre dagli inganni del maligno e dai cattivi consiglieri.

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20 agosto 2023 – XX domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 56,1.6-7 — Salmo responsoriale: Sal 66 – 2Lettura: Rm 11,13-15.29-32  — Vangelo: Mt 15,21-28.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore», disse la donna, «eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Parola del Signore.

Omelia
Il Signore Gesù è venuto sulla terra per tutti gli uomini. Egli è l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Durante la sua missione terrena Gesù si è rivolto quasi esclusivamente agli israeliti in quanto erano i primi destinatari delle promesse di Dio fatte ai padri. Tra gli israeliti si è formato una famiglia con i discepoli, e poi ha inviato i discepoli a continuare la sua missione per portare la salvezza a tutti i popoli. Tuttavia durante la missione terrena Gesù di tanto in tanto ha avuto la possibilità di incontrare degli stranieri. Sono stati loro a cercare Gesù. Nei vangeli si parla di due stranieri, il centurione e la donna cananea. Di entrambi Gesù ammira la grande fede. Il centurione gli aveva detto: Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Gesù risponde che non ha visto nessuno in Israele con una fede così grande. E della cananea alla fine dice suppergiù la stessa cosa: Donna, grande è la tua fede!

Questi due stranieri insieme ai Magi rappresentano le primizie dei popoli stranieri che in seguito si sarebbero convertiti in massa a Gesù Cristo. Per bocca dei profeti Dio aveva predetto la conversione degli stranieri. Nella prima lettura viene riportato uno di questi brani profetici in cui Dio dice degli stranieri: li condurrò sul mio monte santo/e li colmerò di gioia nella mia casa di preghieraperché la mia casa si chiamerà/casa di preghiera per tutti i popoli. Un altro brano famoso è la visione riportata nel capitolo II di Isaia, in cui il profeta vede il pellegrinaggio dei popoli della terra che si dirigono al tempio di Gerusalemme. Il tempio di Gerusalemme cessa di essere un luogo per diventare immagine della Chiesa sparsa su tutta la terra. I popoli infatti che si convertono al Dio d’Israele rivelatosi in Gesù Cristo si radunano nella chiesa.

Nel salmo responsoriale abbiamo un’altra profezia del genere espressa in una preghiera: Dio abbia pietà di noi e ci benedica,/su di noi faccia splendere il suo volto;/perché si conosca sulla terra la tua via,/la tua salvezza fra tutte le genti. Gli oranti chiedono a Dio di trasformarli con la sua benedizione che è fonte di vita, perché attraverso di loro tutti i popoli conoscano la sua salvezza. È quello che Dio ha fatto mandando Gesù Cristo, che è la sua luce. Quanti tra gli israeliti hanno seguito Gesù Cristo e hanno sperimentato la sua luce sono diventati i primi annunciatori della sua salvezza a tutti i popoli della terra. L’apostolo nella seconda lettura dice che Dio non aveva rigettato gli altri popoli quando si rivolgeva solo agli israeliti, e ora non ha rigettato gli israeliti che non hanno voluto credere nel Figlio suo Gesù. L’apostolo è certo che come Dio ha condotto i popoli pagani a convertirsi a lui, così un giorno condurrà gli israeliti ad accogliere il Figlio suo Gesù perché siano salvati.

Per entrare in contatto con il Dio d’Israele e ricevere la sua salvezza non è necessario più essere israeliti e seguire le loro usanze religiose, basta credere in Gesù Cristo suo Figlio. La cananea con la sua fede in Gesù Cristo diventa un esempio per tutti gli stranieri che avrebbero creduto in Gesù Cristo. Ma diventa un esempio anche per noi che già crediamo in Gesù. La sua fede si manifesta con la preghiera, insistente e umile. Il primo segno della fede è la preghiera. La preghiera è come il respiro. Se uno respira, è vivo, se non respira è morto. Così avviene per la fede. Se uno dice di credere, sente il bisogno di pregare, in privato da sé e insieme agli altri nella messa domenicale. Se non prega la sua fede è morta. Il secondo segno della fede è costituito dalle opere buone. Perché non basta dire: Signore, Signore, ma è necessario mettere in pratica la sua parola. Questi due segni devono stare insieme. Se manca uno dei due non c’è fede autentica. La preghiera della donna è insistente e umile. In un’altra occasione Gesù parla della necessità di pregare sempre senza stancarsi mai, e illustra questo con la parabola della vedova importuna. La cananea si comporta come la vedova importuna. Gesù all’inizio sembra ignorarla. Intervengono i discepoli perché la esaudisca. Ma Gesù persiste nel suo rifiuto. La donna gli si avvicina e gli si prostra dinanzi dicendogli: Signore, aiutami. E Gesù le risponde che non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini. I figli sarebbero gli israeliti, i cagnolini gli altri popoli. Nonostante le parole offensive di Gesù, la donna non si scompone e fa leva proprio sulle sue parole per ribadire la richiesta: «È vero, Signore», disse la donna, «eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». A queste parole Gesù la esaudisce e mostra che la sua indifferenza era solo apparente e mirava a far risaltare ancora di più la fede della donna. Se il Signore a volte si comporta con noi come ha fatto con la cananea, sembra sordo e muto alle nostre preghiere, comportiamoci con lui come la cananea. Non cessiamo di insistere con umiltà. Noi viviamo in un mondo accelerato e abbiamo perso la capacità di attendere. Se non vediamo subito riscontri alle nostre preghiere, smettiamo di pregare. Questo è un grande errore. Non dico che dobbiamo avere questa insistenza per ogni cosa, ma soltanto per quelle cose che riguardano la nostra salvezza. Nel caso di una malattia dobbiamo chiedere la guarigione, ma senza incaponirci perché la salute fisica non è un bene assoluto. Come dimostra l’esempio di Paolo e di tanti santi, a volte le sofferenze e anche la stessa morte corporale possono essere una grazia di Dio. Dobbiamo invece insistere come la cananea nelle cose che riguardano la nostra salvezza. La figlia della cananea era tormentata da un demonio, che certamente non solo faceva soffrire fisicamente la fanciulla ma faceva di tutto per distaccarla da Dio e portarla alla perdizione. Quando preghiamo per la nostra conversione, o per quella dei nostri cari, o di amici e persone conoscenti, dobbiamo insistere come la cananea perché ci preoccupiamo della salvezza e il Signore alla fine ci esaudirà. Ci esaudirà perché egli vuole più di noi la nostra salvezza. Se vediamo uno che segue una via cattiva, non cessiamo di pregare per la sua salvezza. Il Signore ascolta soprattutto le preghiere delle mamme, come dimostrano le biografie di diversi santi. Soltanto non dobbiamo avere fretta. E poi dobbiamo accettare con umiltà tutte quelle contrarietà che sembrano suggerirci, ma è un inganno del maligno, che la nostra preghiera non serve a niente. La cananea ha saputo aspettare e Gesù l’ha esaudita: Avvenga per te come desideri.

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Martedì 15 agosto 2023  –Assunzione al cielo della B.V. Maria

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Ap 11,19a; 12,1–6a.10ab — Salmo responsoriale: Sal 44 – 2Lettura: 1Cor 15,20–27a — Vangelo: Lc 1,39-56.

Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nelladempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«Lanima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato lumiltà della sua serva.
Dora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me lOnnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Parola del Signore.

Omelia
Oggi celebriamo l’assunzione al cielo della Beata Vergine Maria. Al termine della sua vita terrena, la Beata Vergine Maria è stata assunta alla gloria del cielo in anima e in corpo. Questa verità di fede non viene affermata esplicitamente dalla Scrittura ma dalla Tradizione della chiesa. Per noi cattolici la rivelazione di Dio non è contenuta solo nella Scrittura ma anche nella Tradizione della Chiesa. Tuttavia non è in contrasto con l’insegnamento della Scrittura dove si parla dell’assunzione al cielo di due uomini, Enoch e poi del profeta Elia. La verità dell’assunzione della Madonna trova il suo ultimo fondamento proprio nella Scrittura in cui la Madonna è presentata strettamente unita al Figlio. È unita al Figlio Gesù nei momenti decisivi, alla nascita, quando compie il suo primo miracolo a Cana di Galilea, ai piedi della croce. Non poteva non esserlo anche nella risurrezione. Infatti nell’assunzione al cielo in anima e in corpo noi professiamo la risurrezione della Madonna, quindi la sua piena partecipazione alla risurrezione del Figlio Gesù.

Nel Vangelo di oggi Elisabetta dice di lei: Beata colei che ha creduto nelladempimento di ciò che il Signore le ha detto. La Madonna dice di se stessa che Dio ha guardato lumiltà della sua serva. Da queste parole comprendiamo che la Madonna appartiene alla categoria dei piccoli e dei poveri di spirito. Gesù dirà durante la sua missione che Dio ha nascosto i misteri del regno ai sapienti e ai dotti e li ha rivelati ai piccoli. E nelle beatitudini proclama beati i poveri di spirito, perchè di essi è il regno dei cieli. Nell’Antico Testamento non si contano i passi in cui si parla dei poveri di spirito oppure i poveri di spirito si rivolgono a Dio. Gli oranti dei salmi sono tutti poveri di spirito. La caratteristica dei poveri di spirito, che è la stessa cosa di ultimi e umili, è la disponibilità nei riguardi di Dio, quindi la fede. La fede è un dono di Dio che trova accoglienza nei poveri di spirito. Nella fede oltre al dono di Dio si riconosce la risposta dell’uomo. La Madonna è proclamata beata da Elisabetta per la sua fede. Ha creduto come Abramo nelladempimento di ciò che il Signore le ha detto. Maria nel Magnificat sposta l’attenzione su Dio, e quindi si riconosce beata perchè Dio ha rivolto il suo sguardo su di lei e l’ha chiamata ad essere madre del Messia.

Nell’assunzione al cielo della Beata Vergine Maria si realizzano pienamente le sue parole: Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e la promessa di Gesù: Chi si umilia, sarà esaltato. Le grandi cose e l’esaltazione non dobbiamo intenderle secondo la gloria umana che è tutta apparenza e finisce presto, ma secondo la gloria di Dio. Dio ha fatto grandi cose nella Madonna preservandola dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento in vista dei meriti della redenzione di Gesù Cristo. L’ha chiamata ad essere madre del Figlio suo Gesù. L’ha resa madre vergine, prima, durante e dopo il parto. L’ha resa madre di tutti i cristiani, madre della chiesa. L’ha assunta alla gloria dei cieli in anima e in corpo. La grandezza e l’esaltazione consistono nel fatto che Dio l’ha chiamata alla sua intimità, come madre, discepola, e infine nella gloria del paradiso.

Quello che Dio ha fatto nella Madonna vuole farlo con modalità diverse anche in noi che crediamo nel Figlio suo Gesù. Come Dio ha chiamato la Madonna alla sua intimità facendola madre del Figlio Gesù, così chiama noi alla sua intimità rendendoci figli. Così la Madonna è immagine della chiesa. Nella prima lettura la donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle raffigura la Madonna in quanto immagine della chiesa. La Madonna e il Figlio hanno già vinto il dragone. Ora il dragone perseguita la chiesa, la famiglia dei figli di Dio, nel suo insieme, e poi nei singoli credenti. In questa persecuzione non siamo da soli. Sono con noi Gesù e la Madonna che hanno già vinto il dragone. Nella seconda lettura si diceva che Gesù regna finchè non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. Gesù regna finchè non abbia vinto i nemici in noi suoi discepoli. Gesù li ha vinti morendo e risorgendo. Maria li ha vinti con la sua fede obbediente a Dio in tutto. Gesù vuole vincerli in noi, liberandoci completamente dalla schiavitù del demonio, del peccato e della morte.

Dobbiamo collaborare con il Signore imitando la fede della Madonna. Nel salmo responsoriale abbiamo ascoltato un invito molto importante: Ascolta, figlia, guarda, porgi lorecchio:/dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre. È una donna straniera che viene data in sposa ad un re d’Israele, divenendo così regina degli israeliti. Viene esortata a dimenticare il suo popolo e la sua famiglia. Le viene detto con delicatezza di abbandonare il paganesimo e di credere al Dio d’Israele. È lo stesso invito che Dio rivolge ad Abramo quando lo chiama la prima volta: Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre. Attualizzando questo invito dobbiamo prendere le distanze dal mondo con i suoi idoli, prendere le distanze dalla mentalità del mondo incredulo e peccatore, e aderire al Dio vivo e vero con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze, lasciandoci guidare solo dalla sua parola. La Madonna ha agito così, in questo si è manifestata la sua fede. Ora la contempliamo nella gloria dei cieli in anima e in corpo. Quello che è avvenuto in lei, si realizzerà anche per noi quando il Signore Gesù si manifesterà nella gloria alla fine del mondo. Prima è risorto Cristo che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.

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13 agosto 2023 – XIX Domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: 1Re 19,9a.11-13a — Salmo responsoriale: Sal 84 – 2Lettura: Rm 9,1-5 — Vangelo: Mt 14,22-33.

Dal Vangelo secondo Matteo

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Parola del Signore.

Omelia
Gesù Cristo, il Figlio di Dio, si è fatto uomo come noi per farci conoscere Dio e metterci in relazione personale con lui. In Gesù dunque c’è una sola persona, con due nature, la natura divina e la natura umana. Per tutto il tempo della sua permanenza sulla terra Gesù appariva un uomo come gli altri, ma spesso attraverso la sua natura umana si manifestava anche la natura divina. Quando Gesù compie miracoli manifesta la sua natura divina. I miracoli sono segni della sua divinità. Al riguardo è molto significativo quell’episodio evangelico in cui portano a Gesù un paralitico su una barella. Gesù vedendo la loro fede dice al paralitico: Figliolo, ti sono perdonati i peccati. Alcuni tra i presenti in cuor loro mormorano perché pensano che Gesù stia esagerando, attribuendosi un potere che spetta solo a Dio. Allora Gesù svela che alcuni tra i presenti stanno mormorando contro di lui e per dimostrare senza ombra di dubbio che egli ha il potere di rimettere i peccati, ordina al paralitico di alzarsi e di tornarsene a casa. E così accade. Il miracolo del paralitico prova che Gesù ha veramente il potere di perdonare i peccati. Gesù con i miracoli, svelando i pensieri dei cuori, perdonando i peccati, dimostra di possedere delle prerogative che spettano solo a Dio.

Nel vangelo di oggi Gesù manifesta ancora una volta la sua natura divina compiendo qualcosa che supera le possibilità umane: Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Non è umanamente possibile camminare sul mare. Per questo i discepoli in un primo momento credevano di vedere un fantasma. È possibile nuotare nell’acqua ma non camminare a piedi nudi sul filo dell’acqua. Gesù compie qualcosa che è impossibile agli uomini. Camminando sull’acqua e tenendo sotto i piedi l’acqua, Gesù mostra soprattutto di avere potere sulle grandi acque. Questa è una prerogativa del Dio d’Israele come appare sin dagli inizi della Bibbia. Le grandi acque sono immagine delle forze della morte. Leggiamo nel libro della Genesi che quando Dio crea il cielo e la terra, le acque avvolgevano la terra e impedivano che sorgesse la vita. Dio allora comanda che si raccolgano nei mari e appare la terra su cui sorgerà la vita. Quando gli uomini si allontanano da Dio con i peccati, le acque si riversano di nuovo sulla terra con il diluvio e uccidono gli uomini. Le forze della morte prendono di nuovo il sopravvento. Durante l’esodo dall’Egitto Dio apre le acque del mare per far passare il suo popolo, invece le stesse acque si riversano sugli egiziani che lo inseguivano. Le forze della morte non possono far nulla contro il popolo di Dio, invece prevalgono sui loro nemici.

Camminando sul mare Gesù mostra di tenere sotto i piedi le forze della morte, e quindi di avere lo stesso potere di Dio. Non solo, quando i discepoli credono di vedere un fantasma, Gesù li rassicura dicendo: Coraggio, sono io, non abbiate paura! Ad un orecchio israelita attento le parole sono io richiamano il nome che Dio aveva rivelato a Mosè: Jahwèh. Gesù dunque con quello che fa e con quello che dice manifesta la sua divinità, cioè di essere il Dio d’Israele che si è fatto uomo. Questo è fondamentale perché noi cristiani non crediamo semplicemente in Dio ma crediamo che Dio si è fatto uomo, che Gesù di Nazareth è Dio come dice l’apostolo nella seconda lettura: Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli.

Pietro chiede a Gesù come prova che è veramente lui di comunicargli il suo stesso potere: Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque. Vediamo che Gesù gli comunica il suo potere e Pietro riesce a camminare sulle acque. Questo episodio evangelico è molto importante e dobbiamo tenerlo sempre presente in quanto ci mostra quello che avviene nella vita cristiana. La vita cristiana con le sue esigenze si può paragonare ad un camminare sulle acque. Gesù ci chiede di seguirlo sulla via della croce, di amare come lui con un amore disposto a dare la vita. Pensiamo quando sia esigente quest’amore nella vita coppia o nella vita di un sacerdote. Pensiamo a quanto sia esigente quest’amore quando ci chiede la condivisione dei beni con i poveri, oppure di amare i nemici, di rispondere al male con il bene. Con le nostre forze siamo incapaci di vivere quest’amore, e rischiamo di venir meno insidiati dal demonio, dalla carne e dal mondo. Queste sono le potenze della morte: il demonio, la carne e il mondo. O meglio il demonio che si serve come strumenti della carne e del mondo. Abbiamo bisogno di Gesù che ci comandi di andare verso di lui camminando sulle forze della morte. Abbiamo bisogno di diffidare di noi stessi e di confidare completamente in Gesù. Non è facile diffidare di se stessi per confidare solamente in Gesù Cristo. È facile a dirsi e a imporselo come proposito, ma è molto difficile da metterlo in pratica. È un cammino lungo e faticoso. Vediamo che Pietro all’inizio riesce a camminare sulle acque, poi si distrae da Gesù, pensa che non può farcela perché il vento è troppo forte, si lascia prendere dalla paura e incomincia ad affondare. Pietro incomincia ad annegare quando si dimentica che sta riuscendo con l’aiuto di Gesù e non con le sue forze. Pensa che dovrà farcela da solo, e si lascia prendere dalla paura. Quando nelle tentazioni e nelle prove facciamo come Pietro, sperimentiamo la caduta. Il Signore permette le cadute per educarci a diffidare di noi stessi per confidare solo in lui. Mentre sta cadendo Pietro ha l’umiltà di gridare a Gesù: Signore, salvami! Se ci capita di cadere come Pietro a causa della nostra poca fede nella potenza di Gesù Cristo, facciamo almeno come lui chiedendo aiuto a Gesù. Questo grido lo dobbiamo rivolgere a Gesù nella preghiera e poi nel sacramento del perdono. È lì che lui ci afferra perché non siamo inghiottiti dalle forze della morte. Non adagiamoci nel peccato, perché una volta inghiottiti dalle forze della morte diventa difficilissimo divincolarsi da esse.

Il vangelo si chiude con una professione di fede dei discepoli: Davvero tu sei Figlio di Dio! È la stessa professione di fede di Pietro che avvenne a Cesarea di Filippo tempo dopo. A Gesù non dovette bastare se poi sollecitò la professione di fede di Pietro. La professione di fede fatta qui dai discepoli avviene in preda all’entusiasmo. Nell’entusiasmo a volte non ci rendiamo pienamente conto di quello che diciamo. La professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo viene fatta con piena consapevolezza. Il Signore Gesù ci vuole far sperimentare la sua divinità operando nella nostra vita, dandoci la sua stessa capacità di camminare sulle forze della morte. E quando ci riusciamo comprendiamo che Gesù è davvero il Figlio di Dio e, come ha promesso, è con noi tutti i giorni sino alla fine del mondo.

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Domenica 6 agosto 2023 – Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo

Liturgia della Parola: 1Lettura: Dan 7,9-10.13-14 — Salmo responsoriale: Sal 96 – 2Lettura: 2Pt 1,16-19 — Vangelo: Mt 17,1-9.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Parola del Signore.

Omelia
Nella trasfigurazione Gesù manifesta attraverso la natura umana simile alla nostra la sua gloria divina. Gesù è il Figlio di Dio, un solo Dio insieme al Padre e allo Spirito Santo. Gesù, il Figlio di Dio, si è fatto uomo come noi. Assumendo la natura umana ha nascosto in essa la sua gloria divina. Certo, questa gloria divina in alcuni momenti si lasciava intravvedere, come una filigrana. Si lasciava intravvedere nella sapienza con cui Gesù parlava. La gente era stupita del suo insegnamento perché parlava come uno che ha autorità. Si lasciava intravvedere nei miracoli che compiva. I miracoli sono dei segni della sua divinità. Ma cessato l’insegnamento e passati i miracoli, Gesù appariva un uomo come gli altri. Anzi fra non molto Gesù sarebbe apparso umiliato e sofferente, sfigurato nel volto e nel corpo, tanto da non poterlo guardare, secondo le parole del profeta Isaia.

Nella trasfigurazione Gesù manifesta la gloria divina attraverso la natura umana, o meglio manifesta la sua natura umana glorificata, divinizzata, come sarebbe avvenuto con la risurrezione. Con la trasfigurazione Gesù vuole preparare i discepoli allo scandalo della croce, affinché capiscano che la croce è solo un passaggio, mentre la condizione definitiva è la gloria divina. La gloria divina è qualcosa di indescrivibile. Per questo l’evangelista si limita a dire che il suo volto e le sue vesti divennero splendenti come il sole e come la luce.

Alcuni giorni prima della trasfigurazione Gesù aveva fatto ai discepoli una promessa: In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno. Nella trasfigurazione Gesù si manifesta come un giorno si manifesterà nella gloria quando verrà a giudicare i vivi e i morti e instaurerà definitivamente il suo regno. È quello che ci dice l’apostolo Pietro nella seconda lettura portando la sua testimonianza dell’avvenimento, in quanto era uno dei presenti: Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Pietro non si limita a portare la sua testimonianza ma rimanda a quella dei profeti dell’Antico Testamento. Nella prima lettura il profeta Daniele contempla la gloria di Gesù Cristo, il figlio d’uomo, a cui Dio affida il governo dell’universo: Gli furono dati potere, gloria e regno;/tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:/il suo potere è un potere eterno,/che non finirà mai,/e il suo regno non sarà mai distrutto.

Nella natura umana di Gesù divinizzata conosciamo la nostra condizione di risorti nel paradiso. L’apostolo Paolo dice che noi aspettiamo Gesù il quale trasfigurerà il nostro misero corpo mortale per conformarlo al suo corpo glorioso. E l’apostolo Giovanni nella prima lettera dice: Sappiamo che saremo simili a lui perchè lo vedremo come egli è.

Nel frattempo la voce del Padre ci dice quello che dobbiamo fare: Ascoltatelo. In Gesù converge e culmina la rivelazione di Dio. Nell’episodio della trasfigurazione appaiono Mosè ed Elia che conversavano con Gesù. Mosè rappresenta la Legge ed Elia i profeti, quindi raffigurano insieme l’Antico Testamento. Conversavano con Gesù che non è venuto ad abolire la Legge o i Profeti ma a dare compimento. L’autore della lettera agli Ebrei dice: Dio che aveva parlato ai padri molte volte e in diversi modi per mezzo dei profeti ultimamente parla a noi per mezzo del Figlio. In Gesù Dio ci dice tutto. Per questo non c’è bisogno di ulteriori apparizioni e rivelazioni. Le apparizioni e le rivelazioni continuano ad avvenire perché molti trascurano la rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Mediante le rivelazioni private, quelle autentiche, Dio ci richiama a quello che ha detto il Figlio e che non prendiamo in considerazione. Per esempio, la Madonna a Fatima dice ai veggenti di pregare e far pregare per la conversione dei peccatori, mostra nel terzo segreto la persecuzione  contro la chiesa. In altre apparizioni la Madonna dice ai veggenti di dire alla gente che devono convertirsi, devono pregare, devono partecipare a messa. La Madonna richiama l’attenzione su quello che ci ha detto Gesù e che viene predicato dalla chiesa, ma da molti non è preso più sul serio. Dunque mediante le rivelazioni private Dio richiama gli uomini a quello che ha già detto mediante il Figlio. Quindi dobbiamo ascoltare Gesù in quello che ci rivela del Padre, credendo in lui, ascoltare Gesù in quello che ci promette, sperando in lui, ascoltare Gesù in quello che ci comanda, amando come ci ha mostrato con il suo esempio. Gesù ci ha insegnato ad amare con un amore che non si lascia vincere dal male ma vince il male con il bene, con un amore disposto anche a soffrire pur di non cessare di amare. Difatti ci dona il più grande insegnamento nella morte di croce. Dobbiamo ascoltare Gesù rispondendo con la fede, la speranza e la carità. Dobbiamo ascoltare Gesù  con la fede, la speranza e la carità.

Ascoltando Gesù, diventiamo figli di Dio e partecipi della natura divina. Come avveniva per Gesù che la sua gloria divina era nascosta nell’umanità, così avviene per noi, che siamo figli di Dio ma non è immediatamente evidente. Quando Gesù si manifesterà nella gloria anche noi appariremo con lui nella gloria.

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30 luglio 2023 – XVII Domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: 1Re 3,5.7-12 — Salmo responsoriale: Sal 118 – 2Lettura: Rm 8,28-30 — Vangelo: Mt 13,44-52.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Parola del Signore.

Omelia
Il contadino e il mercante hanno fatto una valutazione per la decisione che hanno preso. Il contadino ha valutato che per lui era vantaggioso acquistare il campo a prezzo di tutti i suoi beni. Perciò va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. E così pure il mercante. Il mercante è un uomo abile negli affari. Ha fiutato che la perla preziosa è di grande valore e vale più dei suoi beni. Perciò vende tutti i suoi averi e la compra. Con queste due similitudini Gesù vuole dire che noi dobbiamo fare la stessa valutazione per il regno dei cieli, che poi è lui stesso. Gesù infatti ha posto come condizione per diventare suoi discepoli la rinuncia a tutti i propri beni: Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Per fare questo che Gesù ci chiede dobbiamo valutare che per noi è vantaggioso. Nel mondo tutti quelli che fanno affari, prendono decisioni, esprimono giudizi, fanno valutazioni, operano cioè un discernimento. Per convincerci che è vantaggioso per noi seguire Gesù a prezzo di tutti i nostri beni, abbiamo bisogno di fare un discernimento. Non si tratta però di un discernimento simile a quello che fanno gli uomini in tutte le loro scelte. Infatti non è immediatamente evidente il vantaggio che ci deriva da Gesù Cristo. Il discernimento di cui abbiamo bisogno viene da Dio.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato che il re Salomone, divenuto re in giovane età, chiede a Dio il dono del discernimento. Dio gli era apparso in sogno e gli aveva detto: Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda. Salomone in qualità di re sente tutto il peso della sua responsabilità. Come re doveva guidare il popolo di Dio, doveva prendere decisioni per questo popolo, emettere sentenze, in quanto le cause in ultima istanza erano presentate a lui. Salomone allora dice a Dio: Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male. Salomone chiede a Dio un cuore docile, alla lettera un cuore che ascolta. Infatti la capacità di discernere rettamente dipende dall’ascolto della parola di Dio. Ogni uomo nelle sue scelte opera un discernimento, ma solo il discernimento che viene da Dio è quello retto e infallibile. Questo discernimento deriva dalla familiarità con la parola di Dio.

Ora dobbiamo chiarire la condizione posta da Gesù per essere suoi discepoli. Come va intesa la richiesta di rinunciare a tutti gli averi? Per comprendere ciò dobbiamo rifarci alla tradizione della chiesa che parte dagli apostoli e arriva sino a noi. La tradizione è formata da tutte le generazioni di cristiani che ci hanno preceduto a partire dagli apostoli. Nella tradizione vediamo che la rinuncia a tutti beni è stata intesa come un distacco radicale solo per alcuni cristiani, quali i religiosi e i sacerdoti. Per essi vale la richiesta fatta da Gesù al giovane ricco: Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi! Per tutti i cristiani la richiesta è stata intesa come un distacco affettivo dai beni in proprio possesso, secondo la parola del Salmo: Alla ricchezza anche se abbonda non attaccate il cuore. Per essi vale l’atteggiamento di Zaccheo, che, dopo essersi convertito, dice a Gesù: Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri. Gesù approva questa decisione di Zaccheo dicendo: Oggi la salvezza è entrata in questa casa. Non gli dice come al giovane: Vendi quello che hai e dallo ai poveri. Il distacco affettivo dai propri beni si manifesta nel bisogno di condividerli con i fratelli bisognosi. Per diventare discepoli autentici di Gesù dobbiamo rinunciare a tutti i nostri beni, distaccandoci da essi, condividendoli con i poveri, perché il nostro unico bene è il Signore.

L’uomo che parla nel salmo mostra di possedere questo discernimento. Infatti per lui l’amicizia con il Signore vale più di tutte le ricchezze: La mia parte è il Signore:/ho deciso di osservare le tue parole./Bene per me è la legge della tua bocca,/più di mille pezzi d’oro e d’argento. Dice che la legge del Signore per lui vale più delle ricchezze, perché il Signore si relaziona con noi mediante la sua parola. La parola del Signore è il Signore stesso che ci parla. Il discernimento, dunque, si acquista mediante la parola del Signore e ci insegna a lasciarci guidare dalla sua parola, perché questo è il nostro vero bene. Noi curiamo l’amicizia con Gesù, lo mettiamo al primo posto nella nostra vita, lo consideriamo più importante di ogni altro bene, quando ci lasciamo guidare dalla sua parola.

L’apostolo nella seconda lettura mostra i vantaggi per coloro che hanno operato il discernimento di seguire Gesù. Chiunque segue Gesù entra a far parte del progetto di Dio il quale vuole che tutti gli uomini siano conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli. Da parte nostra dobbiamo prendere la decisione di seguire Gesù, di lasciarci guidare dalla sua parola. Tutto il resto, come dice l’apostolo, lo farà Dio: Quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati. Quelli che ha giustificati, li ha anche glorificati. Dio porterà a compimento la sua opera iniziata in noi, rendendoci partecipi della gloria di Gesù risorto seduto alla sua destra nel cielo.

Nel vangelo c’è infine la similitudine della rete che prende ogni genere di pesci. La reta indica la chiesa nella situazione attuale, che accoglie tutti coloro che sono disponibili a seguire Gesù. La separazione dei pesci è il giudizio finale. Nella similitudine non si dice con quale criterio viene fatta la separazione. Ma se siamo stati attenti a tutto il discorso sul discernimento, si può comprendere facilmente. I pesci buoni sono quelli che hanno saputo discernere che per loro era vantaggioso rinunciare a tutti i propri beni per seguire Gesù, i pesci cattivi sono quelli che non hanno saputo fare questo discernimento, e sono rimasti attaccati ai propri beni e hanno voluto servire due padroni, finendo col trascurare Gesù.

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Domenica 23 luglio 2023 – XVI domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Sap 12,13.16-19 — Salmo responsoriale: Sal 85 – 2Lettura: Rm 8,18-23 — Vangelo: Mt 13,24-43.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No”, rispose, “perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
«Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Parola del Signore.

Omelia
Dalla parabola del grano e della zizzania apprendiamo che nel mondo non opera soltanto Gesù Cristo ma è all’opera anche il demonio. Gesù Cristo semina il buon seme della sua parola, e quelli che l’accolgono, diventano figli di Dio. Il demonio semina il cattivo seme dei suoi suggerimenti, e quelli che li seguono si mettono dalla sua parte, diventano figli del maligno.  Bisogna notare che Gesù Cristo opera nel suo campo, perché il mondo gli appartiene, il diavolo invece è un intruso che  si intromette furtivamente nel campo di Dio per danneggiarlo. Gesù Cristo poi semina alla luce del sole, il diavolo invece di nascosto, quando tutti dormivano. Per fare un esempio, proprio adesso abbiamo ascoltato la parola di Gesù. Alla fine di ogni lettura abbiamo ascoltato: parola di Dio, parola del Signore. Gesù Cristo ci mette la faccia e la firma. Nel mondo non sentirete mai nessuno che concluderà una lettura o un’affermazione dicendo: parola del diavolo. Eppure ci sono tanti che con i loro insegnamenti ed esempi cattivi insegnano a nome del diavolo. Probabilmente non ne sono consapevoli. Ma dal momento che insegnano e agiscono in modo contrario alla parola di Dio, stanno seminando la zizzania, ovvero il loglio tossico del maligno.

I servi come vedono spuntare la zizzania in mezzo al grano vorrebbero sradicarla subito. Ma il padrone risponde con buon senso di aspettare la mietitura. All’inizio grano e zizzania non si distinguono bene, ma una volta cresciuti allora è più facile separarli. Noi ci comportiamo come i servi quando davanti ad un’ingiustizia vorremmo che Dio intervenisse subito a punire il malvagio. Altre volte ce la prendiamo con Dio perché non ha evitato alcune azioni cattive. Perché Dio non interviene subito a punire i malvagi? Perché non li sradica dalla faccia della terra?

La risposta ci viene dal salmo e dalla prima lettura. Nel salmo abbiamo ascoltato: Tu sei buono, Signore, e perdoni…Ma tu, Signore, Dio misericordioso e pietoso,/lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà. E nella prima lettura il libro della Sapienza diceva: Padrone della forza, tu giudichi con mitezza/e ci governi con molta indulgenza. Se il Signore avesse ascoltato il grido di vendetta degli uomini, non avremmo avuto Santa Maria Maddalena, la cui memoria è stata ieri, non avremmo avuto San Paolo, che da persecutore dei cristiani è diventato apostolo del vangelo. Non avremmo avuto San Agostino, Santa Maria Egiziaca, e tanti peccatori convertiti che sono diventati grandi santi. Ma il discorso della punizione divina, portato all’estreme conseguenze, riguarda anche noi. Se Dio deve punire prontamente quelli che sbagliano, dovrà punire certamente anche noi. Infatti il Salmo 129 dice: Se tu guardi le colpe, Signore, chi potrà sussistere? Il Signore invece è paziente perché non vuole la morte dei peccatori ma la conversione. Ognuno di noi è prezioso agli occhi di Dio, perché egli ci ha fatti a sua immagine e somiglianza e siamo stati redenti dal sangue prezioso del suo Figlio. Questo non vuol dire che quando sbagliamo Dio non fa niente ed aspetta soltanto. Intanto interviene nel nostro cuore con il rimorso. Poi se continuiamo ad ostinarci al male, interviene a correggerci. Il libro della Sapienza a tal proposito ricorda il comportamento di Dio con gli Egiziani. Dio li ha corretti un po’ alla volta con le dieci piaghe, per spingerli alla conversione.

Nel momento presente non c’è nulla di definitivo. Alcuni uomini sembrano buoni, altri sembrano cattivi. Poi con il tempo alcuni tra i cattivi si convertono, altri tra i buoni si pervertono. Non c’è nulla di definitivo. Quindi da parte nostra non dobbiamo considerare nessuno perduto e non dobbiamo giudicare nessuno. Possiamo certo giudicare le azioni cattive, condannandole, ma non possiamo giudicare chi le compie, perché a noi sfuggono molte cose, soprattutto i segreti del cuore. Il giudizio ci sarà alla fine del mondo, e solo allora appariranno quelli che erano veramente buoni e quelli che erano veramente cattivi. Dio si limiterà a prendere atto delle nostre decisioni. Se scegliamo di stare con lui, staremo con lui. Se prendiamo le distanze da lui, staremo senza di lui. Quello che conta non sono le parole: Signore, Signore, ma ciò che avremo fatto con la nostra vita.

La Madonna a Fatima ai pastorelli facendo vedere le anime dei dannati ha detto che molti si dannano perché non c’è nessuno che preghi per loro. Sapendo questo dobbiamo pregare per coloro che vediamo immersi nel peccato e chiedere a Dio per noi il dono della perseveranza finale.

Dalle altre due parabole apprendiamo che il regno di Dio all’inizio sembra piccolo ma avrà un effetto grandioso. Il granellino di senape e il lievito sono cause piccole con grandi effetti. Dal granellino un albero, dal poco lievito la lievitazione di più di 15 kili di farina, a tanto corrispondevano le tre misure. Il regno di Dio ci raggiunge in piccolezza, mediante il seme della parola e il lievito dello Spirito Santo. Se accogliamo la parola e ci lasciamo plasmare dallo Spirito di Dio, la nostra vita sarà tutta trasformata. Queste due parabole ci assicurano che il regno di Dio in noi raggiungerà il suo compimento. Dio porta a termine la sua opera in noi. Da parte nostra dobbiamo corrispondere a Dio con il desiderio di fare la sua volontà e di essere trasformati dal suo Spirito. Questo desiderio è la preghiera. L’apostolo nella seconda lettura ci diceva che lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente. Siccome non sappiamo come sarà la pienezza del regno di Dio in noi, come sarà la nostra piena trasformazione per essere simili a Gesù nella gloria, come sarà il paradiso, non sappiamo desiderare in modo conveniente questi beni. Noi desideriamo in modo conveniente ciò che conosciamo bene. Ma ciò che non conosciamo bene, non riusciamo a desiderarlo in modo conveniente. Allora lo Spirito Santo che è in noi aiuta il nostro desiderio, cioè la nostra preghiera, generando come una corrispondenza con Dio perché ci prepariamo a ricevere in modo conveniente i suoi beni.

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Domenica 16 luglio 2023 – XV domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Is 55,10-11 — Salmo responsoriale: Sal 64 – 2Lettura: Rm 8,18-23 — Vangelo: Mt 13,1-23.

Dal Vangelo secondo Matteo

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Parola del Signore.

Omelia
Gesù parla alle folle in parabole, ai discepoli in privato spiega ogni cosa. Alle folle parla in modo velato perché le persone che compongono le folle non sono interessate al suo insegnamento. Non comprendono quello che Gesù insegna e nemmeno vogliono comprenderlo. Anche i discepoli non comprendono il significato delle parabole, ma poi gli chiedono la spiegazione. Le folle non comprendono e non si preoccupano di comprendere perché non sono interessate a quello che dice Gesù. Le folle sono formate da persone che provano verso Gesù una certa simpatia, gli vanno dietro perché vogliono vedergli fare qualche miracolo, ma niente di più. I discepoli invece sono quelle persone che hanno preso la decisione di seguire Gesù. Questo diverso comportamento ha origine nel cuore. La gente che forma la folla ha il cuore indurito, insensibile alla parola di Dio. Per questo, come dice la Scrittura, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono. Nonostante abbiano visto i miracoli compiuti da Gesù e abbiano avuto modo di constatare che Gesù parla con autorità, in quanto la sua parola comanda agli spiriti impuri e gli obbediscono, da queste esperienze non deducono, come sarebbe stato giusto, di seguire Gesù. I discepoli invece hanno il cuore disponibile a Dio, per questo vedono i miracoli, ascoltano la parola di Gesù, e comprendono che è fondamentale seguirlo.

La parabola del seminatore riguarda proprio l’atteggiamento che gli uomini assumono verso la parola di Gesù. La strada rappresenta quelli che non comprendono la parola di Gesù e se la lasciano subito rubare dal maligno. Quindi la dimenticano e così in loro non attecchisce e non porta frutto. La gente della folla è come la strada. Quelli della folla non comprendono la parola. Non ne comprendono il significato come nel caso delle parabole, ma non ne comprendono soprattutto l’importanza per la loro vita. Infatti in altre occasioni Gesù parla apertamente e pur comprendendo il significato di quello che dice non ne comprendono l’importanza per la loro vita.

Gli altri tipi di terreno riguardano i discepoli di Gesù. Il terreno sassoso sono quelli che accolgono la parola con entusiasmo ma sono incostanti. E se a causa della parola di Gesù subiscono una difficoltà o una prova, vengono meno. Il terreno con le spine sono quelli che accolgono la parola ma le preoccupazioni terrene e la bramosia della ricchezza soffocano in loro la parola. Da notare che di coloro che somigliano al terreno sassoso e a quello con le spine Gesù non chiarisce se comprendono o meno la sua parola. Per averla accolta ne hanno almeno compreso il significato. Ma visto che non perseverano in questa accoglienza deduciamo che non ne hanno compreso l’importanza per la loro vita. Per capire quello che stiamo dicendo, prendiamo l’esempio di un medico che dice ad un malato di prendere una certa medicina, altrimenti va incontro alla morte. Se il malato comprende le parole del medico, starà attento a prendere la medicina che gli ha suggerito. Così avviene per la parola di Gesù. Quando comprendiamo che è necessaria alla nostra salvezza, ci impegniamo a metterla in pratica. Infine il terreno buono sono quelli che ascoltano la parola e la comprendono. La comprendono sia nel significato e sia nell’importanza. In loro la parola attecchisce, cresce, e porta frutto. Tre parti della parola seminata vanno perduti, una sola parte trova il terreno buono e produce un raccolto sovrabbondante che compensa le perdite.

Quando ascoltato lo possiamo constatare benissimo nella realtà. Molti cristiani somigliano al terreno sassoso e a quello con le spine. Quelli del terreno sassoso vivono la fede a periodi, poi si perdono per lungo tempo. Quelli del terreno con le spine vivono la fede nei momenti dei sacramenti, poi si gettano a capofitto nelle preoccupazioni terrene. Quando Gesù parla di preoccupazioni terrene si riferisce a tutti gli impegni della vita sulla terra. Sono impegni legittimi, come quelli che occupavano Marta. Ma la occupavano al punto da farle perdere di vista l’unica cosa necessaria nella vita. Ogni domenica molti cristiani vanno al supermarket per la spesa, oppure si dedicano ai servizi domestici, essendo l’unico giorno senza lavoro. Sono tutte cose legittime, ma non ci possono assorbire fino a farci trascurare il dovere verso Dio. Quelli del terreno buono sono i santi che con la loro vita producono il cento, il sessanta e il trenta per uno. I santi sono sia quelli già canonizzati dalla chiesa e sia i cristiani che vivono la fede in modo autentico. Riguardo ai santi canonizzati, penso alla fecondità della vita di San Francesco di Paola. Quando era sulla terra, la sua vita è stata feconda di opere buone. Non dobbiamo pensare solo ai miracoli con cui veniva incontro alle necessità del prossimo, ma soprattutto ai frutti della sua testimonianza con cui ha attirato a Gesù Cristo molte persone. Dalla sua morte sono trascorsi cinquecento anni. In questi cinquecento anni San Francesco continua a produrre frutti di bene, attirando moltitudini di persone a Gesù Cristo. Chiunque va a Paola a visitare i luoghi di San Francesco viene ispirato da pensieri di conversione. Molti che erano lontani si confessano e si accostano alla comunione. Nella vita di San Francesco di Paola il seme della parola ha trovato il terreno buono ed ha prodotto il cento per uno.

Se siamo nella condizione dei terreni cattivi per diventare terreno buono dobbiamo fare come il contadino, togliere le pietre e le spine e arare bene il terreno. Questa pulitura e aratura avviene con la conversione che culmina nel sacramento della penitenza. La condizione della strada è quella più difficile da cambiare, perché riguarda coloro che hanno il cuore indurito e la parola scivola via. Tuttavia il Signore non trascura neanche loro. E se non prendono da se stessi l’iniziativa di convertirsi per diventare terreno buono, è il Signore che la prende per loro. Pensiamo alla parabola del Figliol prodigo. Nel momento della difficoltà rientrò in se stesso e prese la decisione di ritornare a Casa. Allora benedette difficoltà, benedette tribolazioni, benedette avversità, se ci aiutano a convertirci al Signore. San Josèmaria Escrivà de Balaguer ringraziava il Signore per tutte le sofferenze che aveva sperimentato nella vita.

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Domenica 9 luglio 2023 – XIV domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Zc 9,9-10 — Salmo responsoriale: Sal 144 – 2Lettura: Rm 8,9.11-13 — Vangelo: Mt 11,25-30.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù disse:

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».Parola del Signore.

OmeliaGesù ringrazia il Padre per la fede dei piccoli. Ad un certo punto della sua missione Gesù constata che alcuni non vogliono credere in lui, altri invece credono in lui. Quelli che credono in lui sono i piccoli, i poveri di spirito. Con le espressioni hai nascosto e hai rivelato Gesù intende il dono della fede. Dio vuole fare a tutti il dono della fede, perché come abbiamo ascoltato nel salmo egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore. Ma non tutti gli uomini sono disponibili ad accogliere il dono della fede. Quelli che rifiutano la fede sono i sapienti e i dotti, quelli che l’accolgono sono i piccoli. Quando Gesù parlava di sapienti e dotti pensava agli scribi e i farisei che non volevano credere in lui. Quando parlava di piccoli pensava ai suoi discepoli. Gli scribi e i farisei sono chiusi al dono di Dio e quindi non credono in Gesù non perché sono persone di cultura ma perché sono superbi. Così i discepoli sono aperti al dono di Dio e seguono Gesù non perché sono persone senza cultura ma perché sono umili. I superbi quando sono colti diventano presuntuosi, gli umili invece diventano ancora più umili. Penso a San Agostino e a San Tommaso d’Aquino. Erano uomini di una cultura enorme, come si vede dalle opere che ci hanno lasciato, ma nello stesso tempo sono stati uomini di grande fede. Nei loro scritti dimostrano l’armonia che c’è tra la ragione e la fede. Il contenuto della fede che Gesù chiama queste cose riguarda il mistero della sua relazione con il Padre di cui parla poco dopo: Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Il contenuto della fede riguarda Gesù Cristo Figlio di Dio che è venuto e rivelare il Padre affinché gli uomini credendo entrino in relazione personale con lui.

Gesù pertanto invita i piccoli, i poveri di spirito, gli umili a mettersi alla sua scuola, in quanto egli facendosi uomo ha voluto essere un povero di spirito. Quando Gesù dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore, si definisce povero di spirito. L’umiltà e la mitezza sono le caratteristiche fondamentali dei poveri di spirito. Nella prima lettura il profeta aveva preannunciato che il futuro Messia sarebbe stato un povero di spirito: umile, cavalca un asino,/un puledro figlio d’asina. Gesù definisce i poveri di spirito stanchi ed oppressi, perché, essendo persone coscienziose e timorate di Dio, si impegnano con tutte le forze ad osservare la sua legge, e non riuscendoci, rimangono stanchi e oppressi. Gesù li invita a mettersi alla sua scuola, a mettersi sotto il giogo del suo insegnamento che è dolce e leggero. Il giogo è un attrezzo posto sul collo dei buoi per tirare l’aratro, il carro o qualunque altra cosa. Per portare il giogo bisogna essere almeno in due. Gesù definisce il suo insegnamento giogo dolce e leggero. Da una parte è un giogo, ed è abbastanza pesante, perché Gesù viene a radicalizzare l’antica legge, insegnandoci l’amore perfetto. Dall’altra è un giogo dolce e leggero. Infatti Gesù a quelli che credono in lui dona lo Spirito Santo, che trasforma i loro cuori e scrive nei loro cuori la legge di Dio così che dà peso diventa un’esigenza di vita.

Nella seconda lettura l’apostolo parla dello Spirito Santo che abita nei credenti come in una casa. L’immagine del giogo rende bene l’idea della vita cristiana. Non siamo soli ma c’è con noi Gesù Cristo con lo Spirito Santo. Per questo la legge di Dio diventa leggera da portare. Lo Spirito Santo trasforma i comandi della legge in altrettanti desideri del cuore. Quest’opera dello Spirito Santo richiede la nostra collaborazione con la meditazione della parola di Dio, la preghiera, i sacramenti, in poche parole una conversione continua. Se lasciamo agire in noi lo Spirito Santo, potremo sperimentare quello che dice Gesù: Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero.

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Domenica 2 luglio 2023 – XIII domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  2Re 4,8-11.14-16a — Salmo responsoriale: Sal 88 – 2Lettura: Rm 6,3-4.8-11 — Vangelo: Mt 10,37-42.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:

«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.

Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.

Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.

Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Parola del Signore.

Omelia
Le condizioni che Gesù detta non sono solo impegnative ma sembrano volerci togliere qualcosa. Gesù ci chiede il primato dell’amore, di metterlo al primo posto nella nostra vita, di seguirlo sulla via della croce, di amarlo più della nostra stessa vita. A prima vista sembrano toglierci qualcosa. Se riflettiamo bene, vediamo che invece di toglierci ci danno. Se infatti amiamo Gesù più delle persone care, non togliamo nulla alle persone care, ma saremo portati ad amarle di più. Se un papà ama Gesù Cristo più dei propri figli, non significa che li amerà di meno, ma li amerà con più intensità. Così se un figlio ama Gesù più dei genitori, sarà portato ad amarli di più, a rispettarli e a prendersene cura scrupolosamente. L’amore a Gesù ha una ricaduta su tutti gli affetti, accrescendoli. Una volta venne da me un giovane a chiedermi un consiglio. Frequentava la messa tutti i giorni e questo fatto non piaceva alla fidanzata, che provava come una gelosia. Il giovane mi chiedeva cosa poteva dire alla fidanzata. Gli risposi che doveva farle capire che non aveva nulla da temere del suo affetto per Gesù, ma anzi doveva stare più che sicura. Infatti seguendo Gesù Cristo l’avrebbe amata ancora di più, sarebbe stato con lei sempre sincero, e lei non avrebbe dovuto aspettarsi qualche tradimento. Al contrario amando di meno Gesù Cristo, tutti gli altri affetti rimangono invariati se non rischiano molte volte di deteriorarsi.

Riguardo alla croce, Gesù non ci chiede di ricercarla, ma di accettarla quando ci capita e di portarla come ha fatto lui. La croce riguarda tutte quelle situazioni che se eviteremmo, mancheremmo di amore. Gesù poteva evitare di recarsi a Gerusalemme, dove avrebbe subito la croce. Se lo avesse fatto, avrebbe mancato di amore verso Dio e verso di noi. Gesù allora prende la ferma decisione di recarsi a Gerusalemme, dove accettando la croce per amore, il suo amore diventa perfetto. Gesù ci chiede di seguirlo sulla via della croce, non perché vuole vederci soffrire, ma perché vuole la nostra salvezza. Infatti solo per la via della croce, cioè dell’amore perfetto, noi arriviamo alla gloria della risurrezione. Nella croce possiamo pregustare su questa terra le primizie della felicità del paradiso. La felicità è proporzionale all’amore che doniamo. Più il nostro amore è perfetto, più cresce la nostra gioia. I frutti della croce dunque non riguardano solo la vita futura ma anche la vita presente. Infatti l’amore ci rende migliori e più felici.

La terza condizione, quella cioè di amare Gesù più di noi stessi, è alla base di tutte le altre condizioni. Gesù dice: Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi trattiene la propria vita per sé, rifiuta di seguire Gesù e di prendere in considerazione le sue condizioni, impostando la vita sull’egoismo. Chi si comporta così, perderà la propria vita. I frutti velenosi dell’egoismo non si vedranno solo nella vita futura con la perdizione, ma già in questa vita con insoddisfazioni e amarezze. Invece chi perde la propria vita per Gesù, sia perché la spende per lui, seguendolo e mettendo in pratica le sue condizioni, sia perché la dona in quanto viene ucciso per lui, come i martiri, la ritroverà per l’eternità. Gesù ci chiede di donare per lui la vita presente,  destinata a finire, e ci promette una ricca ricompensa su questa terra e per l’eternità. Per comprendere che le condizioni che ci detta Gesù non ci tolgono nulla ma ci danno ancora di più, possiamo richiamarci all’episodio del giovane ricco. Come sappiamo questo ricco non seguì il consiglio di Gesù e se ne andò via triste. Pietro allora disse a Gesù: Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa ne avremo? E Gesù rispose: In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Le persecuzioni stanno ad indicare che la piena ricompensa non è qui sulla terra ma solo nell’altra vita. Quindi seguire Gesù e mettere in pratica quello che ci chiede è vantaggioso per noi sia in questa vita e sia nell’altra. Tuttavia, dobbiamo riconoscere con onestà che con nostre forze non riusciamo ad amare Gesù più dei nostri cari, non riusciamo a seguirlo sulla via della croce, non riusciamo ad amarlo più di noi stessi. Allora le condizioni dettate da Gesù restano lettera morta? Nessuno potrà partecipare delle sue promesse?

La risposta ci viene dalla seconda lettura in cui l’apostolo dice che nel battesimo noi siamo uniti a Gesù Cristo morto e risorto. Nel battesimo noi siamo morti alla vita segnata dal peccato per vivere una vita nuova. Il principio di questa vita nuova è lo Spirito Santo che diffonde nei nostri cuori l’amore di Dio. Dal momento del battesimo vive in noi lo Spirito Santo che ci unisce a Gesù come i tralci alla vite, e diffonde nei nostri cuori l’amore di Dio. Tutta la vita cristiana, come diceva san Serafino di Sarov, consiste nell’acquisizione dello Spirito Santo. Dobbiamo cioè accrescere la presenza dello Spirito Santo in noi. E questo lo facciamo con la lettura e la meditazione della parola di Dio, con la preghiera e i sacramenti, con le opere buone. Lo Spirito Santo ci unisce sempre più a Gesù e ci rende capaci di amarlo più dei nostri cari, di seguirlo sulla via della croce, di amarlo più di noi stessi. Per questa unione vitale che abbiamo con lui, Gesù ritiene fatto a sé quello che viene fatto a noi: Chi accoglie voi accoglie me. Da questo comprendiamo quanto siamo importanti agli occhi di Gesù, quanta considerazione ha Dio Padre verso di noi se è pronto a ricompensare tutti coloro che avranno fatto dei gesti di accoglienza nei nostri riguardi.

Gesù ci promette che, seguendolo, riceveremo cento volte tanto in questa vita e in eredità la vita eterna. Gesù promette che tutti quelli che ci avranno accolti perché suoi discepoli saranno ricompensati. Possiamo fidarci di tutte le promesse del Signore? Il salmo ci ricorda che il Dio d’Israele è fedele alle sue promesse. La storia dell’Antico Testamento racconta la progressiva realizzazione delle promesse di Dio ad Abramo. Il Nuovo Testamento racconta la realizzazione delle promesse di Dio a Davide e al popolo di Israele mediante i profeti. Quando sperimentiamo su questa terra le promesse di Gesù, abbiamo la certezza che sperimenteremo le promesse che riguardano la vita futura.

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Domenica 25 giugno 2023 – XII domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Ger 20,10-13 — Salmo responsoriale: Sal 68 – 2Lettura: Rm 5,12-15 — Vangelo: Mt 10,26-33.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:

«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.

Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
Parola del Signore.

Omelia
Gesù nel momento di inviare i dodici apostoli in missione, preannuncia loro che avrebbero subito persecuzioni a causa del suo nome. In un’altra occasione Gesù ha detto loro: Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Nella prima lettura il profeta Geremia si lamentava delle persecuzioni che doveva subire a causa della parola di Dio che annunciava. Anche l’uomo che parla nel Salmo, di cui ignoriamo il nome, dice a Dio: Per te io sopporto l’insulto. Perché gli uomini di Dio vengono perseguitati e perché lo stesso Figlio di Dio Gesù Cristo viene perseguitato e ucciso sulla croce?

La risposta ci viene dalla seconda lettura. Gli uomini sono feriti dal peccato originale: Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. La natura umana, guastata dal peccato originale, è come chiusa alla grazia di Dio. Tuttavia gli uomini, nonostante siano indeboliti dal peccato originale e dai peccati personali, mantengono la libertà di scegliere il bene ed evitare il male. Quelli che scelgono il bene si aprono a Dio, quelli che scelgono il male, si chiudono sempre più a lui, fino ad indurire il cuore, diventando completamente insensibili ai suoi appelli. Il profeta Geremia viene perseguitato perché rimprovera il popolo di non essere sincero con Dio. Il popolo viene nel tempio a rendere culto a Dio, ma poi quando esce non si fa scrupolo di trasgredire i suoi comandamenti. Gesù sarà perseguitato dai capi religiosi del suo tempo, perché erano invidiosi del fatto che il popolo pendeva dalle sue labbra, e venivano rimproverati da Gesù per la loro ipocrisia.

La persecuzione assume forme diverse: discredito, derisione, emarginazione, violenza fisica. Il profeta Geremia nella prima lettura si lamenta perché viene calunniato: Sentivo la calunnia di molti. Viene deriso. Lo chiamano ironicamente: Terrore all’intorno, perché annuncia i castighi che si sarebbero abbattuti sul popolo. Veniva emarginato finanche dai suoi amici. Pensiamo alle persecuzioni che ha dovuto subire Gesù. I capi religiosi, scribi e farisei, dottori della legge e sacerdoti, non perdevano occasione per screditarlo. Se compiva un miracolo in giorno di sabato, lo accusavano di trasgredire il comandamento del riposo e di essere pertanto un peccatore. Se liberava gli indemoniati, dicevano che agiva in nome di beelzebul, principe dei demoni, e quindi volevano dire che era egli stesso un indemoniato. Se guardiamo agli apostoli e ai santi, che hanno seguito Gesù e annunciato la sua parola, tutti hanno subito persecuzioni di ogni sorta. Molti di loro sono stati uccisi proprio perché discepoli di Gesù Cristo. Sono quelli che chiamiamo martiri, in quanto hanno dato la vita per Gesù Cristo. Se vogliamo essere discepoli di Gesù dobbiamo mettere in conto le persecuzioni. Sono come il sigillo di autenticità. Nel vangelo leggiamo che un tale disse a Gesù: Ti seguirò dovunque tu vada.  Gesù gli risponde: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. In questo modo mette in chiaro che seguendo lui doveva prepararsi alle difficoltà. Dunque seguendo Gesù dobbiamo sapere che andremo incontro a persecuzioni. Questo non significa che saremo in una persecuzione continua, ma che certamente faremo qualche esperienza di persecuzione.

Il vero pericolo è che per timore di subire persecuzioni, o intuendo che facendo e dicendo alcune cose potremmo essere perseguitati, decidiamo di non esporci e rinunciamo ad annunciare la parola di Gesù. Invece come cristiani siamo chiamati proprio ad esporci al mondo, a testimoniare con la vita e con le parole Gesù Cristo. Gesù ha detto che noi siamo la luce del mondo, e nessuno accende una luce per poi coprirla. Sarebbe un controsenso. Da qui l’esortazione di Gesù ripetuta per tre volte nel vangelo di oggi: Non abbiate paura. Come cristiani siamo chiamati a rendere testimonianza pubblica a Gesù, ad annunciare con chiarezza la sua parola, che può salvare quelli che l’accolgono, liberandoli dal peccato originale e rendendoli figli di Dio. Per questo Gesù diceva: Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. Se per paura delle persecuzioni nascondiamo che siamo cristiani e rinunciamo ad annunciare la parola di Gesù, dimostriamo di preoccuparci più del giudizio degli uomini che di quello di Dio. Gli uomini con le loro persecuzioni tutt’al più possono infliggerci la morte del corpo, ma non possono uccidere l’anima. Se omettiamo di rendere testimonianza a Gesù, Dio un giorno ci condannerà alla morte eterna dell’anima e del corpo. Nel giudizio di Dio Gesù interverrà a riconoscere come suoi quelli che lo avranno riconosciuto davanti agli uomini, invece rinnegherà quelli che lo avranno rinnegato davanti agli uomini. Quelli che lo avranno riconosciuto, avranno confessato con la bocca che egli è il Signore e il Salvatore e con la vita si saranno impegnati ad osservare i suoi comandamenti. Quelli che lo avranno rinnegato, non lo avranno riconosciuto davanti agli uomini come Signore e Salvatore e non si saranno preoccupati di mettere in pratica i suoi comandamenti, ma avranno agito seguendo la mentalità del mondo. Avranno agito come fanno tutti.

Possiamo superare la paura delle persecuzioni degli uomini se consideriamo che la nostra vita è sotto lo sguardo di Dio, il quale si prende cura di ogni sua creatura, anche delle più insignificanti come può apparire un passero. Molto più si prenderà cura di noi creati a sua immagine e somiglianza, redenti dal sangue del suo Figlio e divenuti suoi figli nel battesimo. A Dio non sfugge nulla della nostra vita, e se siamo perseguitati a causa di Gesù non dobbiamo turbarci, ma anzi, come ha detto lui: Rallegrarci ed esultare perché grande è la nostra ricompensa nei cieli, e abbandonarci ancora di più tra le braccia di Dio Padre come fa il bambino con i suoi genitori.

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Domenica 18 giugno 2023 – XI domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura:  Es 19,2-6a — Salmo responsoriale: Sal 99 – 2Lettura: Rm 5,6-11 — Vangelo: Mt 9,36-10,8.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».

Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.

I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda lIscariota, colui che poi lo tradì.

Questi sono i Dodici che Gesù invò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Parola del Signore

Omelia
Gesù si commuove, vedendo le folle che lo cercano, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore.  I pastori c’erano ma non facevano il proprio dovere. Non si prendevano cura del popolo di Dio né con l’insegnamento né con l’esempio. I pastori si prendono cura del popolo istruendolo con la parola di Dio, affinché segua la via di Dio, e dando con la vita il buon esempio. I pastori del tempo di Gesù, sacerdoti e dottori della legge, non facevano né l’una né l’altra cosa. Per questo le folle appaiono a Gesù stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Senza la guida dei pastori umani, non riuscivano da se stessi a seguire la via di Dio. Questo vale anche per noi oggi. Senza l’aiuto di coloro che il Signore ha posto come pastori, non riusciamo da soli a seguire la via di Dio. E senza la via di Dio, siamo come persone cha vanno avanti senza una meta, perché hanno perso l’orientamento. Alcuni anni fa un gruppo di persone doveva fare un pellegrinaggio a piedi a Paola. Dovevano partire di notte e attraversare la montagna. Con loro doveva esserci uno che conosceva il sentiero da seguire. Questa persona al momento della partenza non si presenta. Tutti decisero di partire comunque, perché pensavano che non sarebbe stato difficile attraversare la montagna. Invece per ben tre volte ritornarono allo stesso punto, perché non conoscevano il sentiero da seguire e avevano perso l’orientamento.

Per bocca del profeta Ezechiele Dio rimproverava i cattivi pastori che invece di pascolare il suo popolo pascono se stessi. Così Dio prometteva che avrebbe mandato un pastore secondo il suo cuore a radunare le sue pecore. Gesù è il buon pastore venuto a radunare le pecore di Dio. Dinanzi alle folle che lo cercano Gesù constata: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Sicuramente in quelle folle che gli stavano davanti Gesù con la sua prescienza avrà vistole folle di tutti i tempi. Gli uomini disposti ad ascoltare la voce di Gesù e a diventare suoi discepoli sono tantissimi, come una messe abbondante, ma sono pochi gli operai, i discepoli di Gesù che si impegnano a condurre gli uomini a lui. Non possiamo rimanere indifferenti dinanzi a questa constatazione di Gesù: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Tuttavia per lavorare nel campo di Dio l’iniziativa non può venire da noi, ma è necessaria una chiamata da parte sua. Per questo Gesù dice: Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe! Con la preghiera chiediamo a Dio che mandi innanzitutto noi come operai nella sua messe, come fece il profeta Isaia che gli disse: Eccomi, Signore, manda me! E poi preghiamo che mandi tutti gli operai che riterrà necessario.

Gesù così, dopo aver invitato tutti i discepoli alla preghiera, chiama i dodici e li manda in missione. Dal gruppo più ampio dei discepoli ne chiama dodici perché devono ricostituire il popolo di Dio, che era formato da dodici tribù. Al tempo di Gesù, rimanevano del popolo di Dio soltanto due tribù. Con la chiamata dei dodici Gesù intende ricostituire il popolo di Dio, incominciando a radunare le pecore di Dio tra gli israeliti, e in seguito, dopo la risurrezione, tra tutti i popoli della terra. Nella prima lettura abbiamo ascoltato che Dio dopo aver liberato gli israeliti dalla schiavitù d’Egitto, fa con loro un’alleanza, e li costituisce suo popolo. Nel salmo 99 abbiamo una profezia della chiamata futura di tutti i popoli della terra per formare con gli israeliti un solo popolo di Dio.

I dodici apostoli devono annunciare il regno di Dio, cioè Gesù Cristo che viene ad inaugurare nella storia il regno di Dio in modo visibile. La missione dei dodici continua nei vescovi, loro successori, e nei sacerdoti, collaboratori dei vescovi. Apostoli, vescovi e sacerdoti, hanno ricevuto una speciale chiamata da Gesù per radunare le sue pecore. Ma insieme a loro tutti i cristiani, in quanto discepoli di Gesù devono prendersi cura dei fratelli nella fede e degli esterni alla chiesa per aiutarli a conoscere e seguire Gesù, il buon pastore. La volontà di Dio è che tutti gli uomini diventino discepoli del suo Figlio Gesù Cristo e formino un solo gregge sotto un solo pastore. La consapevolezza di questo desiderio di Dio e che tantissimi uomini sono disponibili a credere in Gesù, ci deve spingere ad essere missionari del vangelo come l’apostolo Paolo, che si è fatto tutto a tutti pur di guadagnare qualcuno a Gesù Cristo. Nella nostra missione ci deve animare un solo scopo: la gloria di Dio e la salvezza del prossimo.

L’annuncio del regno di Dio è accompagnato da segni, che riguardano soltanto alcune persone. I discepoli come Gesù guariscono alcuni malati, non tutti i malati, risuscitano dei morti, non tutti i morti. Questi segni confermano che il regno di Dio è in mezzo a noi e preannunciano la condizione definitiva e piena del regno di Dio quando per i salvati non ci sarà più né sofferenza né morte, perché le cose tristi di prima sono passate. Nella seconda lettura l’apostolo Paolo invita tutti noi che abbiamo creduto in Gesù Cristo e facciamo parte del suo gregge, ad attendere con fiducia questa condizione definitiva. Questa fiducia si fonda sull’amore di Dio nei nostri riguardi. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.

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19 febbraio 2022 – VII Domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Lev 19,1-2.17-18 — Salmo responsoriale: Sal 102 – 2Lettura: 1Cor 3,16-23 — Vangelo: Mt 5,38-48.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche laltra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Daa chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.

Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Parola del Signore.

Omelia
Gesù ci insegna una giustizia superiore a quella dell’Antico Testamento perché ci rende figli di Dio. Come figli di Dio siamo chiamati a somigliare a lui, a comportarci come lui si comporta. Dio prevedendo che ci avrebbe resi suoi figli, già nell’Antico Testamento diceva: Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Gesù che ci rende figli di Dio dice: Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Ma in che cosa Dio è perfetto? Dio è perfetto sotto ogni aspetto, ma la perfezione di Dio che noi siamo chiamati ad imitare è quella dell’amore.

Nel vangelo di oggi Gesù prende in considerazione la legge del taglione prescritta nell’Antico Testamento: Occhio per occhio e dente per dente. Questa legge si proponeva da una parte di limitare gli eccessi della vendetta, dall’altra di prevenire le cattive azioni con il timore di subirle come pena. Per quel tempo era una legge all’avanguardia. Se ti è stato fatto cadere un dente da qualcuno, tu nel vendicarti devi limitarti a fargli cadere un dente. Non puoi eccedere. D’altra parte il timore di subire la stessa pena costituiva un freno per la violenza. Gesù ci comanda di superare la vendetta con l’amore: Ma io vi dico di non opporvi al malvagio. Le parole di Gesù non vanno prese alla lettera, e non bisogna porgere l’altra guancia a chi ci percuote, come se ci prendessimo gusto ad essere percossi. Le parole di Gesù vanno prese a senso. Lui ci vuole dire che non dobbiamo in alcun modo rispondere alla violenza con altrettanta violenza. Se rispondiamo alla violenza con violenza, ci lasciamo vincere dal male e dimostriamo di non sapere amare veramente. Al contrario pur di non rendere male per male, dobbiamo essere disposti a subire il male, vincendo il male con l’amore. E’ quello che ha fatto Gesù durante la passione. Non ha reagito alla violenza che gli facevano. E quando lo sfidavano di scendere dalla croce, è rimasto fermo in silenzio. Se fosse sceso, avrebbe dovuto punirli e vendicarsi della loro violenza. Invece ha vinto il male che gli facevano con l’amore.

Gesù poi prende in considerazione il comandamento dell’amore al prossimo che era già enunciato nell’Antico Testamento come abbiamo ascoltato nella prima lettura. Ma il prossimo era ristretto ai connazionali. Verso gli stranieri non si era obbligati a seguire questo comandamento, sopratutto se appartenevano ad alcuni popoli nemici storici di Israele. Gesù invece viene ad estendere l’amore di questo comandamento a tutti gli uomini, anche ai nemici: Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. E’ quello che ha fatto lui mentre era sulla croce, che ha perdonato e pregato per i suoi persecutori e li ha anche scusati: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Gesù dunque ci insegna la giustizia superiore con le parole e con la sua vita. E noi suoi discepoli e figli di Dio siamo chiamati a somigliare a lui, che è l’immagine visibile di Dio. Siamo chiamati ad amare come Dio, che ama in modo perfetto, e perciò ama tutti, ama gratuitamente, ama anche quando amare costa sacrificio come succede se bisogna vincere il male e l’odio con il perdono.

Quelli che ragionano secondo il mondo non comprendono l’amore di Gesù Cristo, lo considerano debolezza e stoltezza. Secondo la mentalità del mondo, vanno avanti i più forti, i più furbi, e per essere felici bisogna pensare a se stessi. L’apostolo nella seconda lettura diceva che la sapienza del mondo è stoltezza agli occhi di Dio. In realtà l’amore di Dio che sembra debolezza è più potente e noi ne possiamo fare l’esperienza, vivendolo nella nostra vita come hanno fatto i santi.

San Fulgenzio di Ruspe nell’omelia su Santo Stefano mette in evidenza i frutti del suo amore. Stefano mentre veniva lapidato, perdonò e pregò per i suoi uccisori, tra i quali figurava come complice anche un certo Paolo. Il perdono di Stefano giovò a lui e a Paolo, a lui aprì le porte del paradiso, a Paolo aprì la via della conversione.

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12 febbraio 2022 – VI Domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Sir 15,16-21 — Salmo responsoriale: Sal 118 – 2Lettura: 1Cor 2,6-10 — Vangelo: Mt 5,17-37.

Dal Vangelo secondo Matteo 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

Se dunque tu presenti la tua offerta allaltare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti allaltare, vaprima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.

Mettiti presto daccordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché lavversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino allultimo spicciolo!

Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.

Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.

Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia latto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone alladulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».
Parola del Signore

Omelia
Gesù non è venuto ad abolire la Legge e i Profeti ma a dare pieno compimento. La Legge e i Profeti sono i libri dell’Antico Testamento che contengono la prima parte della rivelazione di Dio. Il Dio dell’Antico Testamento non è diverso da quello del Nuovo ma è l’unico Dio che incomincia a rivelarsi nell’Antico Testamento e poi si rivela pienamente in Gesù Cristo. Ecco perché Gesù dice che viene a dare pieno compimento. Il compimento di cui parla Gesù riguarda diverse cose, ma nel vangelo di oggi Gesù prende in considerazione soltanto la morale. Gesù ci insegna una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei, che ci permetterà di entrare nel regno di Dio. Credendo e seguendo Gesù, siamo già nel regno di Dio, ma non ancora in modo perfetto e definitivo. Praticando la giustizia che Gesù viene ad insegnarci potremo entrare definitivamente nel regno di Dio.

Nel vangelo vediamo che Gesù prende in considerazione alcuni comandamenti del decalogo e li radicalizza, e altri precetti e li abolisce. Quindi ci fa comprendere che nella morale dell’Antico Testamento ci sono delle cose che valgono per sempre e altre che avevano un valore provvisorio e quindi vanno superate.

Riguardo ai comandamenti del decalogo, Gesù ci fa comprendere che non si limitano a proibire le azioni cattive ma anche le radici che sviluppandosi produrrebbero quelle azioni. Il comandamento non ucciderai, secondo Gesù non proibisce solo l’omicidio, ma anche l’ira, l’ingiuria e l’inimicizia, in quanto sono le radici, che sviluppandosi portano all’omicidio. Le radici del peccato sono già peccato. Il comandamento non commetterai adulterio, secondo Gesù non proibisce solo l’adulterio ma anche gli sguardi e i pensieri impudichi, in quanto radici che sviluppandosi portano all’adulterio. In un’altra occasione Gesù spiegherà ai suoi discepoli che il male e il bene partono dal cuore dell’uomo. Quindi se nel cuore dell’uomo crescono pensieri e propositi buoni, i frutti saranno azioni buone. Se al contrario crescono pensieri e propositi cattivi, i frutti saranno azioni cattive. Gesù prende in esame solo due comandamenti e radicalizzandoli ci insegna a fare lo stesso con tutti gli altri comandamenti. Non vanno osservati superficialmente, come facevano gli scribi e i farisei, e come fanno alcuni tra di noi che pensano di essere a posto perché non uccidono, non rubano e non diffondono calunnie. Vanno invece osservati radicalmente evitando pensieri, propositi e atteggiamenti che porterebbero ai peccati gravi.

Gesù abolisce invece il permesso del ripudio e la norma del giuramento. Il permesso di ripudio con cui l’uomo divorziava dalla propria moglie e il giuramento con cui uno prendeva un impegno chiamando in causa Dio. Gesù abolisce il ripudio perché espone l’uomo e la donna all’adulterio. Ritornerà su questo argomento in un’altra occasione insegnando esplicitamente l’indissolubilità matrimoniale. Riguardo al giuramento Gesù spiega che negli impegni e nelle risposte non bisogna chiamare in causa Dio, come se avessimo potere su di lui, ma basta essere sinceri, dicendo sì quando è sì e no quando è no, il di più viene dal maligno.

La giustizia superiore che Gesù viene ad insegnarci è veramente impegnativa ed esigente. Con le nostre forze non potremmo mai metterla in pratica. Tuttavia non è una cosa impossibile, perché altrimenti Gesù non ce l’avrebbe insegnata. Nell’adempimento dei comandamenti di Dio c’è una parte che tocca a noi e una parte preponderante che tocca a Dio.

Riguardo alla parte che tocca a noi la prima cosa da fare è convincerci che i comandamenti di Dio sono vantaggiosi per noi. Dobbiamo avere fiducia in Dio per capire che quello che ci comanda è per il nostro bene: Se vuoi osservare i suoi comandamenti, /essi ti custodiranno. Quando osserviamo un comandamento sembra che stiamo donando a Dio qualcosa, ma in realtà siamo noi che stiamo ricevendo da lui.

La seconda cosa da fare è chiedere a Dio il suo aiuto come fa l’uomo che parla nel salmo. L’orante del salmo sta chiedendo a Dio di renderlo terreno buono in cui il seme della sua parola attecchisce, cresce e porta frutto. Quando dice a Dio: Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge/e la osservi con tutto il cuore, gli sta chiedendo di non essere come la strada dove il seme della parola di Dio viene subito rubato dal demonio. Quando dice a Dio:  Siano stabili le mie vie/nel custodire i tuoi decreti, gli sta chiedendo di non essere come il terreno sassoso, dove il seme della parola attecchisce ma non cresce a causa dell’incostanza. Quando dice a Dio: Aprimi gli occhi perché io consideri/le meraviglie della tua legge, gli sta chiedendo di vedere i vantaggi della sua legge per non essere come il terreno con le spine dove il seme viene soffocato dalle preoccupazioni e dalle passioni mondane. Quando gli dice: Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti/e la custodirò sino alla fine, chiede a Dio di essere il terreno buono dove la sua parola attecchisce, cresce e porta frutto.

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5 febbraio 2022 – V Domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 58,7-10 — Salmo responsoriale: Sal 111 – 2Lettura: 1Cor 2,1-5 — Vangelo: Mt 5,13-16.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Parola del Signore.

Omelia
Nel vangelo Gesù sta parlando ai discepoli e quindi parla a tutti noi che siamo suoi discepoli e dice: Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo. Il sale e la luce sono due elementi indispensabili alla vita biologica. Senza sale e senza luce non si può vivere. Quelli che dicono che non mangiano sale, vogliono dire che non lo aggiungono ai cibi, ma in se stessi tutti i cibi contengono una certa quantità di sale. E quindi assumendo i cibi, assumiamo anche il sale. Senza sale non potremmo vivere, così come non potremmo vivere senza la luce.

Gesù, dicendo che siamo il sale della terra e la luce del mondo, sta dicendo che noi suoi discepoli siamo indispensabili agli uomini. Per quale motivo? Perché noi suoi discepoli continuiamo la sua missione. A partire dall’Ascensione al cielo, Gesù non è più visibile ma sappiamo bene che è in mezzo a noi, come ci ha assicurato: Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. Gesù dunque parla ed opera attraverso noi suoi discepoli, che siamo uniti a lui come i tralci alla vite e come le membra al corpo. Prima di tutti è Gesù il sale della terra e la luce del mondo, e poi lo siamo anche noi suoi discepoli. Gesù è indispensabile a tutti gli uomini, perché come abbiamo detto domenica scorsa, egli viene a salvarci. Gesù Cristo è l’unico salvatore del mondo e non ce ne sono altri. Ci salva con il dono della verità, facendoci conoscere il mistero di Dio e della nostra vita, con il dono della libertà, liberandoci dalla schiavitù del demonio, del peccato e della morte, con il dono della vita divina, rendendoci partecipi della vita divina. Gesù Cristo dunque è necessario affinché ogni uomo sia salvato, e perciò è il sale e la luce del mondo.

Come suoi discepoli siamo chiamati a portare la salvezza di Gesù al mondo intero. Lo dobbiamo fare con le parole e con le opere. Nella seconda lettura l’apostolo ci insegna quello che dobbiamo annunciare, e cioè il mistero di Dio che si è rivelato in Gesù Cristo crocifisso. Gesù ci ha fatto conoscere che Dio è amore, in tutto quello che ha fatto, ma soprattutto nelle morte di croce. In Gesù Cristo crocifisso vediamo l’amore di Dio che è totale e universale. E comprendiamo anche che se vogliamo realizzarci, dobbiamo amare allo stesso modo. Siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio e quindi possiamo realizzarci amando come lui, con un amore che si fa dono di vita a tutti. Nella prima lettura il profeta Isaia ci insegna quali sono le opere con cui più manifestiamo quest’amore di Dio e rendiamo testimonianza a Gesù: sono le opere di misericordia. Il profeta ne elencava alcune. La tradizione cristiana le ha suddivise in due gruppi, le 7 opere di misericordia corporale e le 7 di misericordia spirituale. Lo scopo della testimonianza cristiana è la conversione degli uomini: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. Gesù ci manda per essere pescatori di uomini, per portare gli uomini a lui.

Nel vangelo Gesù ci mette in guardia dal pericolo di fallire nella testimonianza. Il sale che perde il sapore e la luce che viene nascosta indicano il fallimento della vita cristiana, perché non annunciamo Gesù Cristo e non viviamo come lui ci ha insegnato. Come può succedere tutto questo?

Succede se ci distacchiamo da lui. Come i tralci se vengono recisi dalla vite non portano più frutto, così succede a noi se ci distacchiamo da lui, e non viviamo più da discepoli. Gesù pertanto in un’altra occasione ci esorta: Rimanete in me. E ancora: Se rimanere in me e le mie parole rimangono in voi. Noi rimaniamo uniti a Gesù quanto la sua parola ci interpella. Ricordiamoci dell’episodio di San Antonio Abate che si sentì interpellato dalla parola di Gesù. Quello fu solo l’inizio, perché da quel giorno in poi si sentì interpellato da ogni parola di Gesù ed è vissuto quindi come discepolo. Gesù dice ancora: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui. Solo se rimaniamo in comunione personale e vitale con Gesù, viviamo da discepoli e la nostra vita riflette la sua luce. Chiediamo al Signore Gesù che ci ha dato questa grande responsabilità di essere sale della terra e luce del mondo, di vivere sempre in comunione con lui, per portare molto frutto.

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29 gennaio 2023 – IV domenica del tempo ordinario

Liturgia della Parola: 1Lettura: Sof 2,3; 3,12-13 — Salmo responsoriale: Sal 145 – 2Lettura: 1Cor 1,26-31 — Vangelo: Mt 5,1-12a.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Parola del Signore.

Omelia
Con le beatitudini Gesù vuole insegnarci la via della felicità. Ogni uomo desidera essere felice. Se domandiamo ad un eschimese che abita nella Groenlandia, o a un abitante della Papua Nuova Guinea, o a un italiano, se vuole essere felice, tutti risponderanno concordi che desiderano la felicità. Sicuramente saranno in disaccordo su cosa bisogna fare per essere felici, in che cosa consista la felicità, ma tutti si trovano d’accordo nel desiderio di essere felici. Con le beatitudini Gesù ci insegna la via da imboccare per raggiungere la felicità: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. La via che Gesù ci indica è la povertà di spirito. Tutti gli altri atteggiamenti elencati nelle beatitudini sono aspetti della povertà di spirito. Ma chi sono i poveri di spirito? Nella prima lettura il profeta si rivolgeva ai poveri di spirito: Cercate il Signore/voi tutti, poveri della terra. I protagonisti che parlano nei salmi sono spesso poveri di spirito. In un salmo sentiamo l’orante che dice: Questo povero grida e il Signore lo ascolta. In un altro sentiamo: Buono e retto è il Signore, insegna ai poveri le sue vie. In un altro ancora: Ero povero ed egli mi ha salvato. I poveri in spirito sono spesso anche poveri effettivamente, perché mancano di mezzi umani, e non contano nulla nella società. Ma i poveri in spirito sono tali soprattutto perché si rapportano con Dio come poveri, in quanto si sentono bisognosi di lui in tutto. E perciò confidano non in se stessi o nei mezzi umani, ma soltanto in Dio. Secondo la mentalità del mondo che ci circonda, la via della felicità non è quella della povertà di spirito, ma la ricerca del piacere ad ogni costo, la ricchezza, il possesso delle cose, il potere, il successo. Molti di quelli che si convertono, dopo aver vissuto secondo la mentalità del mondo, confessano che nei piaceri, nelle ricchezze, nel successo, trovavano solo una felicità momentanea, che svaniva subito come il fumo disperso nell’aria. Gesù invece ci propone la via che conduce alla vera felicità: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Ma perché i poveri in spirito sono sulla strada che li condurrà alla felicità? Gesù diceva: Perché di essi è il regno dei cieli.

Domenica scorsa abbiamo ascoltato Gesù che diceva: Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. Abbiamo spiegato che il regno dei cieli o meglio di Dio ci raggiunge attraverso Gesù Cristo. E’ in Gesù che Dio si rivela e ci fa entrare nel suo regno, sotto la sua guida. Quindi l’affermazione di Gesù: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli, potremmo intenderla meglio così: Beati i poveri in spirito perché Dio rivela loro il Figlio suo Gesù che dona la salvezza. In un’altra occasione Gesù benedirà il Padre: Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti, e le hai rivelate ai piccoli, ai poveri in spirito. Dio rimane nascosto agli uomini che confidano in stessi e si rivela ai poveri in spirito che lo cercano e confidano in lui. Si rivela mediante Gesù Cristo che dona la salvezza. Quando parliamo di salvezza intendiamo almeno tre cose fondamentali: il dono della verità, il dono della libertà, il dono della vita. Gesù salva perché dona la verità, cioè svela il mistero di Dio e della vita umana, dona la libertà, in quanto libera dalla schiavitù del demonio e del peccato, e dona la vita vera, comunicando la vita divina. Quindi Gesù dona la possibilità di essere felici, e questa possibilità è donata solo ai poveri in spirito. Intendiamoci bene, su questa terra la felicità non è mai perfetta, ma è come l’oro che quando viene estratto è mescolato con tante scorie. Così è la felicità che dona Gesù Cristo, è mescolata con prove e tribolazioni. Sarà perfetta solo in paradiso. Nelle beatitudini Gesù parlava di un dono al presente e prometteva la pienezza al futuro. Diceva: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli, quindi al presente, e poi ripeteva: Saranno consolati, erediteranno la terra, saranno saziati, troveranno misericordia, vedranno Dio. Allorabeati noi se sapremo apprezzare la grazia che Dio ci ha fatto di farci incontrare Gesù Cristo!

Se riflettiamo attentamente sulle beatitudini, e le guardiamo contro luce come facciamo a volte con le banconote, scorgiamo in filigrana il volto di Gesù. Il Figlio di Dio, facendosi uomo come noi, ha assunto l’atteggiamento di un povero di spirito. Per questo dirà: Imparate da me che sono mite e umile di cuore, cioè povero di spirito. Gesù dunque ci insegna le beatitudini con le parole e con la vita, e ci dice che possiamo raggiungere la felicità, seguendo e imitando lui. Tutti gli atteggiamenti delle beatitudini li vediamo in Gesù, che ha fame e sete di giustizia, cioè della volontà di Dio, che è misericordioso come il Padre, che è puro di cuore, nel senso che nel suo cuore coltiva pensieri e propositi buoni, che è operatore di pace, è venuto a portare infatti la pace vera, e per tutto questo, siccome il mondo è segnato dal peccato, è stato perseguitato.

Gesù non si limita a dirci quello che dobbiamo fare, non si limita a dirci che dobbiamo imitarlo, ci dona anche la forza per poterlo imitare mediante la grazia dello Spirito Santo che riceviamo nei sacramenti. I due sacramenti che ci accompagnano nel corso della vita sono la confessione e l’eucaristia. Dunque con le beatitudini Gesù ci insegna la via che lui ha percorso e ci invita a seguirlo, perché possiamo condividere la sua felicità. Egli dirà in un’altra occasione: Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

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22 gennaio 2023 – III domenica del tempo ordinario

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 8,23b-9,3 — Salmo responsoriale: Sal 26 – 2Lettura: 1Cor 1,1-3 — Vangelo: Mt 4,12-23.

Dal Vangelo secondo Matteo

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:

«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».

Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.

Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.
Parola del Signore.

Omelia
Gesù incomincia la missione pubblica subito dopo l’arresto di Giovanni il Battista. Incomincia la missione, stabilendosi a Cafarnao, sul mare di Galilea, nel territorio di Zabulon e di Neftali. Questa regione veniva chiamata anche Galilea delle genti, perché era una zona di confine, abitata non solo da israeliti ma anche da stranieri. Gesù decide di iniziare la missione a Cafarnao per adempiere la parola di Dio pronunciata dal profeta Isaia. Ma anche per un altro motivo. Anche se Gesù durante la missione terrena si rivolgerà prevalentemente agli israeliti, è venuto per tutti gli uomini. Dopo la risurrezione infatti manderà i discepoli a tutti i popoli della terra. Scegliendo di operare in questo territorio abitato da israeliti e da stranieri, Gesù fa intravvedere la futura missione dei discepoli a tutti i popoli della terra.

Il profeta diceva: Il popolo che abitava nelle tenebre/vide una grande luce,/per quelli che abitavano in regione e ombra di morte/una luce è sorta. Quelli che abitano nelle tenebre sono i prigionieri perché i luoghi di custodia nell’antichità erano normalmente sotterranei e con poca luce. La luce dunque raffigura la liberazione. La luce è Gesù che è venuto a portare il regno di Dio: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. Il regno di Dio ci raggiunge attraverso Gesù Cristo che è la rivelazione di Dio. Accogliendo Gesù entriamo nel regno di Dio. Senza Gesù Cristo e quindi senza il regno di Dio, regna il demonio con il peccato e la morte. Gesù viene a liberarci da questa schiavitù, che ci conduce alla morte.

Da parte nostra dobbiamo volgerci a Gesù, porre attenzione a quello che dice e a quello che fa, metterci sotto la sua guida. Anzi è Gesù stesso che prende l’iniziativa di chiamare gli uomini a seguirlo: Venite dietro a me. Quello che ci colpisce è la prontezza dei primi chiamati: Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono…Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Non era la prima volta che vedevano Gesù. Da un altro passo sappiamo che due di loro, Andrea e Simone, già lo conoscevano. Andrea era stato discepolo di Giovanni il Battista, e quando questi, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: Ecco l’Agnello di Dio, Andrea insieme ad un altro, di cui non ci viene detto il nome, si erano rivolti a Gesù per conoscerlo, lo avevano seguito fino a casa sua e si erano fermati da lui. Andrea poi andò dal fratello Simone e lo condusse da Gesù. Sicuramente anche Giacomo e Giovanni conoscevano Gesù. Quel giorno Gesù li chiamò ad essere suoi discepoli, li sollecitò a prendere una decisione per lui. Ed essi subito, senza perdere tempo, lasciarono tutto e lo seguirono.

In seguito Simon Pietro ricorderà a Gesù: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa ne avremo? E Gesù risponde approvando il comportamento dei discepoli: Riceverete cento volte tanto e in eredità la vita eterna. Il comportamento dei primi chiamati è dunque per noi un esempio da imitare. Quando Gesù chiama, bisogna rispondere subito e mettere da parte tutto il resto. Da questo passo del vangelo comprendiamo che per essere discepoli di Gesù c’è bisogno di una chiamata da parte sua. Non possiamo essere discepoli per nostra scelta ma solo rispondendo alla sua chiamata. Gesù dirà in seguito: Non voi avere scelto me, ma io ho scelto voi.

Domenica scorsa abbiamo parlato della testimonianza di Giovanni il Battista e abbiamo detto che anche nella nostra vita ci sono state persone che come Giovanni il Battista ci hanno parlato di Gesù, ce lo hanno fatto conoscere, ci hanno condotti a lui. Ma per diventare suoi discepoli è necessaria una chiamata da parte sua. Per spiegare come si può sperimentare questa chiamata di Gesù, cito un episodio della vita di San Antonio Abate scritta da San Atanasio. Antonio all’età di 18 anni rimase orfano dei genitori, insieme ad una sorellina più piccola. I genitori gli avevano lasciato un enorme patrimonio. Un giorno recandosi la domenica a messa, pensava dentro di se ai primi cristiani, di cui si dice nel libro degli Atti degli Apostoli che vendevano i loro beni e li davano ai poveri. Diceva dentro di se, che per fare questo si attendevano sicuramente una grande ricompensa nei cieli. Non avevano agito così perché erano scemi, ma perché avevano valutato che era vantaggioso per loro. Entra in chiesa e partecipa alla messa. Quel giorno venne letto il brano del vangelo in cui Gesù dice al giovane ricco: Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi. Antonio si sentì interpellato da queste parole. Le sentì rivolte a se stesso. Ritornato a casa, incominciò a metterle in pratica, alla lettera. Vende tutti i beni e ne distribuisce il denaro ai poveri. Se prima viveva di rendite, ora si guadagna da vivere lavorando, perché così sta scritto nella Bibbia. Trascorre il giorno lavorando, pregando e leggendo la Bibbia.

Per diventare discepoli di Gesù, non basta essere battezzati e aver ricevuto tutti i sacramenti, è necessario sentirsi interpellati dalla sua parola e metterla in pratica, non soltanto la prima volta che abbiamo fatto l’esperienza di sentirci chiamati, ma tutte le volte che l’ascoltiamo. Questo può succedere normalmente quando partecipiamo alla messa, oppure se leggiamo la Bibbia a casa. Ma possiamo ascoltarla anche in un consiglio che ci viene dato, o in un rimprovero che ci viene fatto. Possiamo ascoltarla anche perché ci ritorna in mente mentre siamo una data situazione. Quelli che sono discepoli autentici di Gesù si lasciano guidare in tutto dalla sua parola.

Gesù faceva una promessa: Vi farò pescatori di uomini. Con San Antonio Abate, il Signore ha mantenuto la promessa. Antonio diventa padre di una moltitudine di monaci. Antonio è l’iniziatore della vita monastica. Se siamo suoi discepoli, il Signore farà anche di noi pescatori di uomini. Antonio è un pezzo da novanta ed è diventato padre di una moltitudine di monaci. Noi su scala molto ridotta possiamo fare la nostra parte.

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15 gennaio 2023 – II Domenica del tempo ordinario A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 49,3.5-6 — Salmo responsoriale: Sal 39 – 2Lettura: 1Cor 3,1-3 — Vangelo: Gv 1,29-34.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Parola del Signore.

Omelia
Giovanni il Battista ha avuto la missione di preparare gli uomini ad accogliere il Cristo, il Figlio di Dio. Per questo predicava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Durante il tempo d’Avvento abbiamo incontrato il Battista che esortava gli uomini del suo tempo a convertirsi, cioè a fare penitenza, e parlava della venuta imminente del Cristo. Quando il Figlio di Dio si presenta a lui mescolato nella folla per ricevere il battesimo, Giovanni gli rende testimonianza, come abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!… questi è il Figlio di Dio. Giovanni fa conoscere al popolo chi è il Figlio di Dio e come svolgerà la sua missione nel mondo. Dicendo di lui: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo, ci fa andare subito col pensiero alla passione e alla morte di croce. Come diceva il salmo, che è una profezia, Gesù non offrirà a Dio Padre sacrifici di animali, ma il sacrificio della propria vita che obbedisce a lui fino alla morte e alla morte di croce.

Quando Giovanni il Battista esortava la gente alla conversione, colpiva quelli che lo sentivano e lo vedevano, in quanto viveva in prima persona la conversione. Gli evangelisti ci dicono che conduceva una vita ridotta all’essenziale. Perciò era credibile quando invitava gli uomini a convertirsi a Dio, e quindi a metterlo al primo posto. Quando Giovanni rende testimonianza a Gesù, è credibile perché sarà ucciso per la sua fedeltà a Dio. Giovanni infatti rimprovera il re Erode, perché stava con la moglie del fratello. Lo rimproverava per spingerlo alla conversione, e quindi compiva un’opera di misericordia nei suoi riguardi. Tra le opere di misericordia spirituale c’è quella di ammonire i peccatori. Diverse volte capita di sentire alla televisione, che qualcuno con la macchina ha investito un pedone e non si è fermato a prestargli soccorso. Ricordo che trenta o quaranta anni fa, l’omissione di soccorso da parte di chi investiva un pedone era cosa rarissima. Oggi invece è l’atteggiamento più diffuso. Un segno dei tempi che sono cambiati. Questa omissione di soccorso si riscontra anche verso quelli che trasgrediscono la legge di Dio. Invece di fare qualcosa per loro, per aiutarli a prendere coscienza del peccato, ci giriamo dall’altra parte. Questo atteggiamento può dipendere dall’egoismo, per cui lasciamo perdere, temendo che quello che andremmo ad ammonire possa non gradirlo, oppure dalla mancata percezione della gravità del peccato. Giovanni il Battista invece, che era un uomo di Dio, ammonisce Erode per spingerlo alla conversione. Ma la compagna di Erode non accetta tutto questo e alla fine ne chiede l’uccisione. Invece di ringraziarlo, lo fanno uccidere.

La testimonianza di Giovanni il Battista è fondamentale, perché, proprio sentendo la sua testimonianza alcuni dei suoi discepoli si metteranno a seguire Gesù. Vorranno conoscerlo direttamente dopo averne sentito parlare. Sappiamo invece, da alcune informazioni dei vangeli, che altri discepoli di Giovanni resteranno attaccati a lui. In questo modo dimostrano di aver travisato la sua missione che era quella di condurre gli uomini a Gesù. Attorno a Gesù si formerà un gruppo di discepoli, che ammonta ad un centinaio, e tra questi Gesù sceglie i Dodici, che saranno i testimoni qualificati di tutta la sua missione pubblica, culminata nella morte e risurrezione.

Noi abbiamo conosciuto Gesù grazie alla testimonianza di Giovanni il Battista e quella dei Dodici, custodita nella chiesa di Gesù Cristo. Certo, non ci ha raggiunto direttamente la loro testimonianza ma quella di coloro che ci hanno parlato per primi di Gesù Cristo. I primi testimoni che ci hanno parlato di Gesù sono stati sicuramente i genitori, poi i nonni, le catechiste, il parroco, poi l’intera comunità parrocchiale in cui siamo vissuti. La testimonianza di tutti costoro trova l’ultimo fondamento nella testimonianza di Giovanni il Battista e degli apostoli. Dobbiamo essere grati a quelli che ci hanno fatto conoscere Gesù. Ma come hanno compreso bene alcuni discepoli di Giovanni, non dobbiamo fermarci a loro, dobbiamo invece prendere l’iniziativa di conoscere Gesù. Lo possiamo conoscere nella sua chiesa. Gesù vive nella chiesa. Lo possiamo conoscere, leggendo i vangeli, accostandoci ai sacramenti, in cui riceviamo la sua grazia. E poi attraverso i primi testimoni, che abbiamo citato, Giovanni il Battista e i Dodici apostoli. A costoro si aggiunge una moltitudine di persone, uomini e donne, che hanno seguito Gesù e sono stati trasformati dal suo amore. Sono i martiri e i santi di ogni tempo. Dobbiamo guardare a loro per conoscere Gesù. I santi sono un riflesso della luce di Gesù Cristo.

Il Signore ci chiama poi ad essere a nostra volta testimoni. Nella prima lettura Dio diceva: Io ti renderò luce delle nazioni,/perché porti la mia salvezza/fino all’estremità della terra. Queste parole sono dette a Gesù, che le ha riconosciute per se quando ha detto: Io sono la luce del mondo, chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. Ma Gesù ha svolto la missione in un angolo sperduto della terra, in Palestina. Poi è morto ed è risorto ed è asceso al cielo, affidando ai discepoli il compito di continuare la sua missione. Gesù aveva detto loro: Voi siete la luce del mondo. Quindi noi cristiani siamo chiamati a rendere testimonianza a Gesù, perché tutti gli uomini possano conoscerlo. Paolo e Barnaba quando annunciano il vangelo ai pagani di Antiochia di Pisidia, nell’odierna Asia Minore, si richiamano alle parole della prima lettura: Io ti renderò luce delle nazioni. Erano consapevoli che con la loro testimonianza contribuivano alla realizzazione di questa promessa.

Perché la nostra testimonianza sia credibile, come abbiamo visto con Giovanni il Battista, deve essere supportata dalla vita. Nella seconda lettura Paolo definisce i cristiani che formano la chiesa: coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata. Mediante il battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, quindi siamo diventati partecipi della vita divina. Siamo chiamati alla santità, ad essere santi come Dio, a somigliare a Gesù, che è la rivelazione di Dio, ad amare come lui. La santità è tutto questo, amare in modo perfetto come Gesù. L’apostolo definiva ancora i cristiani quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo. Gesù ha detto: Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome , ve la darà. Chiediamogli che ci renda simili al Figlio suo Gesù, perché siamo credibili quando gli rendiamo testimonianza.