Meditazioni Avvento 2022

18 dicembre 2022 – IV Domenica del tempo di avvento A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 7,10-14 — Salmo responsoriale: Sal 23 – 2Lettura: Rm 1,1-7 — Vangelo: Mt 1,18-24.

Dal Vangelo secondo Matteo

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Parola del Signore.

Omelia
Il Signore quando opera nella storia umana si serve sempre della nostra collaborazione. Lo vediamo nella storia raccontata nell’Antico Testamento e lo vediamo anche per l’incarnazione del Figlio suo Gesù Cristo. Il Signore ha chiamato a collaborare per la venuta del Figlio una coppia di giovani sposi, Giuseppe e Maria. Il Signore chiama evidentemente quelli che sa disponibili a lui. Luca racconta la vocazione di Maria e Matteo quella di Giuseppe. Da Luca sappiamo con quanta disponibilità ha risposto la Madonna alla chiamata di Dio: Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola. Da Matteo conosciamo la disponibilità di Giuseppe. Giuseppe e Maria sono già marito e moglie. Secondo la prassi matrimoniale ebraica del tempo prima veniva stipulato il contratto matrimoniale, poi dopo alcuni mesi veniva celebrato il matrimonio e i due andavano a vivere insieme. Durante questo intervallo di tempo, la Madonna riceve l’annuncio dell’Angelo e concepisce il Figlio di Dio Gesù Cristo. Quando Giuseppe viene a conoscenza di questo, non dubita dell’onestà della moglie, ma ha timore di prenderla con sé, perché comprende che ormai appartiene a Dio. Sia lei sia il bambino appartengono a Dio. D’altra parte non se la sente di ripudiarla pubblicamente, perché l’avrebbe esposta alla condanna a morte per lapidazione, come adultera, ed egli sapeva bene che era innocente. Giuseppe allora prende la decisione di ripudiarla in segreto e senza accusarla. Così nessuno avrebbe potuto farle del male. La sua decisione era saggia ed equilibrata ma non era la volontà di Dio. Questo episodio biblico è molto significativo per comprendere la necessità del discernimento quando bisogna prendere decisioni importanti nella vita. Quando c’è da scegliere tra il bene e il male non c’è bisogno di discernimento, sappiamo che bisogna evitare il male e fare il bene. Quando ci sono dei comandamenti espliciti di Dio non ci possono essere dubbi sulle decisioni da prendere. Dinanzi al comandamento: Non commettere adulterio, non c’è bisogno di discernimento, perché è chiaro che cosa si deve fare: non bisogna commettere adulterio. Il discernimento è necessario quando c’è da scegliere tra due o più beni. In questo caso bisogna scegliere secondo la volontà di Dio, per non perdere tempo. Infatti il demonio o ci spinge al male, oppure ci fa perdere tempo.

Vi porto un esempio. Un giovane sacerdote svolge il suo ministero in una parrocchia. Ad un certo punto incontra dei missionari che gli parlano della loro esperienza, ed egli si entusiasma al punto che nasce in lui il desiderio di partire missionario. Senza troppe consultazioni, ottenuto il permesso del vescovo parte in Laos per vivere da missionario. Giunto lì vi rimane alcuni anni, poi scopre di aver sbagliato indirizzo, perché non aveva fatto discernimento. Non ha chiesto a Dio di dargli conferma di quel desiderio, se veniva da lui o meno. Ha dato per scontato che era una cosa buona, certo, ma non era la volontà di Dio. E’ andato dove lo portava il cuore, e a volte, come mostra l’episodio di Davide che desiderava costruire il tempio del Signore, il cuore non esprime la volontà di Dio. Il demonio facendogli apparire come volontà di Dio quella che era la sua volontà lo ha ingannato e gli ha fatto perdere tempo. La sua vocazione era al sacerdozio diocesano. Era anche una cosa buona fare il missionario, ma non era il posto che Dio gli aveva assegnato.

Nel caso di Giuseppe, egli aveva due possibilità: o prendere con sé la sposa, e non faceva male, perché era la sua sposa, oppure licenziarla in segreto, come aveva deciso di fare. Entrambe le scelte erano buone, ma solo una era la volontà di Dio e quindi il meglio. Infatti solo quando facciamo la volontà di Dio, scegliamo il meglio per noi, perché collaboriamo con lui alla realizzazione del suo progetto di salvezza su di noi e sul mondo. Per operare il discernimento Dio non ci fa mancare il suo aiuto. Vediamo che manda il suo angelo ad illuminare Giuseppe. L’angelo del Signore gli appare in sogno, nel silenzio della notte, e gli fa conoscere la volontà di Dio: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Giuseppe deve prendere con sé Maria, sua sposa, e deve accogliere il bambino come suo figlio, ponendogli il nome Gesù. Il nome Gesù, che significa Jahwèh salva, esprime la missione di questo bambino che è venuto a salvare tutti noi dai peccati. Giuseppe e Maria sono entrambi discendenti di Davide e quindi attraverso di loro si realizzerà la promessa di Dio fatta a Davide sul futuro Messia. Gesù è biologicamente discendente di Davide per parte di Maria, e legalmente per parte di Giuseppe. E siccome Maria ha concepito per opera dello Spirito Santo, il bambino è anche Figlio di Dio. La perpetua Verginità della Madonna è la garanzia della divinità di Gesù Cristo. Quando si sveglia dal sonno, Giuseppe esegue la parola di Dio senza dire una parola: Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore. Il silenzio della notte in cui avviene la comunicazione di Dio e il silenzio di Giuseppe ci fanno comprendere l’importanza del silenzio per entrare in sintonia con Dio. Nel silenzio parla lo Spirito Santo. Maria e Giuseppe, come vediamo, si fidano più di Dio che di se stessi. Giuseppe è pronto a cambiare la sua decisione per fare quello che Dio gli ha comandato. Questa è la fede, fidarsi di Dio più che di se stessi, cercare la volontà di Dio, e una volta conosciuta, eseguirla prontamente, perché questa è la nostra salvezza. L’angelo del Signore che ci aiuta a discernere la volontà di Dio è il padre spirituale. Questa figura che ha accompagnato per generazioni e generazioni i cristiani oggi sembra scomparsa, sostituita dallo psicologo. Bisogna recuperarla, perché solo così potremo procedere sicuri nel cammino della vita cristiana. Bisogna chiedere a Dio il dono del padre spirituale, o anche di una madre spirituale. Il padre spirituale può essere anche una suora, può essere anche un laico, purché si tratti di persone di provata fede.

Il Signore diventa per noi luce, amico, sostegno, difesa quando come Maria e Giuseppe ci fidiamo più di lui che di noi stessi.

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11 dicembre 2022 – III Domenica del tempo di avvento A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 35,1-6a.8a.10 — Salmo responsoriale: Sal 145 – 2Lettura: Gc 5,7-10 — Vangelo: Mt 11,2-11.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.

In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Parola del Signore.

Omelia
Per comprendere il messaggio del vangelo di oggi, dobbiamo soffermarci sulle affermazioni fatte da Gesù nel vangelo. La prima dice: E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo! La parola scandalo qui non ha il significato che gli attribuiamo normalmente, ma significa ostacolo, difficoltà. Gesù proclama beato chi non ha difficoltà a credere in lui. Quando Gesù andò a Nazareth dove era cresciuto e si mise a predicare nella sinagoga, i suoi compaesani trovarono in lui motivo di scandalo. Infatti si dicevano l’un l’altro: Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? (Mt 13,55-56). E non credettero in lui. Anche i discepoli di Giovanni il Battista trovarono in lui motivo di scandalo. Gli evangelisti riportano un episodio in cui costoro vanno da Gesù e gli fanno un appunto: Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano? (Mt 9,14b). I discepoli di Giovanni sembrano sulla stessa linea degli scribi e dei farisei, che rimproverano a Gesù di non rispettare le tradizioni religiose di Israele. Tutti costoro trovano in Gesù motivo di scandalo, perché trascurano il suo insegnamento e le sue opere. Infatti Gesù dirà ai Giudei: Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre. (Gv 10,37-38).

Giovanni il Battista sa bene chi è Gesù, perché nel momento del battesimo ha visto posarsi su di lui lo Spirito santo, e lo ha indicato come l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Giovanni, che è in carcere, e ha sentito le perplessità dei suoi discepoli, da buon maestro li manda da Gesù a domandargli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? Giovanni sapeva che parlando con Gesù sarebbero stati liberati dai dubbi. Gesù non dice sono io il Messia, ma descrive le sue opere citando il profeta Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Il profeta parlava dei prodigi che sarebbero accaduti con la venuta del Signore.

E conclude con l’affermazione che stiamo spiegando: E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo! Beati noi se non abbiamo difficoltà a credere in Gesù, perché credendo in lui siamo salvati, ricevendo la vita eterna.

Spiegando l’altra affermazione di Gesù, comprendiamo meglio anche qual è l’atteggiamento ideale perché sbocci e si sviluppi la fede in lui. Gesù fa l’elogio di Giovanni il Battista dicendo: Fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista. La grandezza di cui parla Gesù si misura nel rapporto con Dio. Giovanni il Battista è grande perché è stato riempito di Spirito Santo sin dal grembo materno, perché ha avuto la missione di preparare la via al Figlio di Dio e di indicarlo presente nel mondo, perché ha reso testimonianza a Gesù Cristo con la parola e con la vita. Tuttavia Giovanni rimane ancora legato all’Antico Testamento, e mentre era su questa terra non ha avuto la possibilità di entrare nel regno di Dio. Per questo Gesù aggiunge: Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Chi crede in Gesù entra nel regno di Dio e vive in una condizione di familiarità e di confidenza con Dio che Giovanni il Battista, mentre era su questa terra non ha potuto avere. Ora che è passando da questo mondo a Dio, è entrato nel suo regno, ma mentre era sua questa terra non ha potuto sperimentare la comunione con Dio riservata a quelli che credono in Gesù. Gesù parla del più piccolo, perché il regno dei cieli è riservato non ai sapienti e ai dotti ma ai piccoli, ai poveri di spirito. Quindi la beatitudine di Gesù: E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!, è complementare all’altra: Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli. Dunque beati noi se avremo un cuore umile e crederemo in lui, perché entreremo in comunione con Dio, sperimentando il suo amore. La gioia di cui parla Gesù scaturisce dall’amore di  Dio riversato nei nostri cuori, e che noi dobbiamo riversare sul prossimo, amandolo come lui ci ha insegnato. La gioia è proporzionale all’amore di Dio che accogliamo in noi e doniamo al prossimo. Più cresce quest’amore di Dio in noi e più lo riversiamo sul prossimo, e più siamo nella gioia. Questa gioia, al momento presente è come una primizia, e non è allo stato puro, perché non siamo ancora colmi dell’amore di Dio e non sappiamo riversare quest’amore sul prossimo come ha fatto Gesù. Per accrescere la nostra gioia dobbiamo attingere in continuazione alla sorgente dell’amore di Dio che sono i sacramenti e riversare poi quest’amore sul prossimo, moltiplicando le opere buone, non aspettando che siano gli altri a chiederci qualcosa, ma prevenendoli con la nostra premura. La nostra gioia sarà piena e perfetta quando il Signore verrà a prenderci e ci porterà con sé in paradiso.

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4 dicembre 2022 – II Domenica del tempo di avvento A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 11,1-10 — Salmo responsoriale: Sal 71 – 2Lettura: Rm 15,4-9 — Vangelo: Mt 3,1-12

Dal Vangelo secondo Matteo

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Parola del Signore.

Omelia
Domenica scorsa Gesù ci esortava a vegliare, oggi Giovanni il Battista ci esorta alla conversione.

Per ben tre volte Giovanni ci esorta alla conversione. Lo fa all’inizio: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino, lo fa quando ammonisce farisei e sadducei: Fate dunque un frutto degno della conversione, lo fa alla fine quando spiega la differenza tra il suo battesimo e quello di Gesù: Io vi battezzo nell’acqua per la conversione.

La conversione secondo l’Antico Testamento è il ritorno a Dio da cui ci si era allontanati con il peccato, secondo il Nuovo Testamento è anche il cambiamento della mente, svuotandola della mentalità del mondo per riempirla della mentalità di Dio. La conversione come ritorno a Dio è necessaria quando come il figlio minore della parabola ci siamo allontanati da lui per vivere nel peccato mortale. La conversione come cambiamento di mentalità è necessaria perché come il figlio maggiore della parabola, pur stando vicino a Dio, abbiamo bisogno di imparare ad amare come lui.

La conversione è necessaria a tutti, sia ai lontani e sia ai vicini, perché Dio non fa nulla senza la nostra collaborazione. C’è una conversione dal peccato per vivere in comunione con Dio. Il peccato divide da Dio, perché dove c’è il peccato non c’è Dio. C’è una conversione all’amore, per crescere sempre più nell’amore di Dio.

La conversione come impegno da parte nostra richiede innanzitutto l’ascolto obbediente della parola di Dio. Qualsiasi parola di Dio è un invito per noi alla conversione, sia quando svela il nostro peccato e sia quando ci insegna a compiere il bene e ad amare come Gesù. C’è poi un invito esplicito alla conversione da parte della parola di Dio come nel vangelo di oggi. Se noi obbediamo alla parola che Dio ci rivolge per mezzo di Giovanni il Battista, prendiamo la decisione di convertirci e ci domandiamo che cosa dobbiamo fare. Il giorno di Pentecoste la folla dopo aver ascoltato l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto domanda a Pietro e agli altri apostoli: Che cosa dobbiamo fare, fratelli? E’ la domanda che dobbiamo porci anche noi dopo aver ascoltato il vangelo di oggi che ci invita alla conversione: Che cosa dobbiamo fare? Se ci siamo allontanati da Dio, perché non preghiamo e non partecipiamo alla messa domenicale e non ci confessiamo da anni o da mesi, e vivendo così, chissà quanti peccati abbiamo commesso, dobbiamo come il figliol prodigo ritornare a Dio, che ci sta aspettando con le braccia aperte per donarci il suo perdono. Se siamo vicini a Dio come il figlio maggiore, abbiamo comunque bisogno di conversione, cioè di cambiare la nostra mentalità, svuotandoci del modo di ragionare del mondo per ragionare e pensare come Dio.

Se vogliamo convertirci sul serio, e non come i farisei e i sadducei, che sono oggetto del monito di Giovanni, dobbiamo aiutarci facendo frutti degni di conversione. Questi frutti possono essere preghiere, atti contrari ai nostri peccati e opere di misericordia. La preghiera è fondamentale, perché con essa chiediamo l’intervento di Dio, riconosciamo che senza di lui non possiamo fare nulla. Ci aiuta molto nella preghiera la lettura e la meditazione della parola di Dio. L’apostolo dice nella seconda lettura: Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. Le Scritture ci insegnano a credere e sperare nel Signore, ci insegnano ad amare il Signore e amare il prossimo come lui. La lettura della Scrittura, fatta bene, porta come conseguenza la preghiera, il dialogo con il Signore, innanzitutto perché ci aiuti a mettere in pratica quello che ci ha insegnato.

Gli atti contrari, che costituiscono quello chiamiamo penitenza, servono per contrastare le nostre cattive inclinazioni e cattive abitudini. In noi ci sono sette cattive inclinazioni, che se vengono assecondate danno origine ai sette vizi capitali: superbia, invidia, lussuria, gola, accidia, ira, avarizia. Le cattive abitudini favoriscono lo sviluppo dei vizi. Allora dobbiamo impegnarci a contrastare le cattive abitudini, facendo possibilmente atti contrari. Per esempio se ho l’abitudine di mettere sempre in evidenza il bene che faccio, e in questo modo alimento il mio orgoglio, farò come atto contrario quello di nascondere il bene che faccio. Se ho la cattiva abitudine di perdere la pazienza quando mi contraddicono o mi fanno notare un difetto, e quindi cedo spesso all’ira, farò come atto contrario quello di accettare in silenzio le contraddizioni e di saper far tesoro delle critiche. Sono soltanto alcuni esempi di atti contrari o penitenze con cui potrei combattere le cattive abitudini e collaborare con la grazia di Dio.

Le opere di misericordia poi sono un campo sconfinato. Possiamo farle verso i vivi e offrirle anche ai defunti. Ci sono le opere di misericordia corporale con cui veniamo incontro ai bisogni corporali del prossimo e ci sono le opere di misericordia spirituale, con cui sovveniamo ai loro bisogni spirituali. Le opere di misericordia corporale sono: Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Le sette opere di misericordia spirituale sono: Consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

Con la conversione prepariamo il terreno della nostra anima perché il Signore venendo ad incontrarci nei sacramenti ci doni o, se già lo abbiamo ricevuto, accresca in noi la presenza del suo Santo Spirito: Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.

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27 novembre 2022 – I Domenica del tempo di avvento A

Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 2,1-5 — Salmo responsoriale: Sal 121 – 2Lettura: 1Rm 13,11-14a — Vangelo: Mt 24,37-44.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».Parola del Signore.

OmeliaCon questa domenica inizia un nuovo anno liturgico e incomincia con il tempo dell’avvento. La parola avvento significa venuta, e difatti questo tempo vuole ravvivare la nostra attesa del Signore Gesù che è venuto, viene e verrà. Il Signore Gesù è venuto quando è nato a Betlemme di Giudea, e fra meno di un mese, il 25 dicembre, festeggeremo questo avvenimento. Il Signore Gesù viene nella comunità cristiana che si raduna nel suo nome per celebrare l’eucaristia e i sacramenti. Il Signore Gesù verrà, nel senso che si manifesterà, a ciascuno di noi nell’ora della morte, e a tutti alla fine del mondo.

Nel vangelo di oggi Gesù parla della sua ultima venuta e dice che troverà molti impreparati:  Come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Gli uomini apparentemente non facevano nulla di male, ma se riflettiamo attentamente vediamo che vivevano senza Dio. Avevano rimosso il pensiero di Dio. L’uomo che si dimentica di Dio, corre il rischio del fallimento totale della sua vita. Nella nostra vita capita di avere delle distrazioni. Ci sono distrazioni di poco conto, ma ce ne possono essere altre fatali. Una mamma va al supermarket e si accorge di aver dimenticato la nota della spesa. Non è nulla di grave. Vi ricordate invece di quella mamma che dimenticò il suo bambino di pochi mesi nella macchina, e quando ritornò lo trovò morto? Fu una dimenticanza fatale. Vivere e dimenticarsi di Dio fa correre un pericolo maggiore. E’ probabile che gli uomini si facessero beffe di Noè che parlava dell’imminente pericolo del diluvio e per questo costruiva l’arca. Oggi molti si fanno beffe dei cristiani che parlano di vita eterna e di giudizio di Dio, e in vista di questi appuntamenti impostano la loro vita in un certo modo.

Gesù, abbiamo ascoltato, ci esorta: Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Che cosa significa stare svegli? Per comprendere cosa Gesù ci voglia dire possiamo rifarci ad altri passi in cui siamo esortati a vegliare. La parabola delle dieci vergini si conclude con l’esortazione di Gesù: Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora. Con questa esortazione Gesù vuole dire che non dobbiamo imitare le vergini stolte che presero con sé le lampade ma senza l’olio, ma le vergini sagge che presero le lampade con l’olio. Quindi noi vegliamo quando imitiamo le vergini sagge, cioè corrispondiamo alla grazia di Dio con le buone opere. Nell’orto degli Ulivi Gesù esorta i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Da qui comprendiamo che la preghiera è fondamentale per stare vigili nell’attesa del Signore.

Ma sebbene non ci sia l’esortazione a vegliare, anche dalle letture di oggi possiamo comprendere in che modo bisogna vegliare. Nella prima lettura, ascoltiamo due esortazioni, la prima è quella che i popoli della terra rivolgono a se stessi: Venite, saliamo sul monte del Signore,/al tempio del Dio di Giacobbe,/perché ci insegni le sue vie/e possiamo camminare per i suoi sentieri. La seconda è quella che gli israeliti rivolgono a se stessi: Casa di Giacobbe, venite,/camminiamo nella luce del Signore. Noi vegliamo quando ci poniamo sotto la guida del Signore e ci lasciamo condurre in tutte le nostre decisioni dalla sua parola.

Nel Salmo responsoriale parla un uomo che sta per recarsi a Gerusalemme al tempio del Signore: Quale gioia, quando mi dissero:/«Andremo alla casa del Signore!». Quest’uomo è contento perché parteciperà al culto nel tempio e starà in intimità con il Signore. Noi vegliamo quando prendiamo parte assiduamente alla messa domenicale, e questo appuntamento con il Signore diventa per noi un’esigenza da soddisfare.

Nella seconda lettura l’apostolo ci ricorda che noi cristiani viviamo nell’attesa del giorno del Signore, e la vita che stiamo vivendo, segnata dal peccato, è come una notte che sta per finire. Da qui le esortazioni: Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luceComportiamoci onestamente, come in pieno giorno…Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.

Vegliare per noi significa imitare Gesù Cristo, fuggire il peccato ed amare come lui.

Con tutti questi comportamenti combattiamo la tentazione di distrarci dal Signore e viviamo nell’attesa della sua venuta.