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13 novembre 2022 – XXXII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Ml 3,19-20a — Salmo responsoriale: Sal 97 – 2Lettura: 2Ts 3,7-12 — Vangelo: Lc 21,5-19.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
Parola del Signore.
Omelia
La distruzione del tempio di Gerusalemme, preannunciata da Gesù, sarebbe avvenuta il 70 dopo Cristo ad opera delle legioni romane. Gesù sapeva bene che dopo la sua ascensione al cielo nella chiesa si sarebbe diffusa una forte attesa della sua venuta nella gloria. Nella comunità cristiana di Tessalonica come apprendiamo dalla seconda lettera di Paolo, scritta intorno al 52 d. C., alcuni pensavano che la venuta del Signore fosse imminente e vivevano senza far niente. L’apostolo dopo aver spiegato che la venuta del Signore non era imminente, ammonisce quelli che stavano in agitazione e senza far niente a mangiare il proprio pane lavorando in pace.
Noi viviamo nell’attesa della venuta del Signore. Lo diciamo in ogni messa: Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta. In realtà più che di venuta si tratta di manifestazione, perché sappiamo bene che Gesù non si è allontanato da noi, si è soltanto sottratto alla nostra vista. Quando Gesù si manifesterà nella gloria, ci sarà la risurrezione dei corpi dei defunti, il giudizio universale, la fine del mondo e l’inaugurazione definitiva del regno di Dio. Questi avvenimenti si realizzeranno contemporaneamente. Gesù, allora, prima di rispondere alle domande sulla distruzione del tempio, mette in guardia i discepoli dall’inganno di considerare questo fatto come il preavviso della sua venuta nella gloria e degli altri avvenimenti collegati: Non è subito la fine.
L’altra cosa che preme a Gesù è quella di preparare i discepoli alla persecuzione. Il tempo che va dall’ascensione al cielo di Gesù al suo ritorno nella gloria è caratterizzato per i cristiani dalla persecuzione: Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno. E’ la passione di Gesù che continua nella chiesa. L’artefice della persecuzione è il demonio. Come ha istigato gli uomini a perseguitare Gesù, volendo impedire che compisse l’opera della salvezza, così istiga gli uomini a perseguitare i cristiani per impedire che i frutti della salvezza raggiungano gli altri uomini. La persecuzione caratterizza la vita della chiesa sin dall’inizio come leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli. Secondo l’ultimo rapporto dell’associazione Porte Aperte, relativo all’anno 2021, oltre 360 milioni di cristiani in tutto il mondo sperimentano un livello alto di persecuzione, quelli uccisi sono stati 5.898. Alla persecuzione esterna si aggiunge quella interna da parte di quei cristiani che invece di lavorare a servizio di Gesù Cristo lavorano a servizio del demonio. Questo diventa particolarmente terribile quando si tratta di pastori che dovrebbero essere di esempio agli altri e con la cattiva testimonianza gettano il discredito su tutta la chiesa.
La persecuzione, come dice Gesù, può diventare una buona occasione per rendergli testimonianza: Avrete allora occasione di dare testimonianza. Tutti quanti noi come cristiani siamo chiamati a rendere testimonianza a Gesù, con le parole e con la vita. Con le parole dobbiamo parlare di lui e dei suoi insegnamenti, con la vita dobbiamo imitare i suoi comportamenti. Se leggiamo gli Atti dei Martiri dei primi secoli vediamo che i processi contro i cristiani diventavano occasione per testimoniare la fede in Gesù. Molti pagani si sono convertiti per la testimonianza dei cristiani che preferivano morire piuttosto che rinnegare Gesù Cristo. Gesù ci assicura che non ci abbandonerà e nulla di noi andrà perduto. Anche se i persecutori dovessero ucciderci, non potranno privarci della vita. Possono uccidere il corpo, ma non l’anima.
Quello che conta è perseverare nella testimonianza cristiana: Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. La perseveranza è la costanza e la stabilità nella vita cristiana. Con la perseveranza diventiamo come l’incudine sotto il martello. Le prove, le tribolazioni, le contrarietà, le persecuzioni, non possono smuoverci dalla nostra fede in Gesù Cristo, dalla nostra speranza nelle sue promesse, dal suo amore che riversiamo sul prossimo. Dobbiamo dunque perseverare nella fede, nella speranza e nella carità, perché il Signore venendo e trovandoci vigilanti ad attenderlo ci accolga con se nel suo regno.
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6 novembre 2022 – XXXII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: 2Mac 7,1-2.9-14 — Salmo responsoriale: Sal 16 – 2Lettura: 2Ts 2,16-3,5 — Vangelo: Lc 20,27-38
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Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Parola del Signore.
Omelia
Domenica scorsa abbiamo lasciato Gesù a Gerico nella casa di Zaccheo. Gerico è vicina a Gerusalemme. Gerico sorge in una depressione, Gerusalemme su una montagna. Oggi Gesù è a Gerusalemme e discute con i Sadducei. Gli evangelisti riportano alcune dispute avute da Gesù a Gerusalemme con alcuni rappresentanti dei gruppi religiosi e politici presenti nel mondo giudaico del tempo. I sadducei erano un gruppo costituito dai sacerdoti del tempio. Si chiamavano così in quanto eredi del sacerdote Sadoch. I sadducei accettavano soltanto i primi cinque libri dell’Antico Testamento. E siccome in questi libri non si parla esplicitamente della risurrezione, essi negavano la risurrezione. Noi abbiamo ascoltato nella prima lettura tratta dal secondo libro dei Maccabei che i giovani che preferiscono morire piuttosto che trasgredire la legge di Dio, vanno incontro alla morte con la speranza della risurrezione: Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna. Il secondo libro dei Maccabei è uno degli ultimi libri dell’Antico Testamento e vi si parla esplicitamente della risurrezione dei morti. I sadducei si erano fermati solo ai primi libri dell’Antico Testamento che contengono solo una parte della rivelazione di Dio, presente anche nei restanti libri.
Nella disputa con Gesù i Sadducei portano il caso della donna che aveva avuto sette mariti come argomento a sostegno della loro convinzione che non c’è risurrezione dei morti. Questa donna aveva sposato sette mariti, morti uno dopo l’altro senza lasciare eredi. Secondo la legge di Mosè quando moriva un uomo senza figli, suo fratello doveva sposare la vedova. Nel caso presentato a Gesù addirittura sette fratelli avevano sposato la stessa donna. Sembra una cosa inverosimile. Nel libro della Genesi si legge che Giuda, il figlio di Giacobbe, aveva tre figli maschi. Il primo si sposò e morì senza lasciare figli. Il secondo sposa la vedova e muore anche lui senza lasciare figli. Giuda allora rimanda la vedova a casa di suo padre, per paura che anche il terzo figlio potesse morire. Il caso presentato a Gesù appare dunque inverosimile, ma possibile. I sadducei domandano a Gesù: La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie.
Nella risposta Gesù prima corregge la concezione che i sadducei avevano della vita futura, poi dimostra che anche in quei libri che essi consideravano ispirati si parla implicitamente della risurrezione. Gesù risponde che il matrimonio è necessario in questa vita terrena in cui gli uomini muoiono. Senza il matrimonio, non ci sarebbero figli, e la specie umana si estinguerebbe. Gesù sapeva bene che i figli possono nascere anche al di fuori del matrimonio, ma il modo legittimo stabilito da Dio per la generazione dei figli è il matrimonio. Nella vita futura non ci sarà più bisogno del matrimonio, perché i risorti sono immortali come gli angeli, e l’unico legame è quello di figli di Dio: Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli.
Gesù, poi, citando un passo dell’esodo, dimostra che anche in quei libri che i sadducei accettavano si parla implicitamente della risurrezione. Dio si auto-presenta a Mosè come Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Quando Dio parlava a Mosè, Abramo, Isacco e Giacobbe erano morti da secoli. Dio, dunque, presentandosi come Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe, lascia intendere che questi uomini sono vivi, perché non è Dio dei morti ma dei viventi.
Da questo insegnamento di Gesù derivano delle conseguenze per noi.
Innanzitutto per noi che crediamo nel Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe, che si è rivelato definitivamente nel Signore Gesù Cristo, la morte non è la fine di tutto, perché il nostro Dio non è Dio dei morti ma dei viventi. Egli ci riuscita a vita eterna sin da adesso, rendendoci partecipi della sua vita divina e ci promette di risuscitare i nostri corpi nell’ultimo giorno. Quindi c’è una duplice risurrezione, la prima avviene adesso e riguarda la nostra anima, che viene risuscitata dalla morte del peccato mediante il dono dello Spirito Santo nel battesimo. La seconda avverrà quando Gesù si manifesterà nella gloria e risusciterà i nostri corpi mortali per conformarli al suo corpo glorioso. I nostri defunti che hanno concluso la loro esistenza sulla terra, credendo e sperando nel Signore, sono ora con lui come Abramo, Isacco e Giacobbe, in attesa della risurrezione dei corpi nell’ultimo giorno.
Gesù diceva che nella vita futura non ci sarà più il legame matrimoniale ma soltanto quello di figli di Dio. I sacerdoti chiamati al celibato per il regno dei cieli come Gesù Cristo ci ricordano appunto la condizione del mondo futuro, quando cesseranno tutti gli altri legami e ci sarà soltanto quello di figli di Dio. Quindi dobbiamo curare bene il nostro rapporto personale con Dio, mettendolo al primo posto nella nostra vita, e perseverando giorno per giorno nella sua amicizia. Per questo l’apostolo Paolo a conclusione della lettera ai cristiani di Tessalonica, chiede a Dio di confermarli, cioè di renderli saldi nella comunione con lui: Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene. Facciamo nostra questa preghiera dell’apostolo, chiedendo con fiducia a Dio il dono della perseveranza, sapendo che egli è fedele e porterà a compimento l’opera che ha iniziato in noi. A lui la gloria con Gesù Cristo e con lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen
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30 ottobre 2022 – XXXI Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Sap 11,22-12,2 — Salmo responsoriale: Sal 144 – 2Lettura: Eb 1,11-2,2— Vangelo: Lc 19,1-10.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Parola del Signore.
Omelia
Nel suo cammino verso Gerusalemme Gesù è giunto a Gerico, città che si trova nella depressione del mar Morto. Di lì poi si sale verso Gerusalemme. Dovunque Gesù va, si raduna attorno a lui tanta gente. A Gerico un certo Zaccheo, capo dei pubblicani, e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perchè era piccolo di statura. I pubblicani erano gli esattori delle tasse. Riscuotevano le tasse per conto dei romani. La gente li odiava, perché erano israeliti che collaboravano con i romani, che avevano sottomesso la Palestina, e poi perché nella riscossione dei tributi chiedevano più di quanto era fissato e il di più se lo mettevano in tasca. Zaccheo è il capo dei pubblicani ed è ricco. Sappiamo bene quello che Gesù ha detto dei ricchi: E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio. Zaccheo dunque, il cui nome significa puro, è, ironia della sorte, in una condizione di impurità a causa dei suoi peccati e rischia di perdersi per sempre.
Zaccheo cercava di vedere chi era Gesù. Probabilmente sarà stato spinto a questa ricerca dalla curiosità, ma dal seguito comprendiamo che era spinto dal desiderio inconscio di Dio che è presente in ogni uomo. E’ un desiderio naturale presente in ogni uomo. E’ Dio stesso che lo ha posto nel cuore dell’uomo, perché seguendo questo desiderio si mettesse sulle sue tracce. E’ il desiderio della felicità, che ogni uomo cerca, ma pochi sanno che questo desiderio trova appagamento solo in Dio, che è la sorgente della felicità. E’ un desiderio innato in noi, come quello dell’acqua e del cibo. Tuttavia il demonio spingendoci al peccato ha guastato l’orientamento di questo desiderio che per trovare la felicità non si volge a Dio ma alle creature, mediante il piacere, il possesso e il successo. In questo modo cerchiamo la felicità per strade sbagliate. Dio misericordioso e pietoso, che ha compassione di noi, interviene per rimetterci sulla strada giusta che conduce a lui, e ci incalza nella coscienza con il rimorso dei peccati. Poi ci corregge con le conseguenze dei nostri peccati, facendoci provare delusione e amarezza proprio in quelle stesse cose da cui pensavamo di ricevere felicità: Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano/e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,/perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.
Siccome il rimorso e il castigo non sono sufficienti per chi ha perso l’orientamento, Dio nella sua infinita misericordia è venuto a cercarci per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio, il quale ha detto nel vangelo di oggi: Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
Zaccheodunque che cercava di vedere chi era Gesù, quando se lo trova davanti scopre che era atteso e cercato da Gesù: Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua.
Gesù è venuto per tutti gli uomini ma in particolare per i peccatori che si sono allontanati da Dio, che corrono il rischio di perdersi per sempre. Ci sono peccatori che non si allontanano da Dio, come noi che preghiamo, partecipiamo alla messa domenicale, e ci sforziamo di evitare il male e compiere il bene, pur con tanti limiti, e ci sono peccatori che si sono allontanati da Dio, abbandonandosi ai peccati.
Gesù, come il medico che va dai malati e non dai sani, rivolge la sua attenzione ai peccatori lontani per convertirli. La gente non comprendendo questa preoccupazione di Gesù, si scandalizza del suo comportamento. Il racconto mostra invece che Gesù ha fatto bene a chiamare Zaccheo, perché questi lo accoglie in casa sua con gioia e poi si converte: Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto. Zaccheo mette in pratica la parola di Gesù che bisogna condividere la ricchezza con i poveri e praticare la giustizia. Per la sua sincera conversione Zaccheo riceve la salvezza di Dio: Oggi per questa casa è venuta la salvezza. Accogliendo Gesù nella sua casa, convertendosi e mettendo in pratica la parola di Gesù Zaccheo, che era impuro, diventa puro secondo il significato del suo nome e viene salvato.
Da questo episodio apprendiamo alcune cose importanti per la nostra vita cristiana. Intanto vediamo che la condivisione dei beni con i poveri è una condizione necessaria per seguire Gesù. Ma vediamo che Gesù non chiede a tutti la stessa condivisione. A quel ricco che gli aveva chiesto che cosa dovesse fare per avere la vita eterna, Gesù chiede di dare tutti i suoi beni ai poveri e di seguirlo, per Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, è sufficiente che condivida con i poveri la metà dei suoi beni, per il ricco epulone sarebbe bastato un piccolo gesto di carità per il povero Lazzaro. Dalla conversione di Zaccheo comprendiamo che, fino a quando siamo su questa terra, non possiamo considerare perduto nessun uomo, perché niente è impossibile a Dio. Né d’altra parte noi che siamo vicini al Signore possiamo sentirci al sicuro, perché vediamo quanto sia impegnativo seguire Gesù. Nella seconda lettura l’apostolo con la sua preghiera ci insegna a chiedere a Dio il dono della perseveranza, perché ci renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della nostra fede. Infine la missione di Gesù di cercare i peccatori continua nella sua chiesa. Noi cristiani siamo le membra del corpo di Cristo e dobbiamo continuare la missione di Gesù, cercando e salvando ciò che era perduto. In questa missione siamo motivati dal fatto che ogni uomo, senza saperlo, cerca Dio. Il nostro compito è di condurre i peccatori lontani a prendere coscienza che il loro desiderio di felicità non potrà mai essere appagato dalle creature ma solo da Dio, che è la sorgente della felicità in questa vita e soprattutto nell’altra che non avrà mai fine.
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23 ottobre 2022 – XXX Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Sir 35,15b-17.20-22a – Salmo responsoriale: Sal 33 – 2Lettura: 2Tm 4,6-8.16-18 – Vangelo: Lc 18,9-14.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Parola del Signore.
Omelia
Con la parabola del fariseo e del pubblicano Gesù vuole insegnarci con quale atteggiamento dobbiamo porci nei riguardi di Dio. Nelle relazioni con gli altri possiamo porci in tanti modi. Gesù vuole insegnarci qual è l’atteggiamento corretto da assumere verso Dio. Dalla conclusione della parabola comprendiamo che dobbiamo evitare il comportamento del fariseo ed imitare quello del pubblicano. Questi due uomini salgono al tempio a pregare. Il fariseo si mette alla presenza di Dio con sicurezza, e nella preghiera fa l’elogio di se stesso. Elenca le opere buone che fa. Alcuni quando si confessano somigliano al fariseo, perché invece di confessare i propri peccati, fanno la lode di se stessi. Il fariseo aveva certamente compiuto le opere buone che elenca, ma aveva sicuramente compiuto anche delle opere cattive, che omette di ricordare. Il pubblicano si mette alla presenza di Dio con un atteggiamento umile e contrito, perché riconosce i propri peccati. Fa una preghiera brevissima, che potremmo far nostra: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
Gesù che conosce i pensieri del Padre ci fa sapere come Dio ha reagito alla preghiera di questi due uomini. Il pubblicano è stato giustificato, il fariseo no. Il verbo giustificare nel Nuovo Testamento significa rendere giusto. Dio dunque ha perdonato il pubblicano, rendendolo giusto. Era peccatore, ha riconosciuto il proprio peccato e si è affidato alla misericordia di Dio: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Dio lo ha perdonato e reso giusto. Invece non ha giustificato il fariseo che era sicuro della sua giustizia. Gesù spiega anche il motivo di questo comportamento di Dio: Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato. Il fariseo con la presunzione di essere giusto si è esaltato, ponendosi al livello di Dio. La Scrittura infatti dice che nessun vivente è giusto dinanzi a Dio, perché solo Dio è giusto. Il fariseo con la sua convinzione di essere giusto si è posto allo stesso livello di Dio. Il fariseo era accecato dalla superbia, per cui non ha visto i suoi peccati e ha rovinato anche le opere buone che aveva fatto. Dio dunque lo ha umiliato lasciandolo nel suo peccato. Il pubblicano con la confessione del suo peccato si è umiliato, riconoscendosi per quello che era. Sicuramente il pubblicano in mezzo a tanti peccati, aveva compiuto anche qualche opera buona, ma guardandosi con sincerità ha dovuto riconoscere di essere fondamentalmente un peccatore. E Dio lo ha innalzato, ponendolo al suo livello. Lo ha infatti perdonato e reso giusto, quindi lo ha posto al suo livello, lo ha reso suo amico.
Da questa parabola comprendiamo che dobbiamo porci verso Dio con l’atteggiamento del pubblicano, riconoscendoci sempre peccatori e bisognosi di essere da lui giustificati, cioè perdonati e resi giusti. E questo non una volta per sempre, ma in continuazione. L’atteggiamento del pubblicano viene chiamato nella Scrittura povertà, o anche povertà di spirito. E’ un atteggiamento che ne include molti altri. Infatti il povero di spirito è umile, riconosce i propri peccati, confida nel Signore, si relaziona con mitezza, e via dicendo. Per questo nella prima lettura si dice che la preghiera del povero attraversa le nubi, per dire che arriva a Dio che l’esaudisce. Nel salmo responsoriale parla un povero di spirito e testimonia quello che il Signore ha fatto per lui. Tutti gli oranti che parlano nei salmi sono poveri di spirito, persone che confidano nel Signore.
Dopo aver ascoltato la condanna del fariseo da parte di Gesù, potremmo essere un po’ sorpresi dalle parole di Paolo nella seconda lettura che somigliano ad un elogio di se stesso: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno. Quello che fa la differenza è l’atteggiamento interiore: il fariseo è convinto che le sue opere buone dipendono da lui, Paolo invece è convinto che dipendono dalla grazia di Dio. In un’altra occasione, elencando le sue fatiche apostoliche, dirà: Non io, ma la grazia di Dio che è con me. E nella predicazione del vangelo mette in evidenza che la giustificazione dell’uomo è possibile solo mediante la fede in Gesù Cristo. Chiunque crede in Gesù, riceve la grazia che lo rende giusto e quindi lo salva. La salvezza è legata alla giustizia. Questa sottolineatura è una caratteristica della predicazione di Paolo, che si può notare nella lettera ai Romani e in quella ai Galati. Egli dice infatti che se l’uomo può giustificarsi da se stesso, Gesù Cristo è morto invano. Per la giustificazione e quindi per la salvezza è necessaria la grazia di Gesù Cristo. Da questo comprendiamo quanto si ingannino quelle persone che dicono di non aver bisogno di venire in chiesa a pregare, perché è sufficiente il bene che compiono. Ragionano come il fariseo, probabilmente senza rendersi conto che stanno sminuendo Gesù Cristo. Con le loro parole stanno implicitamente dicendo che per fare il bene non hanno bisogno di Gesù Cristo, possono farlo da se stessi. Certo, come il fariseo fanno delle opere buone, ma anche delle opere cattive. Quindi non possono dire di essere giusti al 100%. Tuttavia la superbia li ha accecati come il fariseo e non vedono i loro peccati e rovinano anche le loro opere buone. Dunque per essere giustificati abbiamo bisogno di credere in Gesù e di ricevere la sua grazia nei sacramenti. Per questo partecipiamo alla messa, preghiamo, ci confessiamo, per ricevere la grazia di Gesù Cristo.
L’apostolo Paolo, sapendo che gli uomini sono giustificati e salvati mediante la fede e la grazia di Gesù Cristo, ha speso la sua vita per predicare il vangelo e guadagnare a Cristo il maggior numero possibile di uomini. Insieme con Paolo, oggi che è la giornata missionaria mondiale, anche noi dobbiamo impegnarci a guadagnare a Gesù Cristo il maggior numero possibile di persone, perché credendo in Gesù siano giustificati e salvati, e combattendo con noi la buona battaglia della fede ottengano da Dio la corona di giustizia. La corona di giustizia è quella riservata ai giusti, ma non a quelli che hanno la presunzione di essere giusti come il fariseo, ma a quelli che come il pubblicano si riconoscono peccatori e vengono resi giusti da Dio, mediante la fede e la grazia di Gesù Cristo.
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16 ottobre 2022 – XXIX Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Es 17,8-13 – Salmo responsoriale: Sal 120 – 2Lettura: 2Tm 3,14-4,2 – Vangelo: Lc 18,1-8
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Parola del Signore.
Omelia
Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai.
In questa parabola c’è un giudice disonesto e una vedova che andava in continuazione ad importunarlo dicendogli: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un po’ di tempo il giudice non la prese in considerazione, poi per togliersela dai piedi le fece giustizia. Gesù dice che se questo giudice disonesto ha cambiato comportamento e ha esaudito la vedova poiché lo importunava continuamente, molto più Dio che è buono e ci vuole bene esaudirà le nostre richieste quando lo invochiamo. Dunque dobbiamo pregare sempre senza stancarci mai. Quando parliamo di pregare intendiamo subito le preghiere che recitiamo. Sorge allora una difficoltà. Come facciamo a pregare sempre, se nell’arco della giornata siamo impegnati nelle faccende da sbrigare, incontriamo persone con cui dialogare, e via dicendo? Per risolvere questa difficoltà ci viene in aiuto San Agostino il quale nella lettera a Proba spiega che la preghiera nella sua essenza è il desiderio del cuore. La preghiera è il desiderio di Dio, di stare con lui, di fare la sua volontà. Questo desiderio è animato dalla fede, speranza e carità. Questo desiderio in noi deve essere continuo, come un fuoco che arde senza mai spegnersi. Se c’è in noi questo desiderio di Dio, siamo in preghiera in ogni momento, anche quando lavoriamo o facciamo qualsiasi altra attività.
Per impedire che questo desiderio di Dio si spenga, è necessario che lo alimentiamo anche con le parole, che sono come la legna posta al fuoco per farlo ardere. Quindi le preghiere vocali, come il Padre nostro, l’Ave Maria, il Gloria al Padre, l’Angelo di Dio, l’Eterno riposo, sono molto importanti per tenere vivo in noi il desiderio di Dio. Ma anche preghiere con parole nostre. Molto utili sono le giaculatorie, brevi preghiere che possiamo ricavare anche dalla Scrittura, prendendole in prestito dal cieco di Gerico, dal Pubblicano al tempio, e da altri personaggi del vangelo. L’apostolo nella seconda lettura ci dice che è molto importante la Sacra Scrittura: Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Mediante la Scrittura noi possiamo ascoltare Dio che ci parla e possiamo poi rispondergli con le nostre preghiere vocali. Mediante la Scrittura instauriamo un dialogo con Dio, lo ascoltiamo mentre ci parla e gli rispondiamo con le preghiere. L’episodio emblematico di questo dialogo è l’annunciazione dell’angelo alla Madonna. La Madonna ascolta la parola di Dio e poi le risponde con la preghiera: Avvenga per me secondo la tua parola. Dunque alimentiamo il nostro desiderio di Dio con le parole della Scrittura e con le nostre preghiere. In questo modo possiamo pregare sempre senza stancarci mai, purché non si spenga mai il desiderio di Dio animato dalla fede, dalla speranza e dalla carità.
La prima lettura ci fa vedere quanto sia importante la preghiera per la nostra vita sulla terra. Gli Amaleciti hanno sbarrato la strada agli Israeliti che sono diretti verso la terra promessa. Gli israeliti devono difendersi per proseguire il loro cammino. Per combattere gli Amaleciti, intervengono Mosè che sale sul monte a pregare, e Giosuè che combatte sul campo con un esercito. Nel racconto si dice che quando Mosè pregava, vincevano gli Israeliti, quando si fermava di pregare, vincevano gli Amaleciti. Mosè allora sta con le mani alzate per tutta la durata della battaglia e così gli israeliti prevalgono sugli Amaleciti. Il successo è dipeso chiaramente dalla preghiera di Mosè. Perché la preghiera è così importante? Con la preghiera riconosciamo che abbiamo bisogno di Dio, che la riuscita di quello che facciamo non dipende da noi ma dalla grazia di Dio. Aveva compreso tutto questo il Salmista che dice: Il mio aiuto viene dal Signore. Non viene dagli uomini, non viene dalle mie forze, ma dal Signore. Questo ci fa comprendere anche quanto sia importante nella chiesa il compito dei Contemplativi e delle Claustrali.
Nel Vangelo Gesù diceva che Dio farà prontamente giustizia ai suoi eletti che gridano a lui notte e giorno. Chi sono gli eletti e che significa che farà giustizia? Gli eletti sono quelli che corrispondono alla grazia di Dio come le vergini sagge della parabola che insieme alle lampade avevano anche l’olio. Sono i servi che fanno fruttificare i talenti. Sono quelli che si sforzano di entrare per la porta stretta, cioè seguono Gesù sulla via della croce. Quindi non tutti possono sperare di essere esauditi prontamente da Dio, ma solo i suoi eletti, i cristiani autentici, che prendono sul serio la sua parola.
Come cristiani abbiamo da subito tanti benefici da parte del Signore, ma anche molte prove e difficoltà. Le prove sembrano smentire tutto quello che il Signore ci ha promesso. Il Signore ha detto: Sono con voi tutti i giorni, e a volte sembra che il Signore sia assente. Il Signore ci ha promesso serenità e pace, e a volte sorgono inquietudini e paure. Se perseveriamo e non veniamo meno, il Signore farà giustizia dimostrando che non ci siamo sbagliati a confidare in lui. Farà giustizia donandoci il paradiso, il suo regno, se stesso. Infatti il paradiso e il regno di Dio è Dio stesso. Gesù conclude il vangelo con una domanda che suscita riflessione: Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? La Scrittura, vedi le lettere di Paolo a Timoteo, parlando del tempo che precede la venuta di Gesù nella gloria, dice che sarà caratterizzato da crisi di fede, da apostasia generale, da falsi profeti e falsi maestri. Mi sembra che questi segni oggi ci siano tutti.
Questa constatazione ci deve spingere a prendere sul serio le parole di Gesù sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai, affinché facendo così possiamo corrispondere alla sua grazia ed essere annoverati tra i suoi eletti, a cui farà prontamente giustizia donando il suo regno, se stesso.
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9 ottobre 2022 – XXVIII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: 2Re 5,14-17 – Salmo responsoriale: Sal 97 – 2Lettura: 2Tm 2,8-13 – Vangelo: Lc 17,11-19
Dal Vangelo secondo Luca
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Parola del Signore.
Omelia
Gesù, maestro, abbi pietà di noi!
Questi lebbrosi conoscevano sicuramente Gesù per sentito dire. Avevano sentito parlare di questo rabbì che insegnava come uno che ha autorità, che compiva miracoli e guarigioni. Per questo come lo vedono gli gridano: Gesù, maestro, abbi pietà di noi! Con queste parole chiedono a Gesù di fare qualcosa per loro. Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». Secondo la legge di Mosè, il lebbroso guarito doveva presentarsi al sacerdote che così lo riammetteva nella comunità. Ma questi lebbrosi non sono ancora guariti. Con il suo comando Gesù evidentemente sta chiedendo loro un atto di fede in lui. I lebbrosi obbediscono e mentre stanno andando dai sacerdoti vengono guariti. Ma, come vediamo, solo uno di loro comprende il significato di quello che è avvenuto: Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Gesù rimane deluso del comportamento degli altri nove guariti, tutti israeliti, che non hanno compreso l’opera di Dio in loro. Il Samaritano loda Dio e ringrazia Gesù. Ha compreso che Dio lo ha guarito per mezzo di Gesù Cristo e che Dio è presente in Gesù. Ha compreso perché si è aperto alla luce della fede. Ritornando da Gesù e ringraziandolo entra in comunione personale con Dio. E così dopo essere stato guarito nel corpo viene anche salvato: Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!
Questo Samaritano fa la stessa esperienza di Naaman il siro raccontata nella prima lettura tratta dal secondo libro dei Re. Costui aveva sentito dire che in Samaria c’era un profeta capace di guarirlo dalla lebbra. Quando arrivò dal profeta, questi gli mandò a dire di immergersi sette volte nelle acque del Giordano. Il comando sembrava a Naaman così semplice che si adirò e se ne stava andando. Gli si accostarono i servitori e gli fecero notare che se il profeta gli avesse ingiunto qualcosa di gravoso l’avrebbe certamente fatto. Ora invece il profeta gli aveva comandato una cosa semplicissima. Naaman andò e si immerse sette volte nelle acque del Giordano e uscì guarito dalla lebbra. Naaman allora comprese che non erano state le acque del Giordano a guarirlo ma la parola del profeta e quindi il Dio d’Israele. Tornò con tutto il seguito da [Elisèo,] l’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele».
Entrambi questi lebbrosi che non appartengono al popolo d’Israele sperimentano la potenza del Dio d’Israele che opera prima per mezzo del profeta Eliseo e poi per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo.
Grazie alla loro disponibilità a Dio ricevono il dono della fede e la capacità di riconoscere nella guarigione sperimentata la potenza di Dio. Questo riconoscimento mediante la fede li fa entrare in rapporto personale con Dio e così vengono salvati. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino a conoscere Gesù Cristo. Il Salmista diceva: Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,/agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. E’ una profezia e un invito ad annunciare la salvezza di Dio. E’ una profezia che incomincia a realizzarsi quando Gesù manda gli apostoli a predicare il vangelo a tutti gli uomini. Naaman e il Samaritano sono le primizie dei popoli che si convertiranno al Dio d’Israele.
Le parole del salmista sono un invito a noi che abbiamo conosciuto la salvezza di Dio a diventare apostoli di Gesù Cristo suo Figlio. Siamo nel mese di ottobre dedicato alle missioni. Dobbiamo sapere che la patrona delle missioni, insieme a San Francesco Saverio, è Santa Teresa di Lisieux, una suora di clausura. La prima cosa che possiamo fare è pregare per i missionari, chiedendo a Dio che li renda testimoni credibili del suo vangelo e pescatori di uomini. Un’altra cosa importante per i missionari ci viene suggerita dalla seconda lettura. L’apostolo Paolo in tutta la sua vita si è speso e consumato per annunciare il vangelo. Così quando viene incarcerato, non si perde d’animo perché sa bene che le sue sofferenze gioveranno alla causa del vangelo. Quindi dobbiamo valorizzare tutte le nostre sofferenze, piccole o grandi che siano, e offrirle a Dio per i missionari.
Infine, se ci guardiamo intorno, ci accorgeremo che anche qui da noi ci sono molti che hanno bisogno di ricevere l’annuncio di Gesù Cristo, o perché non lo hanno mai conosciuto, come possono essere gli stranieri venuti a vivere tra di noi, o perché lo hanno conosciuto solo per sentito dire.
Dobbiamo chiedere al Signore di farci capire che cosa possiamo fare per queste persone per condurle a lui. Se siamo sinceri nella preghiera e nella disponibilità, il Signore ci aiuterà e ci insegnerà la via, a lui la gloria con Gesù Cristo e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen
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2 ottobre 2022 – XXVII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Ab 1,2-3; 2,2-4 – Salmo responsoriale: Sal 94 – 2Lettura: 2Tm 1,6-8.13-14 – Vangelo: Lc 17,5-10.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Parola del Signore.
Omelia
Accresci in noi la fede!
Gli apostoli si rendono conto che con le proprie forze non riusciranno mai a mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù. Per vivere come insegna Gesù c’è bisogno di una grande fede: Accresci in noi la fede! Gli apostoli sanno bene che la fede è un dono di Dio e perciò chiedono: Accresci in noi la fede! Gesù risponde che non c’è bisogno di una grande fede, ma basta anche una fede piccola purché autentica, per compiere ciò che è umanamente impossibile: Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Con la risposta Gesù fa capire che la fede dono di Dio comporta l’accoglienza dell’uomo. Per capire come si esprime questa accoglienza del dono della fede, dobbiamo comprendere meglio come Dio si rapporta con noi.
Dio si rapporta con noi mediante la sua parola e mediante il suo Spirito. La fede nasce dall’ascolto della parola di Dio, dall’obbedienza ossequiosa alla parola di Dio. Questa parola di Dio rivolta a noi è contenuta nelle Scritture e nella Tradizione della chiesa. L’apostolo Paolo nella seconda lettura esorta Timoteo a custodire il deposito della fede: Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato. La fede dunque ha un contenuto che è la parola di Dio e consiste nella risposta obbediente dell’uomo a questa parola di Dio.
Da qui comprendiamo che la fede cresce in noi nella misura in cui ci fidiamo di Dio e ci abbandoniamo nelle sue mani. Allora opera in noi più facilmente il suo Santo Spirito che riceviamo nei sacramenti. L’unione tra la Scrittura e i Sacramenti è compiuta dalla preghiera, con cui desideriamo quello che Dio ci dice e ci prepariamo ad essere trasformati dal suo Santo Spirito. Per capire meglio tutto questo guardiamo all’annunciazione dell’angelo alla Madonna. L’angelo le annuncia la parola di Dio, lei si abbandona fiduciosa e desiderosa alla parola di Dio e lo Spirito Santo discende su di lei. Questo avviene anche per noi quando ascoltando la parola di Dio, la trasformiamo in preghiera desiderando che si realizzi in noi, e così quando riceviamo i sacramenti lo Spirito di Dio trova in noi il terreno buono per trasformarci.
Il Salmo ci mette in guardia dal pericolo del cuore indurito che costituisce un ostacolo alla fede e al suo sviluppo: Se ascoltaste oggi la sua voce!/ Non indurite il cuore. La durezza del cuore viene paragonata nella parabola del seminatore alla strada. Quando il seme cade sulla strada non attecchisce e inoltre vanno gli uccelli e lo divorano. Gli uccelli, dice Gesù, è il demonio che ruba la parola di Dio da quelli che hanno il cuore indurito e così non porta frutto in loro. Il cuore indurito è insensibile alla parola di Dio, perché in esso parla il peccato. Questa insensibilità è conseguenza del peccato per cui non si è fatta penitenza. In questo modo abbiamo dato adito al demonio di seminare i suoi cattivi suggerimenti e i suoi inganni nel nostro cuore. Il cuore indurito è difficile da guarire, tuttavia non è impossibile. Niente infatti è impossibile a Dio. La cura del cuore indurito è chiaramente il sacramento del perdono preceduto da un approfondito esame di coscienza. L’esame di coscienza con il dispiacere dei peccati e il proposito di non farli più è simile all’opera con cui un contadino toglie dal terreno i sassi e le spine e lo ara per prepararlo alla semina.
La fede poi matura e diventa più forte mediante le prove della vita. Le prove sono tutte quelle situazioni che sembrano smentire la parola di Dio. Nella prima lettura il profeta sta facendo un’esperienza di prova e si lamenta con il Signore: Fino a quando, Signore, implorerò aiuto/e non ascolti,/a te alzerò il grido: «Violenza!»/e non salvi?/Perché mi fai vedere l’iniquità/e resti spettatore dell’oppressione? La prova dipende dal fatto che domina nella società la violenza e prevalgono gli oppressori. Il profeta chiede aiuto al Signore ma questi sembra diventato sordo. Il Signore allora gli risponde che l’empio alla fine perirà, invece il giusto vivrà per la sua fede: Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,/mentre il giusto vivrà per la sua fede. Il Signore ci vuole dire che nelle prove dobbiamo saper attendere la sua salvezza e perseverare nella fede. Nelle prove dobbiamo abbandonarci ancora di più nelle mani del Signore. Proprio quando non comprendiamo, dobbiamo ricorrere a Dio come i bambini che corrono dai genitori.
L’apostolo Paolo esorta Timoteo a testimoniare la sua fede con coraggio: Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. La fede autentica porta alla testimonianza e a sua volta mediante la testimonianza la fede cresce e aumenta.
Quando noi mediante la fede accogliamo la parola di Dio e la grazia dello Spirito santo in noi, riusciamo a compiere la sua volontà. A questo punto sorge sorgono altri pericoli da cui Gesù ci mette in guardia. L’esempio del servo e del padrone va preso solo per quello che Gesù ci vuole insegnare. Alcune domeniche fa abbiamo detto che il nostro rapporto con Dio deve essere di figli non di servi. Quindi Gesù non vuole dire con l’esempio di oggi che noi dobbiamo comportarci con Dio da servi. Vuole piuttosto dirci che come i servi in quel tempo non accampavano alcuna pretesa nei riguardi del loro padrone, così anche noi dopo aver compiuta la volontà di Dio, non dobbiamo inorgoglirci e pensare che Dio è obbligato nei nostri riguardi. Certo, Dio ci ricompenserà più di quanto possiamo immaginare, ma noi non dobbiamo pretendere la ricompensa come qualcosa di dovuto. Sarà sempre una ricompensa gratuita. Perché nel compimento del bene il 99,9% spetta alla grazia di Dio, e solo lo 0,1% spetta a noi. Consapevoli di questo, manteniamoci nell’umiltà che attira su di noi lo sguardo di Dio e ripetiamo a noi stessi: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.
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25 settembre 2022 – XXVI Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Am 6,1a.4-7 – Salmo responsoriale: Sal 145 – 2Lettura: 1Tm 6,11-16 – Vangelo: Lc 16,19-31.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Parola del Signore.
Omelia
Nel vangelo di oggi Gesù continua a parlare ancora della ricchezza. Il ricco va a finire all’inferno non perché si era arricchito ingiustamente o per il solo possesso della ricchezza, ma perché è vissuto da egoista. In tutta la sua vita non è stato capace di aprire la porta di casa e di fare un gesto di carità verso il povero Lazzaro. Dopo la morte la situazione si capovolge, il ricco è nei tormenti dell’inferno, Lazzaro è nella consolazione del paradiso. Il ricco vorrebbe che Abramo mandasse Lazzaro ad intingere la punta del dito nell’acqua per bagnargli la lingua. Su questa terra Lazzaro bramava sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco, nell’altro mondo il ricco brama ricevere una goccia d’acqua dalla mano di Lazzaro. Purtroppo non è possibile alcuna comunicazione tra i salvati del paradiso e i dannati dell’inferno. Ci vengono in mente le parole dette da Gesù nel vangelo di domenica scorsa: Fatevi amici con la disonesta ricchezza, perchè quando verrà a mancare essi vi accolgano nelle dimore eterne. Se il ricco avesse condiviso i suoi beni con il povero Lazzaro, ora questi lo accoglierebbe con se in paradiso. Il ricco vorrebbe che Abramo mandasse Lazzaro ad ammonire i suoi fratelli sulla terra. Ma Abramo risponde che i fratelli possiedono le Scritture e possono ottenere la salvezza mettendole in pratica. Il ricco insiste che se li ammonisse un morto risuscitato, si convincerebbero. E Abramo: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti.
Mentre Gesù diceva queste cose aveva davanti a se i farisei, che si comportavano come il ricco epulone. Sappiamo che alcuni di loro si convertiranno a Gesù, ma la maggior parte gli rimarrà ostile. Ebbene i farisei conoscevano Mosè e i profeti, sapevano dei miracoli compiuti da Gesù, anche miracoli di risurrezione, eppure non si convertiranno. La conversione non dipende dai prodigi ma dalla parola di Dio. I prodigi possono solo completare la conversione, ma se il cuore è chiuso a Dio, non possono far nulla. Per raggiungere la salvezza basta accogliere la parola di Dio e metterla in pratica.
Dalla parabola apprendiamo che al ricco non è giovata l’appartenenza al popolo di Dio, perché è vissuto senza fede e senza amore. Questo ci deve far riflettere perché non cadiamo nello stesso errore. Non ci gioverà a nulla l’essere cristiani, figli di Dio e membri della chiesa, se non viviamo nella fede che opera per mezzo della carità.
Mentre viviamo su questa terra Dio fa di tutto per spingerci alla conversione. Innanzitutto ci incalza nella coscienza con il rimorso dei peccati. Poi ci manda i suoi servi ad ammonirci. Infine permette che si abbattano su di noi le conseguenze dei nostri peccati, cioè i castighi.
Nella prima lettura ascoltiamo il Signore che per bocca del profeta annuncia il castigo dell’esilio ai nobili e ricchi di Samaria: Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati/e cesserà l’orgia dei dissoluti. Costoro vivevano come il ricco epulone e anche peggio. Il castigo non è opera di Dio, come impariamo dalla parabola del Figliol prodigo, ma è conseguenza dei nostri peccati. Dio con la sua onnipotenza potrebbe evitarcelo, ma non lo fa perché mediante il castigo vuole farci prendere coscienza del male dei nostri peccati e spingerci alla conversione. Il castigo si presenta con modalità diverse, tribolazioni, sofferenze, contrarietà, fallimenti. Sono tutte esperienze negative, ma non sono paragonabili alla dannazione eterna. Dio dunque permette che si abbatta su di noi il castigo, perché ci vuole salvare dalla dannazione eterna. Il figlio della parabola proprio nel castigo rientrò in se stesso e ritorno dal padre.
Mentre viviamo su questa terra la nostra preoccupazione principale deve essere quella di ottenere la vita eterna. Lo ricorda l’apostolo nella seconda lettura al discepolo Timoteo: Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna. Sin dal momento del battesimo possediamo in noi le primizie della vita eterna, mediante la presenza dello Spirito Santo. Dobbiamo vivere lasciandoci guidare dallo Spirito Santo, seguendo la parola di Dio, imitando Gesù.
Il Salmo ci ricorda che il Signore rimane fedele per sempre, e ci darà certamente quello che ci ha promesso. Il Signore è misericordia infinita, ed è sempre pronto ad accoglierci e a perdonarci. Ma se facciamo resistenza ai suoi appelli, ricordiamoci che è anche giustizia infinita. Chissà in quanti modi il Signore ha cercato di spingere alla conversione il ricco epulone, ma questi rimase ostinato nel suo egoismo.
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18 settembre 2022 – XXV Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Am 8,4-7 — Salmo responsoriale: Sal 112 – 2Lettura: 1Tm 2,1-8 — Vangelo: Lc 16,1-13
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Parola del Signore.
Omelia
Per capire quello che ci vuole dire Gesù, dobbiamo comprendere bene la parabola. C’è un amministratore che viene accusato di sperperare i beni del padrone. Il padrone lo chiama e gli annuncia il licenziamento, chiedendogli un rendiconto dei debitori. L’amministratore rimasto senza lavoro pensa tra se cosa possa fare per guadagnarsi da vivere. Dopo aver fatto delle valutazioni ha una trovata. Chiama ad uno ad uno i debitori del padrone, che è lì presente e chiede a ciascuno di restituire il debito reale, rinunciando alla maggiorazione che spettava a lui. Secondo la prassi del tempo l’amministratore si pagava maggiorando i debiti del padrone. Si presenta un debitore che doveva cento barili d’olio. L’amministratore gli chiede di restituire solo la quota reale di cinquanta barili, rinunciando alla maggiorazione del 50% che spettava a lui. Si presenta un altro che doveva cento misure di grano. L’amministratore gli chiede di restituire solo la quota reale di ottanta misure, rinunciando alla maggiorazione del 20% che spettava a lui. Gesù conclude dicendo: Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. L’amministratore era stato disonesto per il passato, ma in quel momento aveva saputo usare i suoi beni per riacquistare la stima e la fiducia del padrone e la gratitudine dei debitori. Gesù vuole dire che come quest’amministratore, che aveva una mentalità mondana e pensava solo a questa vita, è stato scaltro a saper usare i beni per farsi amici sulla terra, così noi che siamo suoi discepoli e viviamo sulla terra preparandoci alla vita futura dobbiamo essere scaltri ad usare i nostri beni per farci amici nel cielo.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Gesù chiama i beni terreni ricchezza disonesta, cose di poco conto, e ricchezza altrui. Chiama i beni terreni ricchezza disonesta perché portano con se il pericolo di distrarre da Dio e dal prossimo. Li chiama cose di poco conto in confronto alla vera ricchezza che egli vuole donarci. Li chiama ricchezza altrui, cioè estranea a noi, perché è esterna a noi, invece la ricchezza che lui ci darà inerisce alla nostra vita. Allora Gesù ci insegna a saper usare con scaltrezza i nostri beni per farci amici che ci accoglieranno nel cielo. Ci insegna ad amministrare con fedeltà i nostri beni che sono poca cosa e sono una ricchezza esterna a noi, per avere la vera e la nostra ricchezza, quella che Dio ci darà. Saper usare i beni terreni per farsi amici, usarli con fedeltà, significa condividerli con i poveri e i bisognosi. Dice la Scrittura che chi dà al povero, fa un prestito a Dio. I poveri e i bisognosi sono i prediletti di Dio, che come un buon padre ha un occhio di riguardo per i figli svantaggiati. I poveri che avremo beneficato saranno i nostri amici che ci accoglieranno nel paradiso. Condividendo con i poveri i nostri beni, noi usiamo fedelmente, cioè secondo la volontà di Dio, i beni che egli ci ha affidato su questa terra e ci prepariamo a ricevere la vera ricchezza, la vita e la felicità eterne.
Non c’è altra via diversa da quella indicata da Gesù per usare utilmente i nostri beni. Se invece pensiamo che sia possibile servire due padroni, ci stiamo ingannando. Gesù dice: Non potete servire Dio e la ricchezza. Se uno attacca il cuore alla ricchezza, si distacca da Dio, se uno attacca il cuore a Dio, si distacca dalla ricchezza.
Purtroppo l’attaccamento alla ricchezza oltre al distacco da Dio porta ad essere insensibili verso il prossimo. Ricordiamoci della parabola del ricco epulone, che in tutta la sua vita non fu capace di un piccolo gesto di carità verso il povero Lazzaro. Ma ci può essere un atteggiamento peggiore di quello del ricco epulone. Nella prima lettura si parla di ricchi che sfruttano e opprimono i poveri. Ci sono quattro peccati che, come dice il nuovo catechismo, gridano al cielo. Sono: omicidio volontario, peccato impuro contro natura, negare il salario all’operaio, sfruttare e opprimere i poveri. Difatti Dio dopo aver ammonito gli sfruttatori dei poveri diceva: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere». Quando Dio dimentica il peccato significa che lo perdona, quando lo tiene presente vuol dire che ne chiede conto.
Nella Bibbia diverse volte Dio dona norme e precetti a protezione dei poveri e degli indigenti. E spesso quando deve affidare una missione chiama a svolgerla persone povere. Penso a Gedeone e poi al re Davide. Forse si allude a questo nel salmo responsoriale: Solleva dalla polvere il debole,/dall’immondizia rialza il povero,/per farlo sedere tra i prìncipi,/tra i prìncipi del suo popolo.
Nella seconda lettura l’apostolo, ispirato da Dio, raccomanda che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere. Quello che dobbiamo chiedere a Dio nella preghiera lo comprendiamo dal seguito. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Se Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e ciò può avvenire quando conosceranno la verità, cioè Gesù Cristo suo Figlio, allora dobbiamo desiderare e chiedere nelle nostre preghiere per tutti gli uomini e per quelli che ci governano che conoscano Gesù Cristo, che sperimentino la salvezza di Dio nella loro vita. Se tutti gli uomini sperimentano la salvezza di Dio mediante Gesù Cristo, vengono trasformati dal suo amore, e le relazioni umane saranno improntate all’amore, e non ci saranno più né poveri, né ricchi, né oppressi, né oppressori. E potremo, come dice l’apostolo, condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio.
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11 settembre 2022 – XXIV Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Sap 32,7-11.13-14 — Salmo responsoriale: Sal 50 – 2Lettura: 1Tm 1,12-17 — Vangelo: Lc 15,1-32.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore.
Omelia
Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Gli scribi e i farisei si scandalizzano perché Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro. Anche in un’altra occasione l’evangelista riporta le mormorazioni degli scribi e dei farisei perché Gesù stava con i pubblicani e i peccatori. Allora Gesù rispose: Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati, non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori a convertirsi. Gesù vuole dire che sta con i peccatori non per approvarli ma per aiutarli a convertirsi.
Oggi Gesù risponde alle mormorazioni degli scribi e dei farisei raccontando tre parabole, quella della pecorella smarrita, della dramma perduta e del figliol prodigo. Un unico atteggiamento troviamo a conclusione nel pastore, nella donna e nel padre, la gioia. La gioia del pastore per aver ritrovato la pecorella smarrita, la gioia della donna per aver ritrovato la dramma perduta, e infine la gioia del padre per il ritorno a casa del figliol prodigo. Attraverso queste parabole Gesù vuole far intravvedere la gioia di Dio per il peccatore che ritorna a lui pentito. Infatti dice: Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Il cielo qui è un termine che indica Dio, il cui nome gli ebrei cercano di pronunciare il meno possibile.
La gioia di Dio per un peccatore che si converte è più che comprensibile. Se un pastore si rallegra per aver ritrovato la pecorella smarrita, e una donna per la dramma perduta, e un padre per il figlio che si era allontanato da casa, quanto più Dio si rallegra per un peccatore creato a sua immagine e somiglianza che rischiava di perdersi per sempre e ritorna a lui convertito.
L’apostolo nella seconda lettura ci ricorda che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori. In Gesù dunque che accoglie i peccatori e mangia con loro riconosciamo il comportamento di Dio.
Dio non si limita ad accogliere i peccatori che ritornano a lui, ma come fa il pastore che va in cerca della pecorella smarrita e la donna della dramma perduta, egli va in cerca del peccatore.
Lo cerca innanzitutto incalzandolo nella coscienza con il rimorso del peccato. Nel salmo, il famoso miserere, sentiamo tutto il rimorso di un peccatore che resosi conto del suo peccato chiede a Dio con insistenza di liberarlo: cancella la mia iniquità./Lavami tutto dalla mia colpa,/ dal mio peccato rendimi puro. Dio cerca il peccatore attraverso il castigo. Nella parabola del figliol prodigo vediamo che il castigo è la conseguenza dell’abbandono della casa paterna. Il figlio in un primo momento si dà alla bella vita, sperperando i beni del padre, come dirà il fratello, con le prostitute. Poi scoppia una carestia, viene a trovarsi nel bisogno, è costretto a fare un lavoro umiliante, e il vitto che gli dà il datore di lavoro non gli basta. Dio permette il castigo per spingere il peccatore a ravvedersi. Difatti quando tocca il fondo, il figlio della parabola rientra in se stesso. Dio cerca il peccatore con la nostalgia della sua amicizia già sperimentata. Il figlio si ricorda della casa paterna e prende la decisione di ritornare. Il rimorso, il castigo, la nostalgia sono tutte esperienze di cui Dio si serve per ricondurre a sé i figli peccatori. Dio si serve poi degli uomini di buona volontà per far sentire ai peccatori una parola buona che li porta a riflettere, si serve soprattutto della chiesa e dei suoi fedeli ammonire e cercare i figli dispersi.
Dove possiamo sperimentare l’abbraccio di Dio e la sua festa per noi peccatori che ritorniamo a lui?
Gesù ha lasciato alla sua chiesa il sacramento del perdono. In questo sacramento possiamo sperimentare l’abbraccio di Dio che elimina i nostri peccati e fa festa per noi. La gioia di Dio si travasa nella nostra anima. Infatti uno degli effetti di questo sacramento è la gioia del cuore.
In Dio c’è giustizia e misericordia, ma non sono distribuite allo stesso modo, perché in lui la misericordia prevale sempre sulla giustizia come vediamo nella prima lettura. Dio quando ci perdona, non continua a contestare i nostri peccati, e ci ristabilisce nella condizione di prima come vediamo nella parabola del figliol prodigo: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi.
Il figlio maggiore della parabola raffigura gli scribi e i farisei che non comprendono il comportamento di Gesù, che è quello di Dio. Per essi i peccatori si godono la vita e quindi poi non possono sperare nel perdono di Dio e così farla franca. Ragionano in questo modo, perché hanno impostato in modo sbagliato il rapporto con Dio, non come figli ma come servi. Il figlio maggiore dice al padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando. Con quest’atteggiamento di fondo ha vissuto il rapporto con il padre con una certa frustrazione e come un peso. Il padre che era andato incontro al figlio che si era allontanato da casa, va incontro ora al figlio che non comprende il suo comportamento. Le parabole di Gesù non sono rivolte solo ai peccatori perché ritornino a Dio ma anche agli scribi e ai farisei e a tutti quelli che la pensano come loro, perché cessino di vivere da servi e imparino a vivere da figli. Questo può avvenire credendo in Gesù. Infatti egli ci rende figli di Dio, donandoci lo Spirito Santo che crea tra noi e Dio una corrispondenza d’amore e trasforma la legge da un peso in un’esigenza di vita. Anche per noi cristiani ci può essere il pericolo di impostare il o rapporto con Dio come quello degli scribi e dei farisei, se perdiamo di vista che la vita cristiana non è innanzitutto un’etica ma un rapporto personale d’amore con Dio per mezzo di Gesù. Vivendo da figli di Dio e sperimentando la serenità della vita cristiana, non proveremo invidia per quelli che sono immersi nel peccato ma dispiacere, pregheremo per la loro conversione e ci rallegreremo con Dio del loro ritorno.
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4 settembre 2022 – XXIII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Sap 9,13-18 — Salmo responsoriale: Sal 89 – 2Lettura: Fl 9b-10.12-17 — Vangelo: Lc 14,25-33.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Parola del Signore.
Omelia
Nel vangelo di oggi Gesù detta le condizioni per diventare suo discepolo. Si tratta di tre condizioni che richiedono il primato dell’amore per Gesù, di seguirlo sulla via della croce, di rinunciare a tutti i propri averi.
Innanzitutto il primato dell’amore per Gesù: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù chiede di essere amato più dei propri cari, più dei genitori, della moglie, dei figli, dei fratelli e delle sorelle, e perfino della propria vita. Quindi nessuno e nulla deve essere anteposto a Gesù.
Nella seconda condizione Gesù chiede di seguirlo sulla via della croce: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. La croce, come abbiamo spiegato altre volte, è l’amore perfetto. Gesù va incontro volontariamente alla croce, non si sottrae ad essa, pur potendolo fare, per amore nei nostri riguardi. Quindi ci chiede di seguirlo sulla via dell’amore perfetto, che è così proprio perché è segnato dalla croce, dalla sofferenza.
Infine Gesù ci chiede di rinunciare a tutti i propri averi: Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Ci chiede di essere distaccati dai beni terreni, di condividerli con i poveri e bisognosi, di saperli usare per arricchire presso Dio.
A primo impatto potrebbe sembrare che con queste tre condizioni Gesù ci voglia togliere qualcosa. In realtà quando il Signore ci chiede qualcosa è perché ci ha già dato, e se chiede è perché ci vuole dare ancora di più.
Infatti quando ci chiede di amarlo più dei nostri cari non ci sta dicendo che dobbiamo amarli di meno. Ci sta solo dicendo che dobbiamo amare lui prima di ogni altra persona. Il primato dell’amore a Gesù non diminuisce l’amore per i nostri cari e per il prossimo ma lo accresce ancora di più. Se un figlio ama Gesù al di sopra di ogni cosa, non amerà di meno i suoi genitori ma li amerà di più. Se un marito e una moglie mettono al primo posto Gesù, non si ameranno di meno ma di più. Questo vale per qualsiasi relazione umana. Mettendo al primo posto Gesù, tutte le relazioni umane ne ricevono beneficio.
Quando Gesù ci chiede di seguirlo sulla via della croce, non ci vuole togliere la felicità spingendoci ad accettare la croce, ma vuole farcela sperimentare. Infatti la felicità è in proporzione dell’amore che riusciamo a donare. Più il nostro amore cresce e si avvicina alla perfezione e più sperimentiamo pace e gioia.
Quando Gesù ci chiede di rinunciare a tutti i nostri averi, non ci vuole ridurre alla miseria, ma ci vuole insegnare a saperli usare in questa vita, condividendoli con i poveri e i bisognosi, e ad arricchire così presso Dio. L’attaccamento alla ricchezza porta all’egoismo come ci mostra la parabola del ricco epulone e confidare nei mezzi umani più che in Dio.
Con queste tre condizioni Gesù ci chiede di donare amore, perché è solo amando che si raggiunge la felicità.
A questo punto, seguendo gli esempi addotti da Gesù dell’uomo che vuole costruire una torre e del re che esce in battaglia, dobbiamo anche noi valutare se siamo in grado di mettere in pratica le condizioni dettate da lui. Riflettendo con onestà dobbiamo riconoscere che siamo incapaci di amare Gesù più dei nostri cari, siamo incapaci di seguirlo sulla via della croce, siamo incapaci di rinunciare a tutti i nostri beni. Possiamo però predisporci a queste condizioni se il Signore ci dà la sapienza, cioè se impariamo a valutare le cose secondo Dio e non secondo la mentalità del mondo.
Il Signore ci deve istruire e illuminare affinché ci rendiamo conto che le condizioni da lui dettate sono vantaggiose per noi già su questa terra e in più ci procurano la vita eterna.
Il primo passo per fare una cosa è la convinzione. La sapienza di Dio ci deve convincere sulle condizioni dettate da Gesù. Abbiamo spiegato che non ci tolgono nulla, ma piuttosto ci danno. La spiegazione da sola non basta se non siamo convinti. Questa convinzione può ottenerla la sapienza di Dio venendo nelle nostre menti. L’uomo della prima lettura e gli oranti del salmo chiedevano appunto a Dio la sapienza.
Dopo aver ottenuto la convinzione abbiamo bisogno della forza, perché io posso essere convinto di dover fare una cosa, ma non avere la forza per realizzarla. Abbiamo bisogno della grazia del Signore, cioè del suo stesso amore. Solo se sperimentiamo l’amore di Gesù in noi, allora acquisteremo la capacità di amarlo prima di ogni altra persona, di seguirlo sulla via della croce, di rinunciare a tutti i nostri beni. Quindi abbiamo bisogno della sapienza e dell’amore di Dio per mettere in pratica le condizioni dettare da Gesù e diventare suoi discepoli. Privi della sapienza e dell’amore di Dio siamo ancora nella situazione della folla che va dietro a Gesù senza seguirlo con la vita. La fonte della sapienza di Dio è la Scrittura, la fonte del suo amore sono i sacramenti. Attingiamo a queste sorgenti con il desiderio di acquistare la sapienza e l’amore di Dio per poter diventare autentici discepoli di Gesù.
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28 agosto 2022 – XXII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Sir 3,19-21.30.31 — Salmo responsoriale: Sal 67 – 2Lettura: Eb 12,18-19.22-24a — Vangelo: Lc 14,1.7-14.
Dal Vangelo secondo Luca
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Parola del Signore.
Omelia
Gesù spesso accettava gli inviti a pranzo che erano occasione buona per dare insegnamenti utili ai presenti. Gesù è venuto a rivelarci il volto di Dio e ad insegnarci in che modo possiamo vivere in comunione con Dio.
Nel vangelo di oggi Gesù, mentre si trova a pranzo a casa di uno dei capi dei farisei, dà insegnamenti prima agli invitati e poi a colui che lo ha invitato. Agli invitati consiglia di scegliere l’ultimo posto. Gesù ha notato che gli invitati sceglievano i primi posti. La scelta dei primi posti nasce dal desiderio di primeggiare, di essere al centro dell’attenzione, di apparire superiori agli altri. Gesù invece consiglia l’umiltà, che può essere vantaggiosa, come nell’esempio da lui portato, ed è soprattutto gradita a Dio: Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. Chi si esalta sarà umiliato da Dio e chi si umilia sarà esaltato da Dio. In altre occasioni Gesù dice in che modo il superbo viene umiliato e in che modo l’umile viene esaltato. Gesù un giorno benedice il Padre perché ha nascosto i misteri del regno ai sapienti e ai dotti e li ha rivelati ai piccoli. A conclusione della parabola del fariseo e del pubblicano, Gesù dice che il pubblicano fu perdonato da Dio a differenza dell’altro che fu lasciato nel suo peccato, perché chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato. Da questi due episodi comprendiamo che Dio umilia i superbi nascondendosi a loro e prendendo le distanze da loro, invece esalta gli umili rivelandosi a loro e chiamandoli ad essere suoi amici.
Leggendo la prima lettura di oggi vediamo come l’insegnamento di Gesù sia in continuità con quello dell’Antico Testamento. La prima lettura è tratta dal libro del Siracide, che fa parte degli scritti sapienziali. In questi componimenti il protagonista è spesso un maestro che dà dei consigli ai discepoli. Nella prima lettura il maestro consiglia al discepolo l’umiltà perché è gradita agli uomini e a Dio. Il testo parla di mitezza, una virtù che nella Bibbia è spesso sovrapposta all’umiltà. Difatti più avanti si parla solo di umiltà. Chi agisce con umiltà, dice il maestro, è accetto più di una persona generosa: Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,/e troverai grazia davanti al Signore./Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,/ma ai miti Dio rivela i suoi segreti./Perché grande è la potenza del Signore,/e dagli umili egli è glorificato. L’umiltà e la mitezza sono le caratteristiche fondamentali dei poveri del Signore che sono i protagonisti dei salmi e di cui parlano spesso i profeti. I poveri del Signore sono i poveri di spirito di cui parla Gesù, i piccoli a cui viene riservato il regno dei cieli. L’umiltà dunque è l’atteggiamento fondamentale per entrare in relazione con Dio. Al contrario la superbia è l’atteggiamento di chiusura a Dio, perché è l’atteggiamento di Adamo ed Eva che si sono ribellati a Dio.
A colui che lo ha invitato Gesù consiglia, qualora voglia offrire un pranzo o una cena, di non invitare amici, parenti e ricchi vicini, ma poveri, storpi, zoppi, ciechi. Queste persone erano i diseredati del tempo.Il consiglio di Gesù va compreso bene. In diverse occasioni non possiamo fare a meno di invitare amici, parenti e ricchi vicini, altrimenti ci creiamo inimicizie. E Gesù non vuole che ci creiamo inimicizie, avendoci insegnato a perdonare e amare i nemici. Piuttosto Gesù con il suo consiglio vuol dire che non dobbiamo fare il bene solo a quelli da cui speriamo di avere il contraccambio, ma anche, anzi soprattutto, a quelli che non ci possono contraccambiare. Questi sono i poveri e gli indigenti, gli svantaggiati della società. In questo modo saremo ricompensati direttamente da Dio: Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti.
Il Dio d’Israele, come leggiamo nel salmo responsoriale di oggi, si pone a difesa dei poveri e dei deboli, come fa un padre che ha un occhio di riguardo verso i figli più svantaggiati, per riequilibrare la situazione: Padre degli orfani e difensore delle vedove/è Dio nella sua santa dimora./A chi è solo, Dio fa abitare una casa,/fa uscire con gioia i prigionieri. Gesù in definitiva con i suoi consigli ci insegna ad imitare se stesso, che si definisce mite e umile di cuore, che ama gratuitamente e predilige i poveri e gli esclusi.
Nella seconda lettura ci viene ricordato che noi cristiani, pur vivendo sulla terra, siamo cittadini della Gerusalemme celeste, perché siamo in comunione con Dio e con i suoi angeli e i suoi santi. Per custodire questa comunione e passare dalla fede alla visione del paradiso dobbiamo coltivare l’umiltà, l’amore gratuito e la predilezione per i poveri. Altre volte abbiamo detto che abbiamo bisogno innanzitutto della grazia di Dio per potere fare quello che egli ci dice. Dio ci dona la grazia mediante la Scritture e i Sacramenti. Dobbiamo corrispondere a questa grazia esercitandoci nelle virtù, cogliendo ogni occasione per compiere atti di umiltà, di amore gratuito e di predilezione per i poveri.
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21 agosto 2022 – XXI Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 66,18b-21 — Salmo responsoriale: Sal 116 – 2Lettura: Eb 12,5-7.11-13— Vangelo: Lc 13,22-30.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
Parola del Signore.
Omelia
Signore, sono pochi quelli che si salvano? Gesù non risponde a domande curiose ed inutili. Che cosa gioverebbe sapere quanti sono quelli che si salvano. Gesù piuttosto insegna cosa dobbiamo fare per essere salvati: Sforzatevi di entrare per la porta stretta.
La salvezza viene presentata come la partecipazione ad un banchetto di festa in cui gli invitati sono commensali con Dio e con i suoi santi. Bisogna impegnarsi ad entrare per la porta che immette nella sala del banchetto. Gesù dice che è una porta stretta. Questa porta è lui stesso. Infatti in Gv 10,7 dice: Io sono la porta delle pecore. Quindi per entrare nella salvezza bisogna seguire Gesù sulla via della croce, cioè dell’amore perfetto, con una conversione continua. Noi amiamo poco e il nostro amore è spesso inquinato di egoismo. Abbiamo bisogno di convertirci a Gesù per imparare ad amare come lui in modo autentico. E questo costa impegno e sacrificio.
Gesù dice: molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Dal seguito del discorso comprendiamo perché non ci sono riusciti. Hanno seguito Gesù per un certo periodo di tempo ma non hanno perseverato in questo cammino, non sono stati costanti a compiere le opere buone, ad amare come lui. Non sono stati costanti, è questo che ci fa capire la porta chiusa. La morte li ha colti prigionieri del male, mentre erano nel peccato e non si impegnavano a convertirsi. La conoscenza di Gesù non ha recato loro alcun giovamento, come alle vergini stolte non sono servite le lampade senza l’olio. Infatti la fede senza le opere di carità è morta. Non sono stati costanti nelle opere buone e hanno ceduto al male. Il padrone che è Gesù stesso li apostrofa: Operatoti di ingiustizia!
Gesù dice che sono molti quelli che si perdono e sono molti anche quelli che si salvano, come lasciano intendere le sue parole: Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Tra i molti che si perdono ci sono i vicini, e tra i molti che si salvano ci sono i lontani. I vicini per Gesù erano gli israeliti del suo tempo. Molti tra di loro non vollero convertirsi alla predicazione di Giovanni e nemmeno alla predicazione di Gesù. Pensavano di essere salvati solo perché erano discendenza di Abramo. Giovanni il Battista dice loro: Fate frutti degni di conversione e non incominciate a dire: Siamo figli di Abramo! Tra i vicini di oggi ci possono essere molti se dicenti cristiani che pensano di essere già salvati solo perché hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma poi non fanno più nulla per seguire Gesù.
Tra i lontani Gesù annoverava i pagani del tempo: Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Per bocca dei profeti Dio aveva preannunciato la futura conversione dei popoli pagani a lui. Nella prima lettura abbiamo ascoltato: Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Nel salmo responsoriale i popoli pagani convertiti al Signore sono invitati a lodarlo come fanno gli israeliti: Genti tutte, lodate il Signore,/popoli tutti, cantate la sua lode. Questo raduno dei popoli pagani intorno al Dio d’Israele è incominciato quando Gesù ha inviato i suoi apostoli ad annunciare il vangelo a tutti i popoli della terra.
I lontani di oggi sono ancora i pagani che continuano a convertirsi al Dio d’Israele, rivelatosi in Gesù, mediante la predicazione della chiesa. In Francia ogni anno circa 8000 persone adulte si convertono a Gesù Cristo. Tra costoro ci sono molti che provengono da famiglie atee, molti musulmani e seguaci di altre religioni. Nello stato indiano dell’Orissa ci sono tante conversioni di induisti a Gesù. Nella Corea del Sud le conversioni a Gesù Cristo crescono di anno in anno.
Noi che siamo tra i vicini, dobbiamo dunque prendere sul serio il monito di Gesù: Sforzatevi di entrare per la porta stretta. Quando il Signore vede che non ci impegniamo molto a seguirlo oppure peggio ancora ci siamo allontanati come il figliol prodigo, allora interviene a correggerci.
La seconda lettura parlava della correzione del Signore. Dio ci corregge come fa un padre con i propri figli. Il Signore vuole la nostra salvezza e perciò ci corregge in questa vita per non doverci poi condannare nell’altra. La correzione del Signore per quelli che lo seguono si chiama prova, per quelli che sono nel peccato si chiama castigo. Ma di fatto tra la prova e il castigo non c’è sostanzialmente alcuna differenza in quanto in entrambi i casi si tratta di esperienze dolorose, contrarietà, tribolazioni, e via dicendo, che vogliono farci progredire se stiamo seguendo il Signore, vogliono farci convertire dal male se ci eravamo allontanati da lui.
La seconda lettura dice come dobbiamo porci dinanzi alla correzione del Signore: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore/e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui.
Non bisogna snobbare la correzione del Signore, evitando di chiedersi il perché, questo significa disprezzarla. Se facciamo così non ricaviamo alcun vantaggio dalla correzione del Signore. Non bisogna perdersi d’animo, pensando che il Signore non ci voglia bene e ci abbia abbandonato. Tutto il contrario. Il seguito dice: Il Signore corregge colui che egli ama/e percuote chiunque riconosce come figlio. Se ci impegniamo da noi stessi a passare per la porta stretta, seguendo Gesù sulla via della croce, possiamo forse evitare la correzione del Signore.
Gesù concludeva a proposito dei salvati: Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi. Gli ultimi sono tali perché hanno conosciuto Gesù in ritardo, i primi lo hanno conosciuto da tempo. La situazione si capovolge e gli ultimi diventano primi e i primi ultimi a motivo dell’impegno nella sequela di Gesù, cioè nell’amore perfetto. E’ la carità che fa la differenza.
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14 agosto 2022 – XX Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Ger 38,4-6.8-10 — Salmo responsoriale: Sal 39 – 2Lettura: Eb 12,1-4 — Vangelo: Lc 12,49-53.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Parola del Signore.
Omelia
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!
Il fuoco di cui parla Gesù non è certo quello dell’odio e delle contese ma al contrario è il fuoco dell’amore di Dio che egli è venuto ad accendere nei cuori degli uomini. Giovanni il Battista preannunciando la missione di Gesù aveva detto: Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. L’opera della salvezza compiuta da Gesù culmina con il dono dello Spirito Santo che diffonde nel cuore degli uomini l’amore di Dio. Gesù desidera accendere questo fuoco nel cuore degli uomini, perché sa bene che solo sperimentando quest’amore saremo nella pace.
Ma perché ciò avvenga è necessario espiare i peccati del mondo, cosa che Gesù farà morendo sulla croce. Gesù parla della sua morte di croce come un battesimo che deve ricevere. Il battesimo veniva amministrato immergendo tutto il corpo nell’acqua. Gesù sarà immerso nelle sofferenze e nella morte per la nostra salvezza. Abbiamo detto altre volte che Gesù poteva sottrarsi alla morte. Ma l’accettò liberamente per la nostra salvezza. Per questo Gesù dice: Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! La sua angoscia derivante dal pensiero delle sofferenze e della morte è nello stesso tempo desiderio che tutto avvenga al più presto, perché Gesù non pensa a se stesso ma alla salvezza che sarete scaturita per noi dalla croce.
Ora che Gesù ha compiuto la sua opera di salvezza, ha espiato i nostri peccati ed effonde lo Spirito Santo, per appropriarci di questi beni dobbiamo credere in lui. Purtroppo non tutti gli uomini sono disponibili a credere in lui. Da qui nasce la divisione di cui parla Gesù: Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. E’ una divisione che avviene suo malgrado, perché non è lui a scegliere alcuni e scartare altri, ma sono gli uomini che si dividono dinanzi a lui. Ci sono quelli che credono e quelli che non vogliono credere. Simeone lo aveva predetto alla Madonna il giorno della presentazione al tempio: Egli è qui come segno di contraddizione perchè siano svelati i pensieri di molti cuori. Gli uomini si dividono dinanzi a Gesù e così si manifestano quelli che sono disponibili a Dio in quanto accolgono Gesù, e quelli che sono chiusi a Dio perché lo rifiutano. Se vogliamo che Gesù accenda nei nostri cuori il fuoco dello Spirito Santo, il fuoco dell’amore di Dio, dobbiamo prendere una decisione netta per lui. Mettendoci dalla sua parte ci separiamo dal demonio e da tutti quelli che lo seguono che formano il mondo incredulo e peccatore. Il giorno del battesimo i nostri genitori hanno fatto una promessa per noi e noi l’abbiamo poi rinnovata diverse volte nel corso della vita. Con questa promessa rinunciamo al demonio e a tutte le sue opere e crediamo in Dio, nel Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, come Padre e Figlio e Spirito Santo. E’ questa la divisione di cui parla Gesù. C’è una divisione cattiva operata dal demonio che ci vuole dividere da Dio e dagli altri credenti, e c’è una divisione buone operata da Gesù che ci divide dal demonio e dal mondo. Per mondo intendiamo quell’insieme di uomini che portano avanti un pensiero e uno stile di vita contrario alla parola di Dio. Quelli che fanno parte del mondo, per esempio, seguono o anche soltanto approvano l’aborto, l’eutanasia, il divorzio, la convivenza, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la contraccezione, e via dicendo. Tutte queste cose non possiamo certamente dire che sono suggerite da Dio, quel Dio che ci ha fatto conoscere Gesù Cristo. Portano invece il segno del padre della menzogna, che ci propone una felicità alternativa a quella di Dio, ma si tratta di una felicità fasulla. La felicità che ci propone Dio a volte o meglio più volte comporta la croce ma è una felicità autentica, perché viene dall’amore.
Più aderiamo a Gesù Cristo e più cresce questa divisione di cui parla, divisione dal demonio e da quelli che lo seguono, e cresce nel contempo l’ostilità del demonio e dei suoi seguaci nei nostri riguardi. Se non sperimentiamo ostilità da parte del mondo, vuol dire che non abbiamo preso una posizione netta per Gesù, e stiamo servendo due padroni. L’ostilità da parte del mondo è il segno della decisione netta per Gesù. Mentre noi siamo rispettosi nei riguardi del mondo, e non muoviamo guerra agli increduli e ai peccatori, anche se non approviamo la loro condotta, il mondo non è rispettoso nei riguardi dei cristiani e gli increduli e i peccatori muovono guerra contro di noi. Noi ci comportiamo come apprendiamo da Gesù, gli increduli e i peccatori si comportano secondo le suggestioni del demonio.
In questa lotta che ci muove il demonio e il mondo, non siamo soli. Nella prima lettura abbiamo ascoltato come il Signore, servendosi di un eunuco del re, libera dalla cisterna il profeta Geremia. Nel salmo ascoltiamo la testimonianza di un uomo che il Signore ha liberato da un pericolo mortale. Il demonio e il mondo possono farci tutta la guerra che vogliono, ma il Signore è più forte e vincerà. Noi proponiamo la parola di Gesù con sincerità e mitezza, cercando di persuadere quelli che non credono, il mondo invece manipola e inganna per spingere gli uomini a seguire i suoi prodotti. L’adesione a Gesù ci dona la pace di Dio e ci toglie la pace del mondo. La pace di Dio è quella vera, quella del mondo è quella falsa. Chiunque ha sperimentato almeno una volta la pace di Dio, derivante dal suo amore, pur di non perderla è disposto a sacrificare ogni cosa.
Da questo comprendiamo i martiri che messi dinanzi alla scelta di rinnegare Gesù e aver salva la vita, hanno preferito morire piuttosto che rinnegare Gesù. Per loro era inconcepibile una vita senza Gesù Cristo, senza lo Spirito Santo, senza l’amore di Dio, senza la sua pace. Sapevano però che donando questa vita per lui, avrebbero avuto una vita nuova con lui in eterno.
Per noi non si prospettano persecuzioni di questo tipo, almeno per il momento, quindi in tutte le ostilità che ci vengono dal demonio e dal mondo, guardiamo a Gesù e ai martiri e rincuoriamoci con le parole della seconda lettura: Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
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7 agosto 2022 – XIX Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Sap 18,6-9 — Salmo responsoriale: Sal 32 – 2Lettura: Eb 11,1-2.8-19— Vangelo: Lc 12,32-48.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
Parola del Signore.
Omelia
Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Noi cristiani siamo il piccolo gregge di Gesù Cristo, a cui il Padre si è compiaciuto di donare il suo regno. Siamo un piccolo gregge, sia numericamente in confronto agli altri uomini che non seguono Gesù, sia qualitativamente, perché formato da piccoli cioè da poveri di spirito. In un’altra occasione Gesù benedirà il Padre dicendogli: Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perchè hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perchè così hai deciso nella tua benevolenza. Queste cose di cui parla Gesù sono i misteri del regno, che riguardano la sua persona. Il Padre rivela ai piccoli queste cose, attirandoli al Figlio mediante la fede. Il regno di Dio che ci è stato donato e di cui facciamo parte mediante la fede in Gesù Cristo e il battesimo è per noi ancora parziale e a livello iniziale. Aspettiamo pertanto una pienezza e un compimento, che ci saranno donate quando il Signore Gesù verrà a prenderci.
In questo passo del vangelo Gesù ci insegna come dobbiamo vivere nell’attesa della sua venuta. Dobbiamo innanzitutto avere il cuore rivolto a Dio, distaccandoci dai beni terreni che ci distraggono da lui. Perciò ci consiglia di trasferire i beni terreni nel cielo, presso Dio, e per fare quest’operazione ci insegna a condividerli con i poveri e i bisognosi: Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma.
Dobbiamo poi stare svegli e pronti facendo la sua volontà, come ci fa intendere il paragone dei servi che attendono il padrone: Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. I servi hanno ricevuto l’ordine di vegliare per aprire il padrone appena arriva e bussa, noi dobbiamo vegliare eseguendo gli ordini del Signore.
Il compito di vegliare facendo la volontà del Signore riguarda tutto il gregge, ma in particolare coloro che il Signore ha posto come pastori a prendersi cura del suo gregge. I pastori che trascurano di fare la volontà del padrone di cui erano a conoscenza, saranno puniti più severamente di quelli che l’avranno trascurata senza conoscerla bene: A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.
Il Signore al suo ritorno se ci troverà svegli, pronti, con il cuore rivolto a Dio e intenti a fare la sua volontà, completerà in noi la sua salvezza: In verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. Il Signore già ci ha servito e ci serve donandoci la sua salvezza. Ci serve come un padre e una madre fanno con i figli. Ci servirà ancora quando ci troverà ad attenderlo, accogliendoci definitamente nel suo regno.
Le letture insistono sull’attesa del Signore. La prima lettura ricorda l’attesa del Signore da parte degli israeliti la notte in cui uscirono dall’Egitto: Il tuo popolo infatti era in attesa/della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. La seconda lettura parla dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe che vissero sulla terra promessa come pellegrini, in quanto aspettavano la patria e la città del cielo: Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Aiutiamoci in questa attesa della patria celeste con la preghiera del salmo, che ci esercita nel desiderio di affidarci a Dio e di attendere da lui ogni bene: L’anima nostra attende il Signore:/egli è nostro aiuto e nostro scudo./Su di noi sia il tuo amore, Signore,/come da te noi speriamo.
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31 luglio 2022 – XVIII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Qo 1,2; 2,21-23 — Salmo responsoriale: Sal 89 – 2Lettura: Col 3,1-5.9-11 — Vangelo: Lc 12,13-21.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Parola del Signore.
Omelia
Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità. Gesù non è venuto sulla terra per dirimere le controversie e le contese che sorgono tra di noi, ma è venuto a svelare il male che si annida nei nostri cuori e che genera tali controversie. Perciò rifiuta di farsi giudice ed arbitro in questa contesa per l’eredità, ma mostra qual è la radice da cui è nata: la cupidigia. La cupidigia è la bramosia del possesso. Gesù mette in guardia da questa malattia: Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia. Il fratello che non si accontenta della parte di eredità che gli è toccata ma cerca di accaparrarsi anche il resto, è animato dalla cupidigia. Ma anche l’altro fratello che chiede al Signore di intervenire per ottenere la parte che gli spetta non è del tutto esente dalla cupidigia. L’avvertimento del Signore infatti sembra rivolto a tutte e due i fratelli. Quello che chiedeva la sua parte non sbagliava in questo, ma sbagliava a desiderarla con cupidigia, cioè con l’idea che il possesso delle cose ci garantisce una vita sicura e serena. Alla base della cupidigia c’è questa idea che Gesù smentisce dicendo: Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede.
Gesù illustra le sue parole con una parabola. C’è quest’uomo ricco che ha incrementato ancora di più le sue ricchezze. La sua campagna ha dato un raccolto abbondante. Allora pensa tra se come potrà conservare questi beni, che gli garantiranno un futuro tranquillo. Una volta che li avrà conservati, potrà riposarsi e goderseli: Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti! Nei suoi ragionamenti non c’è un solo pensiero per Dio e per il prossimo. Pensa solo a se stesso. Nei suoi progetti gli è sfuggita una cosa importante, la morte, che è quella possibilità che annulla tutte le altre possibilità umane. Proprio mentre faceva questi progetti la morte incombeva su di lui. Dio lo chiama: Stolto. Nella Bibbia stolto è l’uomo che confida in se stesso e nei propri beni, è l’uomo che vive praticamente senza Dio.
Abbiamo ascoltato nel Salmo responsoriale una comunità in preghiera che chiedeva a Dio il dono della saggezza: Insegnaci a contare i nostri giorni/e acquisteremo un cuore saggio. Se sappiamo valutare con onestà la nostra vita, piena di fragilità e precarietà, saremo portati spontaneamente a rivolgerci a Dio. La saggezza consiste nel confidare in Dio e nella sua potenza. Gli oranti sono già saggi come dimostra la loro ultima richiesta a Dio: Rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,/l’opera delle nostre mani rendi salda. Detto in altri termini, chiedono a Dio di condurre a buon fine il loro lavoro e i loro progetti. A livello popolare, quando si esprime un desiderio o si parla di un progetto, si aggiunge sempre: Se Dio vuole. Il ricco faceva progetti confidando in se stesso, e non riesce a realizzarli perché la morte glielo impedisce, questi oranti che confidano in Dio non fanno progetti, ma qualora si trovassero a farli, chiedono a Dio di condurli a buon fine.
Gesù conclude la parabola dicendo: Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio. La stessa sorte del ricco tocca a chi imita il suo comportamento. E’ vissuto senza Dio e da egoista. Non ha avuto la possibilità di godersi i beni che aveva accumulato, proprio come dice la prima lettura, e cosa più terribile, ha perso la vita eterna. Questo è il fallimento totale per l’uomo. Se non vogliamo fare la stessa fine dobbiamo fare quello che dice Gesù, cioè arricchire presso Dio.
Ma che cosa significa arricchire presso Dio?
In un’altra occasione Gesù dice sempre a proposito della ricchezza: Accumulate per voi tesori in cielo. L’apostolo nella seconda lettura diceva: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Mediante il battesimo siamo stati uniti a Gesù Cristo morto e risorto, quindi viviamo la vita di Gesù Cristo, seduto alla destra di Dio. Su questa terra siamo di passaggio e non dobbiamo vivere come se dovessimo rimanere per sempre quaggiù. Dobbiamo perciò accumulare i nostri beni nella patria del cielo. Quest’operazione economica di trasferire i nostri beni nel cielo possiamo farla da noi stessi senza rivolgerci alla banca. Quando condividiamo i nostri beni con i poveri e i bisognosi, noi accumuliamo un capitale per noi nel cielo.
Per riuscire a fare questo, dobbiamo, come dice l’apostolo, mortificare le opere dell’uomo vecchio, di cui ci siamo spogliati nel battesimo, e assecondare le opere dell’uomo nuovo di cui ci siamo rivestiti sempre nel battesimo. L’uomo vecchio imposta la vita sull’egoismo, che non rende felici e conduce alla rovina. L’uomo nuovo imposta la vita come Gesù sull’amore, che rende felici e conduce alla salvezza eterna. Questa lotta contro l’uomo vecchio e a favore dell’uomo nuovo dobbiamo compierla ininterrottamente, nutrendoci e fidandoci della parola di Dio, desiderando con la preghiera quello che la parola di Dio ci comanda, attingendo alla grazia dei sacramenti del perdono e dell’eucaristia.
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24 luglio 2022 – XVII Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Gen 18,20-32 — Salmo responsoriale: Sal 137 – 2Lettura: Col 2,12-14— Vangelo: Lc 11,1-13.
Dal Vangelo secondo Luca
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
Parola di Dio.
Omelia
Una delle caratteristiche del ritratto che l’evangelista Luca fa di Gesù è l’atteggiamento orante. Gesù prega nei momenti decisivi della sua vita. E’ in preghiera quando riceve il battesimo da Giovanni. Passa un’intera notte in preghiera prima di scegliere i dodici apostoli. E’ in preghiera al momento della trasfigurazione. E’ in preghiera mentre è sulla croce. Il modo di pregare di Gesù dovette certamente colpire i suoi discepoli se uno di loro dopo averlo visto pregare sente il bisogno di chiedergli: Signore, insegnaci a pregare.
Gesù risponde insegnando ai discepoli la preghiera del Padre nostro. Gli evangelisti ci dicono che Gesù si rivolgeva a Dio chiamandolo: Padre. Gesù infatti si presenta come il Figlio di Dio venuto a rivelare il volto del Padre. Mediante la fede in Gesù Cristo e il battesimo anche noi diventiamo figli di Dio. L’apostolo nella seconda lettura ricordava che noi siamo stati uniti a Gesù Cristo morto e risorto. Quindi viviamo della stessa vita di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Per questo Gesù ci insegna a rivolgerci a Dio chiamandolo: Padre.
Poiché vivendo sulla terra siamo presi dalle cose necessarie alla vita terrena e potremmo distrarci dall’unica cosa necessaria, Gesù dice in un’altra occasione: Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6,33). Nelle prime domande del Padre nostro ci insegna a chiedere innanzitutto la giustizia, ovvero la salvezza di Dio e il suo regno e poi le altre cose. Con la prima domanda: Sia santificato il tuo nome, chiediamo a Dio di salvarci donandoci un cuore nuovo mediante il suo Spirito Santo, come aveva promesso per bocca di Ezechiele (Ez 36,22-28) e poi realizzerà per mezzo di Gesù morto e risorto. Quindi gli chiediamo di custodirci nella grazia battesimale. Con la seconda domanda: Venga il tuo regno, noi che già mediante la fede in Gesù Cristo facciamo parte del suo regno, chiediamo a Dio di far parte del suo regno quando si realizzerà in pienezza alla fine dei tempi.
Dopo averci insegnato a chiedere e quindi a desiderare innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, Gesù ci insegna a chiedere anche le cose per questa vita terrena, come il pane quotidiano. In questa richiesta è racchiuso tutto ciò che è necessario per condurre una vita dignitosa e decorosa. Nelle due domande finali ci insegna a chiedere il perdono dei peccati con il proposito di perdonare al nostro prossimo, e l’aiuto per resistere alle tentazioni e fuggire il peccato.
Nella preghiera del Padre nostro Gesù ci insegna a chiedere come si conviene e quindi a desiderare quei doni che Dio vuole donarci ma per farlo richiede la nostra accoglienza.
Con la parabola dei tre amici ci insegna a chiedere con invadenza, come tornerà a fare con la parabola della vedova importuna. San Agostino nella lettera a Proba spiega che questa invadenza non riguarda tanto le parole quanto il desiderio del cuore. Infatti la preghiera nella sua essenza è il desiderio della volontà di Dio. Nella preghiera del Padre nostro abbiamo un breve sintesi della volontà di Dio per noi. Se paragoniamo il desiderio della preghiera ad un fuoco, la legna che lo alimenta è la parola di Dio e le nostre parole con cui rispondiamo a Dio. L’invadenza e l’insistenza riguardano innanzitutto il desiderio, poi anche le parole con cui ci aiutiamo per tenere vivo il desiderio.
Con la similitudine del padre terreno che sa dare cose buone al proprio figlio Gesù insegna a chiedere a Dio con la fiducia di ricevere da lui cose buone: Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo. La cosa buona per eccellenza è lo Spirito Santo che Dio vuole dare a tutti quelli che glielo chiedono. In fondo le domande del Padre nostro si possono riassumere nell’unica richiesta del dono dello Spirito Santo. Infatti se lo Spirito Santo è in noi, viene santificato il nome di Dio, faremo certamente parte del regno quando si realizzerà in pienezza, non ci mancherà il pane quotidiano, riceveremo il perdono dei peccati e saremo capaci di perdonare, resisteremo alle tentazioni per vivere in pace con il Signore.
La prima lettura e il salmo ci presentano altre due forme di preghiera, l’intercessione e il ringraziamento. Abramo, il giusto, intercede presso Dio, direttamente per la salvezza dei giusti che si trovano a Sodoma, indirettamente anche per i peccatori. Dal dialogo emerge come Dio tende sempre a far prevalere la sua misericordia. Infatti per bocca di Ezechiele Dio dice: Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? (Ez 18,23). Dio sarebbe disposto ad allontanare il castigo che incombe su Sodoma se in essa trovasse degli uomini giusti. Secondo la Bibbia i giusti sono quelli che cercano Dio e confidano in lui. Purtroppo a Sodoma Dio non trova nemmeno un giusto e i suoi abitanti vengono abbandonati alle conseguenze dei loro peccati.
Nel salmo responsoriale sentiamo la voce entusiasta di un uomo che dopo aver sperimentato la salvezza del Signore vuole ringraziarlo con tutto il cuore: Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:/hai ascoltato le parole della mia bocca. Il Signore ci conceda di sperimentare nella nostra vita la sua salvezza per poterlo ringraziare con lo stesso entusiasmo di questo fedele.
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17 luglio 2022 – XVI Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Gen 18,1-10a — Salmo responsoriale: Sal 14 – 2Lettura: Col 1,24-28— Vangelo: Lc 10,38-42.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Parola del Signore.
Omelia
Il Signore viene in cerca della nostra ospitalità, come se avesse bisogno di noi, ma in realtà per donarci quello di cui abbiamo assolutamente bisogno per realizzarci nella nostra vita, se stesso. Così abbiamo ascoltato nella prima lettura che si fa ospite di Abramo e nel vangelo che si fa ospite di Marta e Maria. Queste due sorelle ci insegnano come dobbiamo accogliere Gesù che bussa alla porta del nostro cuore. Maria lo accoglie prestando attenzione alle sue parole, Marta è tutta intenta a preparargli da mangiare insieme a quelli che lo accompagnavano. Marta e Maria rappresentano i due modi con cui anche oggi possiamo accogliere Gesù, prestandogli attenzione come Maria quando ci parla mediante le Scritture, servendolo come Marta nel prossimo che incontriamo. Gesù infatti ha detto per ogni opera buona fatta al prossimo: L’avete fatta a me.
Questi due modi di accogliere Gesù non si escludono ma si integrano, nel senso che tutti siamo chiamati a fare la parte di Maria, cioè a prestare attenzione a Gesù che ci parla mediante le Scritture, tutti siamo chiamati a fare la parte di Marta, cioè a impegnarci nel servizio della carità.
Nella chiesa ci sono alcuni fratelli e sorelle, che Gesù chiama a svolgere in modo speciale o la parte di Maria o quella di Marta. Per la parte di Maria penso alle suore di clausura e ai monaci, che hanno proprio il carisma di concentrarsi nell’ascolto del Signore. Ciò non toglie che anche loro sono chiamati a svolgere il servizio della carità verso i fratelli della loro comunità. Per la parte di Marta penso a tante congregazioni religiose dedicate alle opere di misericordia. Mi viene in mente Madre Teresa di Calcutta che ha speso la sua vita a servizio dei poveri fondando una congregazione di suore dedita al servizio dei poveri. Anche quelli che sono chiamati a svolgere in modo speciale la parte di Marta, devono poi compiere pure la parte di Maria. Madre Teresa pregava cinque ore al giorno. Questi fratelli e sorelle chiamati a svolgere in modo speciale una di queste due parti, ci ricordano appunto i due modi con cui possiamo accogliere Gesù e ci insegnano come realizzarli. Dalle claustrali e dai monaci impariamo a cercare per noi ogni giorno spazi di solitudine e di silenzio per prestare attenzione a Gesù come Maria. Dagli operatori di misericordia impariamo ad andare incontro ai fratelli bisognosi, senza aspettare che siano loro a muoversi verso di noi per chiederci aiuto.
Tra questi due modi di accoglienza di Gesù, come deduciamo dalle sue stesse parole, il primato spetta alla parte di Maria: Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta.
Questi due modi di accogliere Gesù devono stare sempre insieme come i due comandamenti dell’amore a Dio e al prossimo, ma il primato spetta all’ascolto della parola di Gesù.
Infatti se un amico viene a casa nostra, lo accogliamo innanzitutto prestandogli attenzione, lo facciamo accomodare e poi pensiamo a quello che possiamo offrirgli. Ve lo immaginate se senza prestargli attenzione e senza guardarlo in faccia, subito ci dirigessimo ad offrirgli qualcosa. Potrebbe succedere che gli offriamo ciò che non gradisce. Quindi la parte di Maria che sedutasi ai piedi del Signore ascoltava la sua parola ha il primato nell’accoglienza da riservare a Gesù. Dopo viene la parte di Marta. Se uno si dedica esclusivamente alla parte di Marta rischia di perdere di vista il Signore in quello che sta facendo e nel prossimo che serve, o di non servirlo in modo a lui gradito. A Marta stava succedendo proprio questo. Infatti dice l’evangelista che era distolta per i molti servizi. Aveva incominciato il suo servizio per accogliere Gesù, ma poi si era lasciata talmente prendere dalle cose da distrarsi da lui. Gesù la rimprovera dicendole: Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Quest’unica cosa di cui abbiamo assolutamente bisogno nella vita è Gesù Cristo.
Penso ad una coppia di sposi che lavorano per sostenersi vicendevolmente e per sostenere la loro famiglia. Lui va a lavorare ogni mattina, lei rimane a casa per preparare il pranzo e sbrigare le altre faccende domestiche. Oppure entrambi vanno a lavorare e poi si dividono il lavoro a casa. Ma per compiere questo servizio di amore, non trovano mai il tempo per pregare e per venire la domenica a messa. Agendo così perdono di vista che lo scopo del loro servizio è il Signore. Lo compiono solo per se stessi e per i figli, e non sanno più vedere Gesù nei familiari che servono. Da qui poi le incomprensioni, le crisi, le frustrazioni, perché quando manca Gesù Cristo manca l’amore vero.
Per noi cristiani Gesù Cristo è la ragione della nostra esistenza e facciamo ogni cosa per lui. Il servizio della carità sganciato dall’ascolto di Gesù scade e diventa ricerca di gratificazione più che dono di amore. Inoltre non riusciamo a vedere bene le necessità e le sofferenze dei fratelli, perché è l’attenzione al Signore che ci apre gli occhi sul prossimo.
Da questo comprendiamo che l’ascolto della parola di Gesù ha il primato e il servizio della carità per essere autentico servizio a lui deve scaturire dall’attenzione che gli prestiamo.
L’attenzione a Gesù Cristo nella seconda lettura di oggi ci fa comprendere che la prima e più grande opera di carità che dobbiamo fare al prossimo è quella di condurlo a lui. L’apostolo Paolo aveva compreso tutto questo e diceva che era pronto farsi tutto a tutti pur di guadagnare a Gesù Cristo qualcuno.
Il Signore oggi bussa alla porta della nostra vita perché lo accogliamo prestando attenzione alla sua parola e servendolo nel prossimo. Se lo accogliamo, prendendo sul serio la sua parola e servendolo nel prossimo, cresceremo sempre più nell’amore fino alla perfezione, e così un giorno sarà lui ad accoglierci nella sua casa.
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10 luglio 2022 – XV Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Dt 30,10-14 — Salmo responsoriale: Sal 18 – 2Lettura: Col 1,15-20— Vangelo: Lc 10,25-37.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Parola del Signore.
Omelia
Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? Gesù come fa con il giovane ricco che gli aveva posto la stessa domanda lo rimanda alla legge di Dio contenuta nell’Antico Testamento: Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? Gesù infatti non è venuto ad abolire la legge o i profeti ma a dare compimento. Il dottore della legge risponde riassumendo tutta le legge in due comandamenti, quello dell’amore a Dio e quello dell’amore al prossimo: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso. In un’altra occasione è Gesù stesso a riassumere la legge nel duplice comandamento dell’amore. Questi due comandamenti sono indissolubili, nel senso che l’amore di Dio quando è autentico porta ad amare il prossimo e l’amore del prossimo per essere autentico deve scaturire dall’amore di Dio. Gesù approva la risposta del dottore della legge dicendogli: Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai. Dunque per ereditare la vita eterna, cioè per essere partecipi della stessa vita di Dio che è eterna, dobbiamo osservare il duplice comandamento dell’amore. A questo punto il dottore della legge pone a Gesù una questione dibattuta nelle scuole rabbiniche del tempo: E chi è mio prossimo? Il prossimo veniva identificato dai rabbini con il connazionale. Quindi venivano esclusi gli stranieri. Gesù risponde con la parabola del buon samaritano da cui emerge chiaramente che il prossimo è ogni uomo che incontriamo e ha bisogno del nostro aiuto. Nel racconto il sacerdote e il levita fanno una pessima figura, perché, pur conoscendo la legge di Dio in quanto la insegnavano agli altri, non si fermano a prestare soccorso al povero malcapitato. Il samaritano invece che aveva più di un motivo per non fermarsi a prestare soccorso a quell’uomo che era un giudeo, in quanto tra samaritani e giudei non correva buon sangue, vedendolo prova compassione per lui e gli presta soccorso. Il samaritano con il suo comportamento caritatevole diventa il modello da seguire: Va’ e anche tu fa’ così.
La legge di Dio come dice la prima lettura è iscritta nel cuore dell’uomo: Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore. Ma poiché a causa del peccato l’uomo potremmo non avere una percezione chiara di essa, Dio ha dato anche la legge scritta contenuta nella Bibbia. Nel salmo responsoriale abbiamo ascoltato l’elogio della legge di Dio che è perfetta, stabile, retta, luminosa, pura, fedele, e dona a chi la osserva vita, saggezza, gioia, luce. La legge di Dio dunque è buona, ma a causa del peccato noi siamo incapaci di metterla in pratica tutta e in ogni momento. Perché il sacerdote e il levita non mettono in pratica la legge di Dio che conoscono e insegnano agli altri? A causa del peccato.
Per questo Dio ha mandato Gesù Cristo sulla terra. Nella seconda lettura Gesù viene definito immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione e primogenito di coloro che risuscitano dai morti. In altri termini Dio si rivela e compie ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo. Gesù Cristo è venuto a liberarci dal peccato, a mostrarci con la sua vita come bisogna amare Dio e il prossimo e a donarci la grazia dello Spirito Santo, perché la legge di Dio cessi di esser un peso per diventare un’esigenza di vita. Attingendo la grazia dello Spirito Santo nei sacramenti del perdono e dell’eucaristia, il nostro cuore ferito e chiuso a Dio viene guarito e trasformato fino al punto di desiderare quello che Dio comanda. E’ un cammino lungo e faticoso, fatto di passi indietro e di cadute, ma se noi perseveriamo, vedremo la potenza di Dio che opera in noi e sperimenteremo la gioia di amare come Gesù. Per i Padri della chiesa il buon samaritano in realtà è Gesù Cristo stesso che si è chinato su di noi vittima del demonio, per salvarci.
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3 luglio 2022 – XIV Domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1Lettura: Is 66,10-14c — Salmo responsoriale: Sal 65 – 2Lettura: Gal 6,14-18— Vangelo: Lc 10,1-12.17-20.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Parola del Signore.
Omelia
Domenica scorsa Gesù ci invitava a seguirlo con una decisione ferma e senza tentennamenti, oggi ci manda a preparare gli uomini all’incontro con lui: Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Questi settantadue rappresentano tutta la chiesa e ciascuno di noi, mandati da Gesù per essere pescatori di uomini, cioè per portare gli uomini a lui. Tutti noi cristiani siamo prima discepoli e poi apostoli. Come discepoli siamo chiamati a stare con Gesù per imparare da lui, come apostoli siamo mandati da Gesù per preparare gli uomini all’incontro con lui. Questa missione dei settantadue è come un tirocinio alla grande missione che sarebbe iniziata dopo la morte e risurrezione di Gesù.
Nel momento di inviare i discepoli Gesù fa una constatazione: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Gli uomini disposti a credere in lui sono come un immenso campo di grano pronto per la mietitura, quindi una moltitudine immensa di persone. Quando Gesù faceva questa constatazione il gruppo attorno a lui era costituito da un centinaio di persone, ma con la missione dopo la risurrezione sarebbe incominciato il grande raduno degli uomini attorno a lui nella chiesa sparsa su tutta la terra. Con la sua prescienza divina Gesù vedeva quello che stava per accadere. Anche i profeti dell’Antico Testamento, ispirati da Dio, avevano preannunciato questo raduno dei popoli intorno al Dio d’Israele. Nella prima lettura, il profeta, o meglio Dio per bocca del profeta, diceva che avrebbe fatto scorrere come un torrente in piena verso Gerusalemme i popoli della terra. Gerusalemme cessa di essere un luogo geografico per diventare immagine della chiesa, in cui si radunano quelli che credono in Gesù e credendo in lui diventano figli di Dio. Per questa messe abbondante, una moltitudine immensa di uomini disposti a credere in Gesù, gli operai sono pochi, sono pochi i cristiani disponibili a condurli a Gesù Cristo.
Il rimedio per questa penuria di operai è la preghiera a Dio, signore della messe: Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Dio vuole che tutti i discepoli del Figlio suo siano anche apostoli nel mondo, ma, come è nel suo stile, non impone la sua volontà. Con la preghiera ci accordiamo con la sua volontà e gli chiediamo di renderci apostoli del Figlio suo, magari con le parole di Isaia: Eccomi, Signore, manda me. Gli chiediamo di rendere tutti i nostri fratelli nella fede apostoli del Figlio suo. Con la cresima ci siamo assunti questo impegno di rendere testimonianza a Gesù nel mondo, per portare a lui quelli che non l’hanno mai conosciuto e per riportare a lui quelli che dopo averlo conosciuto, forse solo per sentito dire, se ne sono poi allontanati.
In che modo dobbiamo rendere testimonianza a Gesù Cristo? Come dobbiamo comportarci nella missione? Che cosa dobbiamo annunciare? Gesù nel vangelo ci dà delle indicazioni sul comportamento da tenere. Le parole di Gesù non vanno prese alla lettera ma a senso. Gesù ci manda in un mondo in cui incontreremo molti che ci accolgono e molti che ci sono ostili. Costoro sono i lupi, quelli che essendo chiusi a Dio perseguitato i discepoli di Gesù. Noi siamo chiamati a somigliare a Gesù, l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo: Vi mando come agnelli in mezzo a lupi. Gesù non ha imposto a nessuno di seguirlo. Al giovane ricco dice: Se vuoi…Non ha reso a nessuno male per male, ma ha vinto il male con l’amore. Così dobbiamo comportarci anche noi. Poi non dobbiamo essere attaccati alle cose del mondo e dobbiamo condurre una vita ridotta all’essenziale, per essere credibili quando diciamo che bisogna mettere al primo posto Dio e poi tutto il resto.
Dal salmista apprendiamo che nella predicazione del vangelo dobbiamo rendere testimonianza alle opere salvifiche di Dio per tutti gli uomini e poi a quello che Dio ha fatto specificamente per noi: Venite e vedete le opere di Dio/…Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,/ e narrerò quanto per me ha fatto. Il salmista, da israelita, annunciava l’avvenimento dell’esodo, in cui Dio aprì al suo popolo una via in mezzo al mar Rosso. Le opere salvifiche di Dio nella storia culmina nell’incarnazione, passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Dobbiamo annunciare questo agli uomini. Dobbiamo annunciare che Dio si è fatto uomo, ci ha fatto conoscere se stesso in Gesù Cristo, che è morto per noi sulla croce per liberarci dal demonio, dal peccato e dalla morte, ed è risorto per donarci una vita nuova. Mediante Gesù Cristo il regno di Dio si diffonde in mezzo a noi. A questa testimonianza sulle opere salvifiche di Dio dobbiamo aggiungere la nostra testimonianza personale, quello che Dio ha fatto per noi. Ognuno di Dio, può testimoniare l’esperienza della salvezza di Dio nella propria vita.
Se obbediamo al Signore, se ci comportiamo come suoi inviati e facciamo solo quello che vuole lui, non ciò che vogliamo noi, allora il nostro apostolato avrà successo, nel senso che riusciremo a trovare e condurre a lui gli uomini di quella messe abbondante, che incontreremo. Non riusciremo invece a convincere i lupi, anche se costoro potranno sempre convertirsi.
I discepoli ritornano pieni di gioia per il successo ottenuto: Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome. Gesù spiega che non deve essere questo il motivo principale della gioia: Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. Dobbiamo rallegrarci perché Dio ci ha chiamati a conoscerlo per mezzo di Gesù Cristo nella sua chiesa. Nella preghiera del mattino diciamo: Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte. Ecco il motivo della gioia: Dio ci ha chiamati a conoscerlo, ad essere suoi figli, a vivere in comunione con lui. E perché noi si e molti altri no? Perché con il nostro apostolato lo facciamo conoscere a quelli che lo ignorano. Da qui la necessità e l’urgenza dell’apostolato cristiano.
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27 febbraio 2022 – VIII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Sir 27,4-7 – Salmo responsoriale: Sal 91 – 2lettura: 1Cor 15,54-58 – Vangelo: Lc 6,39-45.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‹Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio›, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.
Parola del Signore
Omelia
Nel vangelo di oggi Gesù, con l’immagine del cieco che guida un altro cieco, e dell’albero che si riconosce dal frutto, ci mette in guardia dai cattivi maestri che sarebbero sorti nella sua chiesa.
Nella chiesa il compito di insegnare spetta principalmente ai pastori, papa, vescovi, sacerdoti, poi anche ai diaconi. A tutti costoro si affiancano i catechisti che insegnano ai fanciulli e ai ragazzi che compiono il cammino della formazione cristiana.
I maestri nella chiesa devono parlare e agire come l’unico maestro, Gesù Cristo, il quale ha detto: Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
In che modo dunque tutti quelli che Gesù pone come maestri per gli altri fratelli possono diventare ciechi che guidano altri ciechi?
Questo può avvenire principalmente in due modi: o chi insegna la parola di Gesù poi non la vive, e quindi la smentisce con la sua vita, o chi insegna la parola di Gesù, la adultera mescolandola con le proprie opinioni. Un maestro che si comporta così è un cieco che guida un altro cieco.
Infatti se parla bene ma poi razzola male, è accecato dai suoi peccati, e chi lo segue imitandolo, va incontro come lui ad un giudizio di condanna. Facciamo un esempio. Un sacerdote insegna la parola di Gesù che parla di perdonare i nemici. Poi però si mostra vendicativo con i suoi parrocchiani con cui ha avuto dei contrasti. E’ un cieco che guida altri ciechi. Gli altri ciechi sono quelli che lo imitano nel comportamento vendicativo.
Se poi sembra che si comporti bene, ma adultera la parola di Gesù, non insegnandola in modo genuino, è accecato dalla superbia e dalla presunzione, e chi lo segue, obbedendo ai suoi insegnamenti sbagliati, va incontro con lui ad un giudizio di condanna. Per esempio, una coppia di fidanzati vanno a convivere e domandano ad un sacerdote se nella loro situazione possono fare la comunione. Il sacerdote, mettendo da parte la parola di Gesù e adeguandosi alla mentalità corrente secondo cui in questo non c’è nulla di male, dice loro che la possono fare. E’ un cieco che guida altri ciechi. In questo caso gli altri ciechi sono i due conviventi che seguono il suo suggerimento.
Se un cieco guidasse altri ciechi, succederebbe che cadrebbero in fossa. Nell’ambito della chiesa succede che vanno incontro tutti e due ad un giudizio di condanna.
Gesù dice che i cattivi maestri come gli alberi si riconoscono dai loro frutti. Il cattivo maestro che insegna bene e razzola male dalle sue azioni che contraddicono la parola di Gesù, il cattivo maestro che adultera l’insegnamento di Gesù dalle sue parole che non sono conformi alle parole di Gesù.
Oggi i cattivi maestri si sono moltiplicati a dismisura all’interno della chiesa, perché moltissimi fedeli, avendo rinunciato ad approfondire la fede, non conoscono più la parola di Gesù su diversi punti.
Prendiamo spunto dal vangelo di domenica scorsa e dalla seconda lettura di oggi per sottolineare i due punti fondamentali dell’insegnamento di Gesù, che scaturiscono direttamente dalla sua morte e risurrezione. Nel vangelo di domenica scorsa Gesù ci insegnava l’amore perfetto che non rende male per male, che vince il male con il bene, che pur di non fare il male lo subisce. Quest’amore Gesù lo ha vissuto andando incontro alla morte di croce. E ci invita a seguirlo sulla via della croce, cioè dell’amore perfetto, che è tale perché costa sacrificio. In accordo con quest’amore Gesù ci insegnava ad amare i nemici. Ma possiamo portare mille altri esempi che scaturiscono da quest’amore. Il perdono reciproco tra gli sposi, l’accettazione di un figlio con un handicap, ecc.
Se un maestro nella chiesa cerca di attenuare quest’amore, di nascondere le sue esigenze, è un falso maestro. Per esempio, durante le persecuzioni dei primi secoli contro i cristiani, c’erano alcuni maestri nella chiesa che dicevano che non c’era nulla di male se un cristiano arrestato, per avere salva la vita, avesse rinnegato Gesù Cristo con la bocca ma non con il cuore. Altri invece ricordavano le parole di Gesù che al riguardo sono chiare: Chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Se i cristiani avessero seguito i primi maestri, non ci sarebbero stati i martiri. In questo caso i falsi maestri erano tali perché insegnavo a sfuggire la croce, a non seguire Gesù sulla via della croce.
Nell seconda lettura di oggi si parla della nostra partecipazione alla risurrezione di Gesù. Non partecipiamo solo alla sua croce, amando come lui, visto che il suo amore è così impegnativo, e costa sacrificio, ma partecipiamo anche alla sua risurrezione. Sin da subito con la nostra anima che riceve la vita eterna. Nell’ultimo giorno anche con i nostri corpi che risorgeranno per la vita eterna. Se un maestro nella chiesa, sottacesse il discorso sull’altra vita, e si soffermasse solo dei benefici che riceviamo da Gesù Cristo su questa terra, sarebbe un cattivo maestro.
Dunque i veri maestri si distinguono dai falsi perché presentano il comandamento dell’amore senza attenuarlo, e parlano della vita eterna dove le nostre croci accettate con amore saranno abbondantemente ricompensate.
I cattivi maestri in quanto tali non hanno autorevolezza presso i cristiani autentici. Quindi se volessero correggere qualcuno che sbaglia, farebbero come uno che vuole togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello e non s’avvede di avere nel proprio occhio una trave: Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?
Gesù dunque consiglia ai cattivi maestri di convertirsi e allora ci vedranno bene per poter correggere e aiutare chi sbaglia: Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Prima convertiti, cambia vita, poni le tue radici nel Signore, come il giusto di cui parla il salmo, che crescerà come cedro del Libano, piantato nella casa del Signore, e poi ci vedrai bene per correggere il fratello.
Pregate per noi fratelli e sorelle, per noi a cui il Signore ha affidato questo compito così difficile di insegnare agli altri. Preghiamo gli uni per gli altri, perché rimaniamo saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la nostra fatica non è vana nel Signore.
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20 febbraio 2022 – VII domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23 – Salmo responsoriale: Sal 102 – 2lettura: 1Cor 15,45-49 – Vangelo: Lc 6,27-38.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non richiederle indietro.
E come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso .
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”.
Parola del Signore
Omelia
Domenica scorsa Gesù ci ha insegnato la via della felicità. Per essere felici dobbiamo confidare in Dio. E siccome Dio si è rivelato in Gesù, dobbiamo confidare in lui. La fiducia in Gesù è soltanto l’inizio di questa via che conduce alla felicità. Nel vangelo di oggi Gesù ci insegna come avanziamo nella via della felicità. Per essere felici dobbiamo amare come Dio: Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Nel Salmo responsoriale abbiamo ascoltato:
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero
verso quelli che lo temono.
Dio ci ama come un padre ama i suoi figli. In un altro passo Dio dice di amarci come una mamma. In realtà ci ama infinitamente di più dei nostri genitori. Questo Dio, che nessuno ha mai visto, si è rivelato in Gesù Cristo. Nel vangelo di oggi Gesù ci insegna ad amare come ama lui. Ci insegna ad amare i nemici: Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. Sulla croce Gesù ha perdonato i suoi nemici e ha pregato per loro, scusandoli: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.
Ci insegna a non reagire alla violenza con altrettanta violenza: A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non richiederle indietro. Quando i suoi nemici durante la passione lo percuotevano e lo sfidavano dicendogli di scendere dalla croce, Gesù è rimasto in silenzio a subire la violenza pur di non vendicarsi. Se infatti fosse sceso dalla croce, avrebbe dovuto punirli. Ci insegna ad amare senza secondo fini, ma gratuitamente: Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. Gesù infatti ama tutti gli uomini, a prescindere se ricambieranno o meno il suo amore.
Gesù ci insegna un amore perfetto, che non si lascia vincere dal male, ma vince il male con il bene, che pur di non cedere al male è disposto a subirlo, un amore donato gratuitamente. Quest’amore va al di là delle nostre forze. Nella prima lettura abbiamo ascoltato che Davide avendo la possibilità di uccidere il suo nemico, lo perdona e non lo uccide. Ma Gesù ci chiede più del semplice perdono, ci chiede di amare, di fare del bene, di pregare per i nemici. L’amore che Gesù ci insegna è quello di Dio. Solo se sperimentiamo quest’amore nella nostra vita, impariamo e abbiamo la forza di donarlo al prossimo, anche ai nemici.
La seconda lettura ci ricorda che noi abbiamo ricevuto l’immagine di Gesù nel battesimo, e siamo diventati figli di Dio. Quando siamo nati eravamo simili ad Adamo, con il battesimo siamo stati assimilati a Gesù: E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste. In noi vive lo Spirito Santo, che diffonde nei nostri cuori l’amore di Dio. Nei sacramenti del perdono e dell’eucaristia riceviamo in continuazione lo Spirito Santo.
Dobbiamo prepararci a ricevere lo Spirito Santo convincendoci che le parole di Gesù ci indicano la via della felicità, che è giusto quello che dice Gesù e non quello che insegna la mentalità del mondo. Secondo la mentalità del mondo, se tu potendoti vendicare non lo fai, sei uno stupido. Se noi siamo convinti che è giusto quello che ci insegna Gesù, dobbiamo poi chiedergli con insistenza, come la vedova importuna, che ci aiuti ad amare come ama lui. Così quando poi riceviamo nei sacramenti lo Spirito Santo ci trova disponibili e crea in noi un cuore nuovo.
Quando noi amiamo come ama Dio, come ama Gesù, sperimentiamo in noi la felicità. La felicità è proporzionale all’amore che doniamo. Più il nostro amore è perfetto, come l’amore di Dio, più siamo felici.
Infine Gesù dice che se noi siamo misericordiosi con il prossimo, amandolo come lui ci ha insegnato, Dio sarà misericordioso con noi quando ci giudicherà: Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio. Questa misura buona, pigiata, colma e traboccante che ci sarà data da Dio, perché il soggetto sottinteso di queste frasi è Dio, riguarda la ricompensa eterna, la felicità perfetta e senza fine del paradiso.
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13 febbraio 2022 – VI domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Ger 17,5-8 Salmo responsoriale: Sal 1 – 2lettura: 1Cor 15,12.16-20 – Vangelo: Lc 6,17.20-26.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Parola del Signore
Omelia
Tutti gli uomini desiderano essere felici. Magari tra gli uomini ci saranno divergenze su cosa possa rendere felici, per cui uno pensa di essere felice dandosi ai piaceri della vita, un altro accumulando beni, un altro ancora cercando la notorietà e il successo. Su una cosa tutti gli uomini sono concordi e cioè di voler essere felici. Nella liturgia di oggi le letture della parola di Dio ci vogliono insegnare la via per ottenere la felicità. Prendiamo in considerazione la prima lettura, il salmo e il vangelo. Mettiamo da parte per un momento la seconda lettura. Nella prima lettura, nel salmo e nel vangelo si parla della felicità. Nella prima lettura ascoltiamo: Benedetto l’uomo che confida nel Signore; nel salmo: Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi; nel vangelo abbiamo ascoltato le beatitudini pronunciate da Gesù che ripete: Beati voi…beati voi…beati voi… Se vogliamo la parola di Dio ci presenta due vie, quella della felicità, che dobbiamo seguire se vogliamo essere felici, e la via dell’infelicità che al contrario dobbiamo evitare per non fallire lo scopo della nostra vita.
Nella prima lettura il profeta Geremia presenta da una parte l’uomo che confida nell’uomo, allontanando il suo cuore dal Signore, e dall’altra l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. L’uomo che confida nell’uomo, pere realizzarsi nella vita conta sulle proprie forze o su quelle degli altri uomini, oppure sui mezzi a sua disposizione. Nello stesso tempo allontana il cuore dal Signore, non spera alcuna cosa dal Signore. Quindi vive come se Dio non esistesse, sia che arrivi a negare l’esistenza di Dio, sia che l’ammetta. L’uomo che confida nel Signore per realizzarsi spera nell’aiuto del Signore, anche se fa tutto quello che è in suo potere e non disdegna l’aiuto degli altri. Confida nel Signore perché crede che per riuscire c’è bisogno dell’aiuto. Sono due modi diversi di impostare la vita, che hanno anche esiti diversi. L’uomo che confida nell’uomo è maledetto, cioè è destinato al fallimento e alla morte, come un tamarisco nella steppa, in una zona desertica è destinato a seccare. L’uomo che confida nel Signore è benedetto, cioè destinato alla riuscita e alla vita, come un albero piantato lungo un corso d’acqua.
Il Salmo ci fa capire meglio come si sviluppano questi due modi diversi di impostare la vita. Il salmo è il salmo I che apre il libro dei salmi e incomincia con la frase: Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi. Dice San Gregorio di Nissa che con il libro dei salmi Dio ci vuole insegnare la via della felicità, ecco perché il primo salmo che incomincia con la frase: Beato l’uomo. L’uomo che confida nell’uomo e allontana il suo cuore dal Signore, non si fa scrupolo di trasgredire i suoi comandamenti, arrivando persino a farsi beffe di Dio e di quelli che credono. Tali sono gli arroganti di cui parla il salmo. Invece l’uomo che confida nel Signore trova la sua gioia nella legge del Signore, di cui si nutre meditandola giorno e notte. Si configurano due vie, quella dei giusti, che confidano nel Signore e quella dei malvagi, che confidano in se stessi. La via dei malvagi va in rovina, perché somigliano alla pula che il vento disperde, invece la via dei giusti va verso la vita, perché sono come alberi piantati lungo corsi d’acqua.
Nel vangelo Gesù si rivolge a tutti, ma in particolare ai suoi discepoli. Infatti leggiamo: Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva. I discepoli, a differenza delle folle, hanno preso la decisione di seguirlo, sono interessati al suo insegnamento, e in privato gli chiedono ulteriori spiegazioni. E’ quello che dobbiamo fare anche noi. Quando ascoltiamo la parola di Gesù in chiesa, pii a casa dobbiamo ritornarci, per cercare di comprenderla meglio.
Gesù pronuncia quattro beatitudini e quattro guai. Beati voi, poveri… voi, che ora avete fame…voi, che ora piangete…voi, quando gli uomini vi odieranno… a causa del Figlio dell’uomo.
Pronuncia poi dei guai, cioè degli avvertimenti: Ma guai a voi, ricchi… Guai a voi, che ora siete sazi…Guai a voi, che ora ridete…Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Perché Gesù proclama beati quelli che sono in difficoltà e avverte ammonendo quelli che sono nella prosperità? Quelli che sono in difficoltà sono portati ad aprirsi a Dio, a confidare in lui, al contrario quelli che sono nel benessere sono portati a chiudersi a Dio e a confidare in se stessi. Non è dunque la povertà che è un bene, ma l’atteggiamento della fiducia in Dio che la povertà fa nascere. Non è la ricchezza un male, ma l’allontanamento dal Signore che la ricchezza può favorire. Da tutto quello che stiamo leggendo e spiegando comprendiamo che la felicità dipende da Dio. Perché chi confida in lui è benedetto, e chi confida nell’uomo è maledetto? Perché chi confida nel Signore, confida nella sorgente della vita, chi confida nell’uomo confida nella carne destinata alla corruzione. Perché la via dei malvagi va in rovina e quella dei giusti è nella serenità? Perché il Signore veglia sul cammino dei giusti, invece la via dei malvagi è senza Dio, da cui si sono allontanati. Perché i poveri sono beati e i ricchi sono ammoniti? Perché i primi cercano Dio e ottengono la sua amicizia, i secondi si dimenticano di Dio e si privano della sua amicizia.
Dunque la nostra felicità dipende dalla comunione con il Signore. Stando con lui noi siamo felici per quanto è possibile esserlo su questa terra, dove la felicità non è mai allo stato puro ma è sempre mescolata con la tristezza e il pianto.
A questo punto prendiamo la seconda lettura che avevamo messo da parte. L’apostolo Paolo rimprovera quei cristiani di Corinto che negavano la risurrezione dei morti. Credevano in Gesù ma pensavano che con la morte finisce tutto. Quindi confidavano nel Signore solo per questa vita. Per cui l’apostolo dice: Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Il cristiano per seguire Gesù fa tante rinunce, e la ricompensa a queste rinunce spesso non è ben visibile in questa vita. Se con la morte finisce tutto, non vale la pena seguire Gesù. Ora noi sappiamo che Gesù è risorto e noi risorgiamo con lui, per questo la nostra fiducia in lui non riguarda solo questa vita che finisce ma riguarda soprattutto l’altra vita che non avrà mai fine e in cui parteciperemo in pienezza della sua felicità.
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6 febbraio 2022 – V domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 6,1-2a.3-8 Salmo responsoriale: Sal 137 – 2lettura: 1Cor 15,1-11 – Vangelo: Lc 5,1-11.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Parola del Signore
Omelia
Quando leggiamo con attenzione e pazienza un singolo passo della parola di Dio, ne ricaviamo tanti insegnamenti, poiché la parola di Dio è come una sorgente inesauribile. Quando, però, mettiamo a confronto i brani della parola di Dio che ci propone la liturgia, ci accorgiamo che è più difficile ricavarne un insegnamento unitario. La maggior parte di questi abbinamenti si sono formati nel corso del tempo nella liturgia della chiesa. Trovare il messaggio che questi brani unitamente ci vogliono comunicare non è sempre facile. Richiede pazienza e attenzione, senza fretta, perché la parola di Dio, come diceva Origene, si nasconde al lettore frettoloso.
Per il momento mettiamo da parte il salmo e concentriamoci sulle tre letture. Confrontandole vediamo che tutte e tre presentano un identico argomento: la manifestazione di Dio.
Nella prima lettura Dio si manifesta in visione al profeta Isaia, nella seconda lettura il Figlio di Dio Gesù Cristo appare dopo la sua risurrezione a Paolo, nel vangelo Gesù manifesta a Pietro la sua gloria divina con il miracolo della pesca. Guardiamo queste tre letture in ordine cronologico, iniziando con la manifestazione divina ad Isaia, poi quella a Pietro nel vangelo e infine quella a Paolo.
Nella prima lettura Dio appare in visione al profeta Isaia. Il profeta vede Dio seduto su un trono altissimo. Ma, attenzione, il profeta non dice mai di vedere il volto di Dio. L’unico particolare della visione riguarda i lembi del manto di Dio che riempivano il tempio. Da questo particolare possiamo farci un’idea della figura maestosa, che gli appare. Dinanzi a questa visione il profeta scopre di essere peccatore:
Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito.
Il profeta vede localizzato tutto il suo peccato e il peccato del popolo sulle labbra. Nella cultura degli israeliti del tempo si dava grande peso ai peccati legati alla parola. Con la parola si dicono menzogne, calunnie, false testimonianze, ingiurie. Ma anche il peccato per eccellenza, l’idolatria, era legato alla parola e alle labbra, poiché si invocavano gli idoli e si mandavano baci agli idoli con le labbra. E’ chiaro che i peccati non sono solo quelli legati alla parola, ma il profeta vede il peccato attaccato alle sue labbra e a quelle del popolo.
Nel vangelo Pietro sperimenta la potenza della parola di Gesù. Insieme ai compagni ha pescato tutta la notte con le reti e non ha preso nulla. La notte è il momento giusto per pescare con le reti. Ora Gesù in pieno giorno gli ordina di prendere il largo e di calare le reti per la pesca. E’ un’assurdità. Pietro da pescatore provetto lo sa bene e lo fa notare con delicatezza a Gesù: Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla. Nonostante ciò Pietro, come hanno fatto i servi a Cana, mette da parte la sua esperienza e le sue cognizioni, e obbedisce a Gesù: ma sulla tua parola getterò le reti. Lo faccio perché me lo dici tu. In questo modo mostra di fidarsi più di Gesù che di se stesso. E’ l’atteggiamento della fede, che troviamo in tutti gli uomini graditi a Dio presenti nella Bibbia. Poiché si è fidato della parola di Gesù, Pietro sperimenta la potenza di questa parola: Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Pietro da Israelita ha imparato dalla Bibbia una cosa fondamentale, che cioè la parola di Dio è sempre efficace. Dio dice e crea tutte le cose, pronunzia una parola e si realizza. Quindi vedendo l’efficacia della parola di Gesù, comprende che è parola di Dio, che Dio è presente in Gesù. Dinanzi a questa manifestazione di Dio in Gesù Cristo, Pietro scopre di essere peccatore e si sente indegno di stare con lui: Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Da notare che prima l’ha chiamato maestro, ora lo chiama Signore, il titolo che la Bibbia riserva al Dio d’Israele.
Nella seconda lettura l’apostolo Paolo richiama ai cristiani di Corinto il contenuto essenziale del vangelo che si riassume nella morte e risurrezione di Gesù:
Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
e che fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture.
Paolo elenca le apparizioni di Gesù risorto: A Pietro e quindi ai Dodici, a più di cinquecento fratelli in una sola volta, a Giacomo e gli altri apostoli, infine anche a lui. Allude sicuramente all’apparizione di Gesù sulla via di Damasco. Paolo si stava recando a Damasco per perseguitare i cristiani del posto. Mentre si stava avvicinando alla città, verso mezzogiorno una luce sfolgorante lo abbagliò e cadde da cavallo, mentre una voce gli diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Frastornato dalla caduta trovò la forza di domandare: Chi sei? E la voce: Sono Gesù di Nazareth che tu perseguiti. L’apparizione di Gesù risorto fa scoprire a Paolo il suo peccato: apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.
Dunque in tutte e tre le manifestazioni di Dio gli uomini coinvolti scoprono il proprio peccato. Il peccato è alla radice il distacco da Dio e di pensare la vita secondo la propria volontà.
Tutti gli altri peccati sono una conseguenza di ciò, come i frutti dell’albero. Se tagli la radice, i frutti non nascono più. Ma da soli siamo incapaci di ristabilire la comunione con Dio e di impostare la nostra vita secondo la sua volontà. Dio perciò nella prima lettura, dopo aver fatto prendere coscienza al profeta Isaia del suo peccato, manda un angelo a purificarlo con un carbone ardente preso dal fuoco dell’altare. I Padri della chiesa, Basilio di Cesarea e Cirillo di Alessandria, leggono questo carbone ardente come un’immagine di Gesù Cristo. Il carbone ardente è Gesù che ha unito il fuoco della divinità al legno dell’umanità facendosi uomo.
Nel vangelo e nella seconda lettura non si dice che Gesù ha purificato Pietro e Paolo, ma è sottinteso. Gesù infatti, dice Paolo, è morto per i nostri peccati. Pietro e Paolo sono tra i primi che hanno usufruito della salvezza portata da Gesù Cristo.
Adesso dobbiamo richiamare il salmo che avevamo messo in stand by:
Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Come i re della terra ascolteranno la parola del Signore?
Nella prima lettura abbiamo ascoltato il Signore che si domandava: Chi manderò e chi andrà per noi? E il profeta risponde: Eccomi, Signore , manda me. Il profeta viene mandato da Dio al suo popolo, gli israeliti. Nel vangelo Gesù dice a Pietro: Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini. Pietro dovrà pescare gli uomini con la parola di Dio, incominciando dagli israeliti. La stessa cosa fa Paolo, apostolo delle genti. Il Signore manda quelli che hanno sperimentato la sua presenza, hanno scoperto il proprio peccato e sono stati purificati ad annunciare la sua parola agli altri uomini perché possano fare l’esperienza di Dio, che si è rivelato in Gesù Cristo.
Grazie alla predicazione del vangelo, i re della terra, che rappresentano qui non solo se stessi, ma anche i loro popoli, dopo che avranno ascoltato la parola di Dio e avranno creduto, sperimenteranno nella propria vita la potenza della parola di Gesù che libera dal peccato e assimila a lui, e così ringrazieranno il Signore per la sua salvezza. Da tutto ciò derivano alcune conseguenze pratiche per noi. Abbiamo bisogno di sperimentare la presenza del Signore nella nostra vita, ma in che modo? La possiamo sperimentare mediante la sua parola, fidandoci della sua parola, coma ha fatto Pietro, soprattutto quando la sua parola sembra comandarci qualcosa che va contro l’esperienza che stiamo facendo, e per seguirla dobbiamo mettere da parte la nostra intelligenza. Proprio allora come Pietro, dobbiamo obbedire fidandoci più della parola di Dio che di noi stessi, e allora sperimenteremo la sua potenza. L’esperienza del Signore nella nostra vita ci fa prendere coscienza del peccato che è in noi e di cui solo il Signore può purificarci. Dobbiamo poi annunciare il vangelo ai pagani del nostro tempo e ai cristiani che hanno abbandonato il cammino della fede da anni. Il Signore ci manda come mandò il profeta Isaia, e come mandò Pietro e Paolo. Il Signore vuole la salvezza di tutti e perciò vuole che tutti lo conoscano, scoprano il proprio peccato, credano in Gesù e siano salvati.
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30 gennaio 2022 – IV domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Ger 1,4-5.17-19- Salmo responsoriale: Sal 70 – 2lettura: 1Cor 12,31-13,13 – Vangelo: Lc 4,21-30.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Parola del Signore.
Omelia
I compaesani di Gesù in un primo momento sembrano accoglierlo e ammirarlo, ma in realtà non credono in lui. Vorrebbero piuttosto vedergli fare qualche miracolo, che dia conferma a quello che ha detto poco prima: Lo Spirito del Signore è sopra di me… Gesù che scruta i cuori svela la loro incredulità: In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. E lascia intendere che si comporterà con loro come Elia ed Eliseo che hanno fatto i loro miracoli non agli israeliti ma ai pagani. I compaesani allora vengono allo scoperto e non rivelano solo la loro incredulità ma anche la loro ostilità nei suoi riguardi: Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
La fede nasce dall’ascolto della parola di Gesù, che è parola di Dio, in coloro che già sono disponibili a Dio nella loro coscienza. Quelli che sono aperti a Dio nella loro coscienza, quando sentono la parola di Gesù l’accolgono e credono. I miracoli non riescono a suscitare la fede se la coscienza è chiusa a Dio e non presta ascolto alla sua parola. I miracoli possono far sbocciare la fede quando già sta per nascere, o confermarla dopo che è nata, ma non generarla. I discepoli di Gesù a Cana di Galilea credettero in lui dopo il miracolo, perché già la fede era germogliata in loro, e il miracolo la fece sbocciare. Diversi israeliti hanno assistito ai miracoli compiuti da Gesù, penso alla moltiplicazione dei pani, ma non hanno creduto in lui.
La missione di Gesù inizia con questo episodio di incredulità e ostilità da parte dei compaesani, di quelli che lo conoscono sin dall’infanzia e lo hanno visto crescere, e si conclude con l’incredulità e l’ostilità dei capi religiosi del tempo che lo faranno condannare alla morte di croce.
L’incredulità e l’ostilità degli israeliti verso gli inviati di Dio non è nuova come ascoltiamo nella prima lettura. La prima lettura riporta un brano del racconto della vocazione del profeta Geremia. Dio non gli nasconde l’ostilità che dovrà sperimentare da parte dei capi e del popolo, e tuttavia non dovrà temerli. Se il profeta si lascerà prendere dalla paura di quelli a cui deve parlare, sarà tentato di non annunciare bene la parola di Dio per non urtare quelli che lo ascoltano. Sarà tentato magari di fare una selezione nella parola di Dio, annunciando alcune cose e tacendone altre, oppure di annacquare la parola, dicendo e non dicendo, oppure di nascondere del tutto la parola di Dio. Facendo così eviterà l’indignazione e le ire dei capi e del popolo, ma si metterà contro Dio. Con questo comportamento peccherà contro Dio e contro lo stesso popolo. Contro Dio perché mostra di temere più gli uomini che lui. Contro il popolo perché avrebbe potuto aiutarlo con l’annuncio della parola di Dio e invece non lo ha fatto. La parola di Dio è sempre un bene anche quando rimprovera, perché spinge alla conversione. Quindi commetterà un gravissimo peccato di omissione, perché ammonire i peccatori è una delle sette opere di misericordia spirituale. Perciò Dio gli dice che se avrà paura dei capi e del popolo, sarà lui poi a fargli paura, suscitando nella coscienza il rimorso per il peccato commesso. Il profeta non deve avere paura perché tutti quelli che lo ostacoleranno e lo perseguiteranno, non potranno prevalere: Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno,/perché io sono con te per salvarti.
L’incredulità e l’ostilità verso i profeti di Dio rivela l’incredulità e l’ostilità nei riguardi di Dio, il quale ha detto per bocca di Gesù: Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Rivelano il peccato e l’opera del demonio nel cuore degli uomini. Infatti l’artefice dell’incredulità e dell’ostilità verso Dio e verso chi annuncia la sua parola è il demonio.
Con la venuta di Gesù tutti quelli che credono in lui diventano profeti. Prima di Gesù Dio affidava la missione di profeta solo ad alcuni, uomini e donne, scelti di mezzo al suo popolo. Ora nella chiesa c’è una partecipazione di base all’ufficio profetico di Gesù comune a tutti i battezzati. Tra costoro ci sono alcuni chiamati a svolgere un particolare compito di profezia, come catechisti, teologi, maestri. Partecipano in grado eminente all’ufficio profetico di Gesù i pastori della Chiesa, papa, vescovi, sacerdoti, diaconi, chiamati ad ammaestrare e formare tutti gli altri fedeli.
Nella seconda lettura l’apostolo spiega che non giova possedere dei carismi, non giova compiere opere buone, se si è privi della carità. La carità di cui parla l’apostolo non è innanzitutto l’elemosina o qualche altra opera di misericordia, come potremmo pensare a prima vista. Infatti Paolo dice: E se anche dessi in cibo tutti i miei beni…, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità di cui parla l’apostolo è l’amore di Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. Infatti parla della carità come una persona: La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Quest’amore di Dio rivelatosi in Gesù Cristo viene riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo. Noi attingiamo lo Spirito Santo nei sacramenti, se lo facciamo con fede e con un cuore convertito. La carità è la stessa vita di Dio, di cui siamo divenuti partecipi. Vivere nella carità significa vivere in comunione con Dio, in grazia di Dio. Senza la carità tutto quello che facciamo di bene non ci giova per la salvezza, perché è guastato dal nostro peccato. Quando noi compiamo il bene animati dalla carità di Dio, rendiamo gloria a Dio e le nostre opere buone sono feconde per il prossimo perché lo spingono verso Dio, per noi perché cresciamo nella comunione con Dio.
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23 gennaio 2022 – III domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Ne 8,2-4.5-6.8-10- Salmo responsoriale: Sal 18 – 2lettura: 1Cor 12,12-30 – Vangelo: Lc 1,1-4; 4,14-21.
Dal Vangelo secondo Luca
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Parola del Signore.
Omelia
La nostra attenzione in questa celebrazione viene attirata sul libro della parola di Dio. Nel vangelo abbiamo ascoltato che Gesù nella sinagoga di Nazareth ha letto un brano del profeta Isaia, nella prima lettura il sacerdote Esdra legge i libri della legge, cioè i primi cinque libri della Bibbia. La Bibbia è composta di 72 libri, 46 formano l’Antico Testamento, 27 il Nuovo. Esdra incomincia la lettura dei primi cinque libri della Bibbia, Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio, al sorgere del sole e la conclude verso mezzogiorno. La gente ascoltava con attenzione. I leviti spiegavano al popolo il significato dei passi che venivano letti. E’ fondamentale la comprensione della parola di Dio, per sapere cosa dobbiamo fare. Quando incontriamo una persona che ci parla, cerchiamo di capire cosa voglia comunicarci, per poterle rispondere e instaurare un dialogo. Se non comprendiamo le sue parole, non possiamo dialogare. La stessa cosa vale quando ascoltiamo la parola di Dio, abbiamo bisogno di capirla per poter dialogare con lui. Quando la lettura della legge stava per concludersi il popolo piangeva. Se andiamo a leggere gli ultimi capitoli del Deuteronomio, comprendiamo il motivo di questo pianto. Il popolo si rendeva conto che la parola di Dio si era compiuta nei padri con l’esilio, e in loro con la liberazione e il ritorno in patria.
Negli ultimi capitoli del Deuteronomio Dio per bocca di Mosè mette in guardia il popolo dalla tentazione di trasgredire i suoi comandamenti. Se il popolo si getterà dietro le spalle la parola di Dio e i suoi moniti, sperimenterà tanti guai. Privato dell’aiuto di Dio, i nemici lo attaccheranno, lo sottometteranno e lo condurranno in esilio. Se in questa condizione si pentirà e si convertirà al Signore con tutto il cuore, il Signore lo perdonerà e lo ricondurrà nella terra promessa. Gli israeliti che ascoltano la lettura della legge da parte del sacerdote Esdra sono gli esuli ritornati in patria. Costoro si rendevano dunque conto che la parola di Dio si era realizzata, e piangevano per i peccati dei padri e per i loro peccati. Ma i capi li esortano a smettere, perché era un giorno di festa per il Signore e non bisognava fare lutto. E poi il Signore riconducendoli in patria, aveva chiaramente mostrato di averli perdonati.
Nel vangelo Gesù è nella sinagoga di Nazareth di sabato. L’evangelista annota secondo il suo solito. Gesù è un giudeo osservante che ogni sabato si reca nella sinagoga per ascoltare la parola di Dio. Quel giorno si alzò a leggere e gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Gesù lo apre e cerca il passo di Is 61,1-2. Finita la lettura tutti i suoi compaesani si attendono una parola da lui. E Gesù cominciò a dire: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato. Le parole del profeta si realizzano in Gesù. Il profeta parlava di Gesù e della sua missione. Nel discorso della montagna, Gesù dice: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. Anche in altre occasioni, parlando con i discepoli Gesù fa presente che devono compiersi in lui le Scritture dell’AT. Per esempio, preannunciando il tradimento di Giuda e l’abbandono di tutti al momento dell’arresto, Gesù spiega che queste cose si sarebbero realizzate secondo le Scritture. Ma è dopo la risurrezione che Gesù spiega ai discepoli che la sua morte e risurrezione erano avvenute come preannunziavano le antiche Scritture. Lo fa una volta con i discepoli di Emmaus, e poi una seconda volta apparendo a tutti i discepoli nel cenacolo. Gesù dunque è venuto a compiere la Legge e i Profeti completando la rivelazione e l’insegnamento dell’AT e realizzando le profezie che lo riguardavano.
Il vangelo e la prima lettura ci dicono che la parola di Dio si realizza sempre, si è realizzata nel Figlio Gesù Cristo, che è l’incarnazione della parola di Dio, si è realizzata nel popolo d’Israele, si realizza per tutti noi. Quindi dobbiamo accoglierla con docilità e umiltà, senza fare obiezioni. Dobbiamo guardarci dal pericolo di trascurarla e di snobbarla, perché è una parola efficace, che non cade mai a vuoto. Se l’accogliamo si realizza in noi la salvezza che promette, se la rifiutiamo rimaniamo senza salvezza. Quindi si realizza sempre, sia se l’accogliamo, e sia se non l’accogliamo. Nel primo caso si realizza per la nostra salvezza, nel secondo caso si realizza a nostro danno.
L’uomo che parla nel salmo è un credente che ha sperimentano l’efficacia della parola di Dio nella propria vita e ne fa l’elogio. La parola di Dio è perfetta, è stabile, è retta, è limpida, è fedele. E’ perfetta, in quanto insegna a vivere come Dio che vive amando in modo perfetto. E’ stabile perché realizza sempre tutto quello che promette. E’ retta, non è tortuosa, non contiene nessun male, ma insegna solo ciò che è bene e meglio per noi. E’ limpida, cioè luminosa, perché ci apre gli occhi della mente, svelandoci il senso della realtà che ci circonda e della vita che viviamo sulla terra. E’ fedele, perché è dettata sempre dall’amore fedele di Dio che vuole la nostra salvezza, anche quando ci ammonisce e ci corregge. Se l’accogliamo e la viviamo, sperimentiamo quello che ha sperimentato il fedele del salmo: rinfranca l’anima, dona saggezza, dona gioia, illumina gli occhi.
Nella seconda lettura San Paolo parla della chiesa corpo mistico formato da Gesù e da noi credenti uniti a lui. L’incorporazione a Gesù avviene nel battesimo mediante il dono dello Spirito Santo. Come nel corpo ci sono diverse membra che svolgono funzioni diverse per il bene del corpo, così nella chiesa ci sono diversi ministeri volti ad edificarla e a farla crescere. Al primo posto Paolo pone i ministeri legati alla parola di Dio: Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri. Questo non significa che coloro che esercitano questi servizi siano superiori agli altri, perché nella chiesa abbiamo tutti la stessa dignità di figli di Dio. Vuol dire soltanto che i servizi che svolgono sono più necessari all’edificazione della chiesa. La chiesa nasce e cresce grazie alla parola di Dio, e i ministeri legati alla parola, sono quelli fondamentali. La parola di Dio ha dunque il primato su tutto, come lascia intendere Gesù nella risposta a Marta: Tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore. Con questo Gesù non svaluta il servizio di Marta, ma vuole solo dire che il servizio deve scaturire dall’ascolto della parola. E quindi non dobbiamo mancare all’appuntamento con la parola di Dio nella messa domenicale, e ogni giorno dovremmo avere uno spazio di silenzio da dedicare all’ascolto e alla meditazione della parola di Dio. Quando accogliamo la parola di Dio con disponibilità veniamo trasformati e assimilati a Gesù Cristo, la Parola di Dio che si è fatta uomo, e impariamo ad amare come lui, sempre, e tutti, nessuno escluso.
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16 gennaio 2022 – II domenica del tempo ordinario C
Liturgia della Parola: 1lettura: Is 62,1-5- Salmo responsoriale: Sal 95 – 2lettura: 1Cor 12,4-11 – Vangelo: Gv 2,1-11.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Parola del Signore.
Omelia
Gesù compie il primo miracolo a Cana di Galilea durante una festa di nozze. L’evangelista Giovanni chiama i miracoli di Gesù segni: Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù. I miracoli di Gesù sono segni che manifestano la sua gloria di Figlio di Dio. Facendosi uomo, il Figlio di Dio ha nascosto la sua gloria divina nella natura umana in tutto simile alla nostra. I miracoli sono segni che lasciano intravvedere la sua gloria divina. Durante il banchetto nuziale è venuto a mancare il vino, la Vergine Maria che era tra gli invitati lo fa presente al Figlio: Non hanno vino.
Gesù con la sua potenza divina avrebbe potuto usare mille modi diversi per compiere il miracolo. Avrebbe potuto far sì che le brocche sulle mense si riempissero di vino, oppure che le anfore che poi ordina di riempire di acqua si riempissero direttamente di vino. Invece ha voluto seguire una via più faticosa per i servi che devono obbedirgli, sicuramente perché dai passaggi compiuti si rendessero meglio conto del miracolo. C’erano sei grandi giare che contenevano l’acqua per la purificazione dei Giudei. Come ci informa l’evangelista Marco, i Giudei stavano bene attenti a lavarsi le mani fino al gomito prima di mangiare. Le giare erano vuote perché il banchetto era già iniziato e l’acqua era stata usata. Gesù ordina ai servi delle cose apparentemente senza senso. Prima ordina di riempiere di acqua queste sei giare, contenenti da 80 a 120 litri. I servi avrebbero potuto obiettargli: il banchetto è iniziato a che serve tutta quest’acqua? Manca il vino, non l’acqua. Ma i servi non fanno alcuna obiezione, perché sono stati istruiti dalla mamma di Gesù: Qualsiasi cosa vi dica, fatela. Gesù ordina poi di attingere e di portarne al maestro di tavola. Quest’ordine sembra più assurdo del precedente. Ma i servi eseguono e avviene il miracolo. Il maestro di tavola, dopo aver assaggiato il vino, chiama lo sposo e gli fa un appunto, perché si è comportato contrariamente a come fanno tutti. Prima viene servito il vino buono, e poi in seguito quello meno buono, invece lo sposo ha fatto il contrario: Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora. Conoscendo lo sposo comprenderemo perché si è comportato così.
Compiendo il primo miracolo durante una festa di nozze Gesù vuole dare un messaggio molto importante: Lui è lo sposo che è venuto ad unirsi in modo intimo alla sua sposa la chiesa, formata da tutti coloro che credono in lui. Abbiamo ascoltato nella prima lettura cosa dice il profeta al popolo d’Israele: Come gioisce lo sposo per la sposa, così per te gioirà il tuo Dio. Nell’Antico Testamento i profeti si servono in particolare di due immagini per esprimere il rapporto di amore e di comunione di Dio con il suo popolo. Il primo è quello del padre con i figli, il secondo è quello dello sposo con la sposa.
Gesù Cristo, il Figlio di Dio, viene ad unirsi alla sua chiesa e le porta in dono la rivelazione e la comunione con Dio. Nell’Antico Testamento la rivelazione e la comunione con Dio erano imperfette, incomplete, parziali. Il vino buono del banchetto nuziale è la rivelazione che Gesù è venuto a portare. Come il vino è superiore all’acqua, così la rivelazione e la comunione con Dio che Gesù è venuto a portare è superiore e migliore di quella che c’era nell’Antico Testamento.
E’ superiore perché è fatta dal Figlio Unigenito che è nel seno del Padre, e dona lo Spirito Santo senza misura a quelli che credono in lui, affinché vivano in comunione intima con Dio Padre. Il maestro di tavola lo ha compreso bene quando dice allo sposo: Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora. E’ Dio che ha riservato la pienezza della sua rivelazione e comunione alla venuta del Figlio.
A Cana di Galilea Gesù incomincia a manifestare la sua gloria di Figlio di Dio che culminerà nella morte di croce. L’ora di cui parla Gesù con la madre è quella della morte di croce. Compiendo il miracolo Gesù si avvia verso l’ora in cui manifesterà pienamente la sua gloria di Figlio di Dio. I discepoli incominciano a credere in Gesù, colpiti dal segno e dall’abbondanza. Una delle caratteristiche del tempo messianico predetto dai profeti è l’abbondanza. La notiamo nell’enorme quantità di vino, più di 600 litri, visto che le sei giare contenevano da 80 a 120 litri. La noteremo nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, che sfamano 5000 uomini e avanzano 12 sporte piene. Il miracolo viene compiuto da Gesù ma con il concorso dei servi che obbediscono alla sua parola senza fare obiezioni di sorta. Così se vogliamo usufruire della rivelazione e della comunione con Dio che Gesù viene a portare dobbiamo obbedire a lui come i servi di Cana.
In questo episodio cogliamo il ruolo discreto ma fondamentale della Madonna, che spinge il Figlio a compiere il miracolo, e insegna ai servi come devono comportarsi: Qualsiasi cosa vi dica, fatela.
Noi facciamo parte della chiesa, sposa di Gesù Cristo, e usufruiamo del vino della rivelazione e della comunione con Dio perché obbediamo a Gesù Cristo. Quando disobbediamo, questo rapporto con Gesù si incrina e potrebbe interrompersi del tutto. Da qui la cura costante di nutrirci della sua parola, leggendola e meditandola, per assimilarla, e poi di seguire il consiglio della Madonna: Qualsiasi cosa vi dica, fatela.
Per edificare la chiesa, sposa di Cristo, Dio la adorna con i carismi. Sono dei doni che ciascuno di noi ha ricevuto e che deve mettere a servizio degli altri. L’apostolo nella seconda lettura elenca a titolo di esempio nove carismi. In realtà i carismi non si possono contare, perché la fantasia creatrice dello Spirito Santo è senza limiti. Dobbiamo stare attenti a non comportarci come il servo fannullone della parabola che nascose il suo carisma e non lo fece fruttificare mettendolo a servizio della chiesa. Si sentì rispondere dal padrone: Servo malvagio e fannullone. Ha avuto paura di esporsi per timore di sbagliare, e ha pensato di starsene da parte non per umiltà ma per egoismo. Il padrone lo chiama malvagio perché con il carisma ricevuto poteva fare tanto bene e non l’ha fatto.
Il salmo ci invita in modo martellante a lodare e ringraziare il Signore raccontando la sua gloria: Cantate al Signore un canto nuovo,/cantate al Signore…Cantate al Signore…/Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza./In mezzo alle genti narrate la sua gloria,/a tutti i popoli dite le sue meraviglie. Un annuncio che deve abbracciare tutto il tempo a nostra disposizione, di giorno in giorno, e deve estendersi su tutta la terra, a tutti i popoli.La ripetizione martellante ci fa comprendere l’urgenza di annunciare la gloria di Dio che si è rivelata nel Figlio suo Gesù Cristo, morto e risorto, perché quelli che non l’hanno mai conosciuto e quelli che lo conoscono solo per sentito dire, lo conoscano per esperienza e siano salvati e gli rendano grazia come noi.