9 maggio 2021 – VI Domenica di Pasqua B
Liturgia della Parola: 1lettura: At 10,25-27.34-35.44-48 – Salmo responsoriale: Sal 97 – 2lettura: 1Gv 4,7-10 – Vangelo: Gv 15,9-17.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Parola del Signore
Omelia
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Gesù ci ama con lo stesso amore che ha ricevuto dal Padre. Gesù ha speso la sua vita amando il prossimo, basta leggere i vangeli per rendersene conto. Ed ha accettato di soffrire e di morire sulla croce per noi, perché sapeva che dalla sua croce sarebbe scaturita la nostra salvezza. Perciò ci esorta: Rimanete nel mio amore. E’ un modo di esprimersi lontano dal nostro, come il seguito del vangelo. Il sacerdote con l’omelia deve tradurre in linguaggio corrente quello che vuole dire Gesù, che è vissuto duemila anni fa in una cultura e con una lingua diversa dalla nostra. Quando Gesù dice: Rimanete nel mio amore, vuol dire: lasciatevi amare, custodite il mio amore, non allontanatevi da me, non mi sfuggite. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore. I comandamenti di Gesù poi si riducono ad uno solo: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Quindi per rimanere nell’amore di Gesù, per custodire l’amore che riceviamo da lui dobbiamo amare il prossimo come Gesù. Come Gesù ha custodito l’amore che ha ricevuto dal Padre amando noi, così noi custodiamo l’amore che riceviamo da Gesù amando il prossimo. L’amore di Gesù non è come quello che spaccia il mondo. L’amore di Gesù è dono di vita, si sacrifica per gli altri, si spende e serve gli altri. Invece l’amore spacciato dal mondo osservato con attenzione è egoismo, perché ama il prossimo solo quando ne riceve gratificazioni, ed è pronto a mollarlo quando diventa pesante. Gesù invece ci ha amato anche quando noi siamo diventati per lui una croce. Noi sperimentiamo un amore così attraverso i discepoli che hanno imparato ad amare come Gesù. Ma lo sperimentiamo in modo sorgivo nei sacramenti. Sperimentando l’amore di Gesù, impariamo ad amare come lui, riceviamo la capacità di amare come lui. Ricevendo e donando l’amore di Gesù noi sperimentiamo la gioia, la felicità. Tutti gli uomini, nessuno escluso, cercano la felicità. Forse saranno in disaccordo su cosa renda felici, ma tutti vogliono essere felici. La felicità è l’aspirazione di ogni uomo. Purtroppo vediamo che sembra una cosa irraggiungibile, perché quando uno pensa di averla ottenuta, subito gli sfugge di nuovo. E anche nelle cose che pensiamo ci rendano felici, ci sono delle insoddisfazioni. Gesù nel vangelo di oggi ci insegna coma essere felici: accogliendo il suo amore e donandolo al prossimo. La felicità è proporzionale all’amore. Più amiamo, più siamo felici. Il nostro amore umano è limitato e ferito e non sappiamo amare in modo perfetto. Abbiamo pertanto bisogno di attingere all’amore perfetto di Gesù, per imparare ad amare veramente e pregustare quella felicità che sarà piena solo quando saremo entrati definitivamente nella vita eterna. Accogliendo e donando l’amore di Gesù, sperimentiamo la compiacenza di Dio Padre, che ascolta le nostre preghiere. Le ascolta perché, evidentemente, sono dettate dall’amore e sono quindi conformi alla sua volontà.
Gesù dunque ci esorta: Rimanete nel mio amore, perché vuole farci sperimentare la sua gioia e la compiacenza che il Padre ha nei suoi riguardi. Gesù poi ci manda tra gli uomini: Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. Anche domenica scorsa parlava di frutto, molto frutto. Il frutto che dobbiamo portare è testimoniare l’amore di Gesù con la parola e con la vita. Con la parola dobbiamo parlare di lui e di quello che ha fatto per tutti gli uomini. Questa è il più grande atto di amore verso il prossimo. Se il prossimo è affamato, dobbiamo nutrirlo, assetato, dissetarlo, e via dicendo. Ma l’uomo non è solo stomaco e corpo. Pensiamo ad uno che ha sperimentato una delusione ed è depresso. Non diciamo: dategli da mangiare così gli passa tutto. Se fossimo solo stomaco e corpo, si risolverebbe tutto con il cibo e il soddisfacimento degli altri bisogni corporali. Ma ognuno di noi ha un’anima che desidera Dio, senza saperlo, e quindi può essere appagata solo incontrando Gesù, che dà senso alla vita umana. Se noi abbiamo incontrato Gesù e sperimentiamo il suo amore, e abbiamo compreso che lui è la ragione della nostra vita, sentiamo il bisogno di farlo conoscere agli altri uomini. Questo è il primo e più grande atto d’amore al prossimo, perché gli indichiamo la via della sua felicità, della sua salvezza eterna. Questa testimonianza a Gesù Cristo non la diamo solo con la parola ma anche con le opere di misericordia. Parole e opere devono stare sempre insieme. Il Concilio Vaticano II dice che Dio si è rivelato nella storia umana con parole e opere, in modo che le parole spiegano le opere e le opere rendono credibili le parole. Così dobbiamo fare anche noi nella testimonianza a Gesù. La testimonianza dell’amore di Gesù con le parole e con le opere è il frutto che rimane. Rimane nella nostra vita perché ci fa crescere nell’amore e rimane in coloro a cui diamo la testimonianza perché sperimenta l’amore di Gesù e viene attirato a lui. Tutto passa, dice la Scrittura, solo chi ama non passerà mai, perché vivrà una comunione eterna con Dio che è amore.
A tal riguardo voglio raccontarvi come il santo di cui oggi si fa memoria venne attirato a Gesù Cristo grazie alla testimonianza di alcuni cristiani. Pacomio, giovane di vent’anni, nel 312 durante un arruolamento generale ordinato dall’imperatore, venne preso a forza e condotto con altri giovani in un campo di raccolta a Tebe. Verso la sera si presentarono dei cristiani misericordiosi e portarono loro da mangiare e da bere e altri aiuti, perché li vedevano nell’afflizione. Pacomio, informatosi, apprese che i cristiani praticano la misericordia verso gli stranieri e verso tutti gli uomini. Domandò chi fossero i cristiani. E gli fu detto che portano il nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che ha creato il cielo, la terra e gli uomini. Pacomio, colpito da questo gesto di amore, si porta in disparte e si rivolge al Dio dei cristiani, chiedendogli di poterlo conoscere e di liberarlo da quella afflizione. Se fosse stato esaudito avrebbe speso il resto della vita ad amare e servire gli uomini. Il giorno dopo Pacomio e le altre reclute apprendono la notizia della vittoria dell’imperatore e del decreto di congedo. Pacomio così diventa cristiano.
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2 maggio 2021 – V Domenica di Pasqua B
Liturgia della Parola: 1lettura: At 9,26-31 – Salmo responsoriale: Sal 22 – 2lettura: 1Gv 3,18-24 – Vangelo: Gv 15,1-8.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Parola del Signore
Omelia
Io sono la vite, voi i tralci. Gesù per darci un’idea del rapporto vitale che egli stabilisce con noi a partire dal battesimo si serve dell’immagine della vite: Io sono la vite, voi i tralci. Questa vite che è Gesù insieme con noi che siamo i tralci costituisce la chiesa. Quando sentiamo questa parola per un’abitudine inveterata pensiamo subito all’edificio dove si raduna la comunità cristiana, oppure al papa, ai vescovi e ai sacerdoti. L’edificio si chiama chiesa perché in esso si raduna la comunità dei battezzati per rinsaldare il legame con Gesù mediante la celebrazione dei divini misteri. Il papa, i vescovi e i sacerdoti svolgono all’interno della comunità cristiana il compito di pastori e maestri, ma non esauriscono la chiesa, che riguarda tutti i battezzati, cioè tutti i credenti che formano con Gesù mediante lo Spirito Santo una cosa sola. L’apostolo Paolo parla a tal proposito di corpo, in cui Gesù è la testa e tutti gli altri credenti sono le membra. Gesù per esprimere la stessa cosa usa l’immagine della vite e dei tralci: Io sono la vite, voi i tralci.
In questa vite che è Gesù insieme a noi, ci sono tralci che non portano frutto e tralci che portano frutto. Il Padre da buon vignaiolo taglia i tralci infruttuosi e pota quelli fruttuosi. Nella chiesa, cioè Gesù unito ai noi, ci sono discepoli che non corrispondono alla sua grazia e vivono solo all’apparenza uniti a lui e discepoli che invece corrispondono e sono veramente uniti a lui. Non ci vien detto in che modo Dio Padre elimina i tralci infruttuosi, cioè i cattivi discepoli, e come pota i tralci fruttuosi, che sono i discepoli autentici. Per chiarire questo passo dobbiamo vedere se nei vangeli e in altri luoghi della Scrittura ci sono versetti che trattano lo stesso argomento. Nella parabola del grano e della zizzania, vediamo che i servi vorrebbero sradicare subito la zizzania, ma il padrone dice di non farlo. E comanda loro di pazientare fino al giorno della mietitura, che indica il giudizio finale. Probabilmente anche qui si allude al giudizio finale. Il Padre taglia i tralci infruttuosi nel giorno del giudizio. Infatti mentre siamo in cammino su questa terra, c’è sempre una possibilità di conversione, ed è sempre possibile che chi sbaglia possa ravvedersi e convertirsi. Per quanto riguarda i tralci fruttuosi, che vengono potati, nella Scrittura ci sono diversi versetti che ci illuminano, in particolare un passo del libro di Giuditta (Gdt 8,26-27) in cui si dice che Dio mette alla prova i discepoli autentici, per renderli più perfetti nella sua amicizia.
Dunque Gesù è la vite e noi siamo i tralci, e per portare frutto dobbiamo rimanere uniti a Gesù, come i tralci sono uniti alla vite. Se il tralcio viene reciso dalla vite, non porta più frutto e secca, e serve solo per il fuoco. Così noi discepoli non possiamo portare frutto se ci separiamo da Gesù. Per questo dice: Senza di me non potete far nulla e ci esorta: Rimanete in me e io in voi. L’unione di cui parla Gesù comporta non solo che noi siamo uniti a lui ma soprattutto che lui sia in noi, e quindi che noi accogliamo Gesù in noi: Rimanete in me e io in voi. Il fatto che abbiamo ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, battesimo, cresima ed eucaristia, che preghiamo e partecipiamo alla messa, non ci giova, se non abbiamo Gesù Cristo in noi. Anche i tralci infruttuosi che il Padre taglia erano uniti a Gesù all’apparenza, ma non avevano Gesù in sé stessi e perciò non portavano frutto.
Che cosa dunque dobbiamo fare perché Gesù viva in noi?
In questo passo del vangelo Gesù dice: Se rimante in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. E poi nel discorso nella sinagoga di Cafarnao, nel capitolo VI del vangelo di Giovanni, a proposito della santa Eucaristia Gesù dice: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Questa presenza di Gesù in noi si realizza accogliendo la sua parola come il terreno buono della parabola, cioè con un cuore sincero e docile, e poi nutrendoci dell’eucaristia con lo stesso cuore puro dal male. In questo modo si genera una comunione vitale tra Gesù e noi, noi siamo in lui e lui è in noi. Come Paolo ognuno di noi potrebbe dire: Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me. Se Cristo vive in noi, la nostra vita diventa fruttuosa e siamo discepoli autentici.
La prima lettura, il salmo e la seconda lettura, ci dicono quali sono i frutti di cui parla Gesù, per essere suoi discepoli e dare gloria a Dio Padre.
La prima lettura parla della testimonianza di Paolo, che in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù e poi andava e veniva in Gerusalemme predicando apertamente nel nome del Signore. Il vero discepolo che ha incontrato Gesù e sperimenta giorno per giorno la sua amicizia, parla di lui a tutti senza paura e senza vergognarsi, perché desidera che anche gli altri facciano la sua stessa esperienza di salvezza.
Nel salmo si allude alla catechesi familiare. Il papà raccontava ai figli le opere del Signore nella storia d’Israele, perché i figli imparassero a confidare nel Signore: Si parlerà del Signore alla generazione che viene;/ annunceranno la sua giustizia;/al popolo che nascerà diranno:/Ecco l’opera del Signore.
Nella seconda lettura l’apostolo Giovanni esorta: Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. La verità è la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo, quindi l’apostolo ci esorta ad amare concretamente come Gesù ci ha insegnato.
Voglio richiamare la vostra attenzione sul beato Piergiorgio Frassati, che fu un vero modello di carità cristiana. Apparteneva ad una famiglia benestante e aveva più soldi dei suoi compagni. Ma Piergiorgio li distribuiva ai poveri. Sicché quando c’era qualche gita a scuola, i compagni dovevano fare una colletta per lui perché non aveva più soldi. Naturalmente i familiari non sapevano nulla di questo modo di fare del figlio. Solo alla morte sopraggiunta a ventiquattro anni a causa di una polmonite, videro partecipare al funerale una folla di poveri, che Piergiorgio aveva aiutato nelle loro difficoltà. Tutta la sua vita è stato un amare con i fatti e nella verità perché Gesù Cristo viveva in lui.
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25 aprile 2021 – IV Domenica di Pasqua B
Liturgia della Parola: 1lettura: At 4,8-12 – Salmo responsoriale: Sal 118 – 2lettura: 1Gv 3,1-2 – Vangelo: Gv 10,11-18.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Parola del Signore
Omelia
Per bocca del profeta Ezechiele (Ez 34,1ss) Dio rimprovera i cattivi pastori del popolo, che pascolano sé stessi e promette di prendersi cura personalmente delle sue pecore. In Gesù si realizza questa promessa divina, per questo egli dice: Io sono il buon pastore. Gesù è il buon pastore che dà la propria vita per le pecore ed è il buon pastore in quanto le rende partecipi della sua comunione d’amore con il Padre: Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre. La conoscenza nel linguaggio biblico è sempre esperienza di vita, e nel caso della vita divina è esperienza d’amore, perché Dio è amore.
Gesù dà la propria vita per le pecore. In Gesù, Dio e uomo, c’è la vita fisica simile alla nostra e c’è la vita divina. Gesù innanzitutto dà la vita fisica quando va liberamente incontro alla morte di croce, e poi quando risuscita dai morti dà la sua vita divina mediante il dono dello Spirito Santo. Dando la vita sulla croce, manifesta l’amore di Dio ed espia i peccati del mondo, risorgendo dai morti dona la vita divina, effondendo nei cuori dei credenti l’amore di Dio. Quelli che partecipano della vita divina partecipano della comunione d’amore tra Gesù e il Padre. Questo vuole dire Gesù quando afferma: Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre.
Con il dono della sua vita fisica morendo sulla croce e con il dono della sua vita divina nella risurrezione Gesù raduna e guida i figli di Dio, provenienti dal giudaismo e da tutti i popoli, nell’unico gregge della chiesa.
Per guidare la chiesa Gesù in ogni tempo sceglie alcuni tra i fedeli e li costituisce suoi rappresentanti mediante il sacramento dell’ordine. Oggi è la giornata di preghiera per le vocazioni sacerdotali. Il Signore continua a chiamare al sacerdozio, ma è necessario che i chiamati rispondano di sì. Dobbiamo pregare per questo, affinché tutti quelli che chiama riconoscano la sua voce e lo seguano prontamente.
Come dobbiamo comportarci noi pastori che Gesù ha posto a guida della sua chiesa?
Visto che siamo suoi rappresentanti, dobbiamo somigliare a lui buon pastore che dà la vita per le pecore. Abbiamo detto che Gesù dona alle pecore la sua vita umana e la sua vita divina. Dobbiamo donarvi la nostra vita umana, mettendoci al vostro servizio, nutrendovi della parola di Gesù e dispensandovi la sua grazia nei sacramenti, perché siate partecipi della sua vita divina.
Il pericolo è che manchiamo al nostro dovere e diventiamo mercenari come diceva Gesù nel vangelo: Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge. Siamo mercenari quando, invece di nutrirvi con la parola di Gesù, vi nutriamo con parole di estranei, quando invece di condurvi a lui, vi leghiamo a noi stessi, quando, pur vedendo che state seguendo una strada sbagliata, omettiamo di ammonirvi e di correggervi. Siamo mercenari quando non ci rendiamo disponibili, non ci preoccupiamo della salvezza della vostra anima, e non veniamo a cercarvi se vi siete smarriti.
Da questo comportamento terribile ci guardi il Signore che ci ha chiamato, e con le vostre preghiere non stancatevi di chiedere per noi la grazia di essere pastori secondo il suo cuore.
Se per voi noi siamo pastori, con voi facciamo parte del gregge di Gesù Cristo, perché siamo tutti sue pecore. Che cosa bisogna fare per essere pecore del gregge di Cristo?
Abbiamo ascoltato da Gesù la caratteristica delle sue pecore: Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Si tratta dell’ascolto attento, interessato, fecondo che porta a mettere in pratica quello che si è ascoltato. Come pecore dobbiamo ascoltare tutti la sua parola, mettendola in pratica giorno per giorno.
Stando così le cose, siamo tutti sotto la guida di Gesù buon pastore, che è l’unico salvatore del mondo: In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati. Gesù è la pietra che è stata scartata dai costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. E’ stata scartata da quelli che lo hanno incontrato in Palestina, ma non hanno voluto credere in lui. Viene scartato da tanti cristiani che, dopo averlo conosciuto, non l’hanno saputo apprezzare e lo hanno escluso dalla loro vita. Viene scartato da tutti quelli che sono venuti in qualche modo in contatto con la predicazione della chiesa ma non si sono convertiti per credere. Questo Gesù scartato da tutti quelli che non credono in lui, è stato costituito da Dio pietra d’angolo nella costruzione della nuova umanità, la chiesa, che si realizza secondo il suo progetto. Noi che abbiamo creduto in lui e siamo con lui figli di Dio, viviamo nell’attesa della sua manifestazione nella gloria quando saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è.
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18 aprile 2021 – III Domenica di Pasqua B
Liturgia della Parola: 1lettura: At 3,13-15.17-19 – Salmo responsoriale: Sal 4 – 2lettura: 1Gv 2,1-5 – Vangelo: Lc 24,35-48.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Parola del Signore
Omelia
Di questo voi siete testimoni. Gesù, dopoaver spiegato ai discepoli che la sua morte e risurrezione realizzavano le Scritture, dice loro: Di questo voi siete testimoni. Nella prima lettura i discepoli annunciando Gesù Cristo morto e risorto, aggiungono: Noi ne siamo testimoni.
Che cosa vuol dire Gesù quando dice che i discepoli sono testimoni della sua morte e risurrezione?
I discepoli sono testimoni in tre modi, innanzitutto perché hanno visto Gesù morto e risorto, poi perché istruiti da lui hanno compreso il significato della sua morte e risurrezione, e infine perché, ricevendo i frutti della sua morte e risurrezione si sono lasciati trasformare dall’amore di Gesù, diventando simili a lui.
I discepoli sono testimoni oculari della morte e risurrezione di Gesù. Per essere più precisi, soltanto alcuni di loro erano stati testimoni oculari della morte in croce di Gesù, perché la maggior parte di loro era scappata al momento dell’arresto. Solo Giovanni e alcune donne, che facevano parte del seguito femminile di Gesù, erano presenti sotto la croce insieme alla Madonna. Tuttavia Gesù risorto appare ai discepoli con i segni della crocifissione e li invita a constatare guardandolo e toccandolo che era proprio lui, morto sulla croce ed ora risorto. I discepoli sono dunque testimoni oculari che Gesù di Nazareth morto sulla croce è davvero risorto dai morti.
I discepoli poi sono testimoni perché hanno compreso il senso della morte e risurrezione di Gesù. Abbiamo ascoltato nel vangelo che Gesù spiega ai discepoli che nella sua morte e risurrezione si erano realizzate le Scritture: Aprì loro la mente per comprendere le Scritture. Tutte le Scritture parlano di Gesù Cristo, quindi sono la chiave di lettura per comprendere la vita di Gesù e il senso della sua morte e risurrezione. Le Scritture ci dicono che Gesù è morto per espiare i peccati e per rendere partecipi gli uomini della vita divina. Ma per poter comprendere che le Scritture parlano di Gesù Cristo, c’è bisogno che egli stesso ci apra la mente, come ha fatto con i discepoli di Emmaus e ora con tutti gli altri discepoli: Aprì loro la mente per comprendere le Scritture. Chiunque si accosta alle Scritture senza che Gesù gli abbia aperto la mente, imparerà certamente tante cose ma non arriverà mai a scorgere il suo volto e la sua voce in quello che legge.
Infine i discepoli sono testimoni di Gesù, perché ricevendo i frutti della sua morte e risurrezione, si sono lasciati trasformare dal suo amore, diventando simili a lui. Infatti noi li veneriamo tutti come santi, perché sono diventati con la loro vita immagine vivente di Gesù, fino al punto di accettare di essere uccisi per restargli fedeli. Come Gesù per restare fedele al Padre ha accettato di morire sulla croce, così i primi discepoli per restare fedeli a Gesù hanno accettato di farsi uccidere a causa sua. Questo è il modo più alto per cui i discepoli sono testimoni di Gesù. La parola testimone nei vangeli e negli altri scritti del Nuovo Testamento traduce il termine greco martus da cui la parola martire, che significa appunto testimone. I martiri che si sono fatti uccidere per rimanere fedeli a Gesù sono i testimoni perfetti del suo amore.
Da parte nostra non abbiamo visto Gesù morto e risorto, ma abbiamo creduto alla testimonianza dei primi discepoli custodita e trasmessa nella chiesa. Da questa testimonianza abbiamo appreso il significato della morte e risurrezione di Gesù, e mediante i sacramenti ne abbiamo ricevuto i frutti. Soprattutto nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia che ci accompagnano nel cammino della vita continuiamo ad attingere il perdono dei peccati e la vita divina. Quindi per quello che possiamo dobbiamo rendere testimonianza a Gesù Cristo come hanno fatto tutti i cristiani che ci hanno preceduti. Nel vangelo Gesù ha detto ai discepoli che le Scritture oltre alla sua morte e risurrezione avevano predetto che nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. I primi discepoli lo hanno fatto con grande zelo ed entusiasmo. Lo dobbiamo fare anche noi rendendo testimonianza a Gesù con la parola e con la vita, perché tutti gli uomini possano ricevere i frutti della sua pasqua. Con la parola dobbiamo annunciare che è morto per i nostri peccati ed è risorto per renderci partecipi della vita divina. Dobbiamo testimoniare poi quello che Gesù ha fatto e fa per noi personalmente, come l’uomo del salmo che dice: Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele;/ Il Signore mi ascolta quando lo invoco. Ognuno di noi può testimoniare qualcosa della sua amicizia con Gesù Cristo.
Con la vita infine dobbiamo testimoniare che lo abbiamo davvero conosciuto. Il nostro incontro con Gesù avviene nei sacramenti. Se ci accostiamo ai sacramenti, incontrando Gesù, il suo amore ci trasforma e ci dà la capacità di osservare i suoi comandamenti, cioè di amare come lui. Se invece ci accostiamo ai sacramenti ma senza incontrarlo, nella nostra vita non avviene alcun cambiamento. Questo vuole dire l’apostolo Giovanni nella seconda lettura: Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Questo succede quando ci accostiamo ai sacramenti con poca fede e senza volontà di conversione. L’antidoto a questo è la parola di Dio che dà le motivazioni per credere e per convertirsi. Quando la nostra vita si lascia trasformare dal suo amore, diventa un’immagine vivente di Gesù, perché amiamo come lui. Questa la più grande testimonianza che possiamo rendergli nel mondo.
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11 aprile 2021 – II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia
Liturgia della Parola: 1lettura: At 4,32-35 – Salmo responsoriale: Sal 117 – 2lettura: 1Gv 5,1-6 – Vangelo: Gv 20,19-31.
Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Parola del Signore
Omelia
Gesù risorto appare ai discepoli la sera di quel giorno in cui le donne, recandosi al sepolcro, l’avevano trovato vuoto. E’ il primo giorno della nuova settimana, il primo dopo il sabato. E’ il giorno che più tardi i cristiani, proprio a perenne memoria della risurrezione di Gesù, chiameranno ‘del Signore’, in latino ‘dominica’.
Gesù risorto comunica ai discepoli i frutti della sua pasqua, cioè il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo. La pace che Gesù dà ai discepoli è riconciliazione con Dio, con sé stessi, con il prossimo, con la natura. Il peccato infatti ci separa da Dio, provoca una divisione nella nostra coscienza, ci prepara ad essere ostili al prossimo, ci mette in conflitto con la natura. L’altro frutto della pasqua di Gesù è lo Spirito Santo. Gesù lo comunica ai discepoli soffiando su di loro. Questo gesto ci fa venire in mente il racconto della creazione dell’uomo di Gen 2,7, dove si dice che Dio alitò nelle sue narici e l’uomo divenne un essere vivente. L’alito di Dio in questo caso è l’infusione dell’anima, che è il principio della vita fisica. Mentre il soffio di Gesù infonde nei discepoli lo Spirito Santo, che è il principio della vita divina. Tutto questo è avvenuto in noi nel battesimo, quando siamo morti al peccato e siamo stati generati alla vita di figli di Dio. In noi dunque c’è la vita biologica destinata a finire, quando l’anima si separerà dal corpo, e la vita divina che è fonte di vita eterna per la nostra anima e di risurrezione per il nostro corpo nell’ultimo giorno.
Gesù affida ai suoi discepoli il compito di continuare nella storia e nel mondo la sua missione di salvezza. Dovranno comunicare agli uomini i frutti della pasqua che hanno ricevuto per primi, il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo. Nel racconto si parla esplicitamente dei discepoli che ricevono lo Spirito Santo da Gesù e poi dei discepoli che dovranno perdonare i peccati a nome di Gesù. Ma è implicito che i discepoli prima di ricevere il dono dello Spirito Santo hanno ricevuto il perdono dei peccati, così come è implicito che non dovranno limitarsi a perdonare agli uomini i peccati ma dovranno anche comunicar loro lo Spirito Santo. Dalle parole di Gesù: A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati, si comprende che non potranno comunicare i frutti della pasqua indiscriminatamente ma tra quelli che incontreranno dovranno operare un discernimento. L’episodio di Tommaso ci fa comprendere che il discernimento si basa sulla fede in Gesù Cristo risorto.
Tommaso non ha voluto credere all’annuncio degli altri discepoli che gli dicevano: Abbiamo visto il Signore! E’ l’annuncio della chiesa, perché il gruppo dei discepoli rappresenta la comunità cristiana che sta per nascere. Gesù appare a Tommaso e gli dà la prova che cercava, ma rimproverandolo per la sua incredulità e proclamando beati coloro che crederanno all’annuncio della chiesa senza dubitare: Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Gesù proclama beati tutti i cristiani delle generazioni successive, quindi anche noi che abbiamo creduto all’annuncio della chiesa, senza aver visto Gesù né morto e né risorto. Siamo beati perché credendo riceviamo i frutti della sua pasqua, il perdono dei peccati, ma soprattutto diventiamo partecipi della vita divina mediante lo Spirito Santo.
La seconda lettura vuole fare due precisazioni una riguardo alla fede che è l’inizio della vita cristiana e l’altra riguardo all’amore che ne è lo sviluppo e il compimento. La fede deve essere rivolta a Gesù Cristo, Figlio di Dio, quello annunciato dalla chiesa, il Gesù storico che è venuto con acqua e sangue, cioè quello che è stato battezzato da Giovanni al Giordano ed è morto sulla croce. Quindi non un Gesù Cristo frutto della propria immaginazione e costruito secondo i propri gusti, ma il Gesù storico morto e risorto, annunciato dalla chiesa.
L’amore a Dio e al prossimo, poi, per essere autentico deve basarsi sui comandamenti di Dio. Un amore a Dio che non tiene conto dei suoi comandamenti è falso. La stessa cosa vale per l’amore al prossimo. Sono i comandamenti di Dio che ci insegnano ad amare rettamente Dio e il prossimo. E i suoi comandamenti non sono gravosi, perché l’amore di Dio, di cui parla il Salmo, viene riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo.
La prima lettura ci ricorda che come cristiani facciamo parte di una famiglia che è la chiesa. Come siamo nati alla vita naturale in una famiglia, così siamo nati alla vita di figli di Dio nella chiesa. Diceva san Cipriano: Nessuno può aver Dio per Padre, se non ha la chiesa per madre. La chiesa è caratterizzata dalla comunione fraterna, erano un cuor solo e un’anima sola, e fra loro tutto era comune. E’ una comunione di fede, speranza e carità, che nasce dalla comunione con Dio Padre e Gesù mediante lo Spirito Santo. I primi cristiani, come abbiamo ascoltato, la vivevano in modo radicale, perché liberamente mettevano in comune anche i beni materiali. Questo tipo di comunione oggi è vissuta solo dalle comunità di frati e suore. Come membri della comunità cristiana non siamo tenuti a mettere in comune i beni materiali, ma siamo certamente tenuti a condividerli con gli altri fratelli che vediamo nel bisogno.