Meditazioni di Avvento 2018

23 dicembre 2018 – IV domenica di Avvento

(anno C)

Liturgia della Parola: 1lettura: Bar 5,1-9 – Salmo responsoriale: Sal 126 – 2lettura: Fil 1,4-6.8-11 –  Vangelo: Lc  3,1-6.

Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Parola del Signore

Omelia

Dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo la Madonna si reca in fretta dalla cugina Elisabetta. L’angelo infatti le aveva dato come segno da parte di Dio la gravidanza della cugina, che tutti dicevano sterile. Nella storia, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, Dio parla con parole e con segni, in modo che le parole spiegano i segni e i segni avvalorano le parole. L’incontro tra la Madonna ed Elisabetta non è semplicemente un incontro umano. La Madonna dopo aver detto risposto di sì alla chiamata divina è diventata dimora di Dio. Tutte le tre persone divine vivono in lei. Perciò chi incontra Maria, entra in contatto con Dio. Elisabetta che è disponibile a Dio, incontrando Maria viene colmata di Spirito Santo e diventa a sua volta dimora di Dio. Così le parole di Elisabetta non sono semplicemente parole umane ma parola di Dio. Quindi avviene che Maria porta Dio ad Elisabetta e questa piena dello Spirito di Dio dà a Maria una parola di conferma da parte di Dio sull’esperienza che ha fatto. Maria ora può stare tranquilla perché l’annuncio dell’angelo non è un’allucinazione o un inganno del demonio ma è veramente la chiamata di Dio.

Come Dio ha raggiunto Elisabetta per mezzo di Maria, così Dio raggiunge ognuno di noi per mezzo della chiesa. Maria, come dicevano i Padri, è figura della chiesa comunità e di ogni singolo credente. Dio viene a noi attraverso gli incontri sacramentali che ci comunicano la salvezza di Gesù Cristo nello Spirito Santo. E poi viene a noi attraverso gli incontri personali. Se io incontro una persona che vive in comunione con Dio, in qualche modo entro in contatto con Dio. Così se io vivo in comunione con Dio, chi mi incontra entra in contatto con Dio. Quando gli incontri personali mettono in comunione con Dio, diventano incontri di grazie, come l’incontro di Maria con Elisabetta. Noi portiamo Dio agli altri e parimenti riceviamo Dio dagli altri. Sono incontri che ci fanno maturare nella fede, nella speranza e nella carità.

Per entrare in contatto con Dio abbiamo bisogno di partecipare ad un incontro sacramentale, soprattutto se dobbiamo riconciliarci con lui.

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16 dicembre 2018 – III domenica di Avvento

(anno C)

Liturgia della Parola: 1lettura: Sof 3,14-18 – Salmo responsoriale: Is 12 – 2lettura: Fil 4,4-7 –  Vangelo: Lc 3,10-18.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.



Parola del Signore

Omelia

La conversione cioè il ritorno a Dio oppure, se siamo già con Dio, la crescita nella sua amicizia, ci porta a compiere delle pratiche penitenziali ma soprattutto ad assumere impegni concreti per contrastare le cattive inclinazioni. Alle folle che andavano a farsi battezzare Giovanni fa capire che non basta ricevere il suo battesimo per convertirsi. E quando gli domandano che cosa devono fare, abbiamo ascoltato che Giovanni come impegno concreto suggerisce la condivisione dei beni: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto», e poi di sapersi contentare di quello che si possiede: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato… accontentatevi delle vostre paghe». Con questi atteggiamenti si mortifica la bramosia del possesso. Ma bisogna contrastare anche la concupiscenza della carne e la brama di essere superiori agli altri. Gli antidoti per queste cattive inclinazioni sono il digiuno per i piaceri e il nascondimento dei propri successi per la superbia. Solo se intraprendiamo un cammino di vera conversione allora la salvezza del Signore che consiste nella remissione dei peccati e nel dono dello Spirito Santo potrà operare nella nostra vita. Quindi questi mezzi di contrasto non sono fini a sé stessi ma in vista di un bene più grande. Rinunciamo a dei beni passeggeri, per possedere il vero bene. Il Signore da parte sua vuole donarci la salvezza ed è triste quando vede la nostra indifferenza nei suoi riguardi, perché rifiutando la sua salvezza ci facciamo del male. Rifiutando la sua salvezza diventiamo peggiori, come paglia destinata al fuoco. Al contrario è contento quando siamo disponibili a lui, perché accogliendo la sua salvezza facciamo il nostro bene, diventiamo migliori come frumento destinato ai granai del cielo. Il Signore dunque gioisce della nostra salvezza. Il profeta infatti diceva al popolo parlando del Signore: «Gioirà per te,/ti rinnoverà con il suo amore,/esulterà per te con grida di gioia». La gioia del Signore che ci dona la salvezza è la sorgente della gioia che sperimentiamo quando siamo salvati.

Si tratta di una gioia che dobbiamo custodire. Infatti è minacciata in continuazione dalle difficoltà e dalle contrarietà che possono generare in noi angustia e paura e così ci perdiamo d’animo e ci scoraggiamo. Le due letture e il salmo ci suggeriscono cosa dobbiamo fare per custodire la gioia del Signore. Dobbiamo tenere sempre presente che il Signore è un salvatore potente il quale può fare molto di più di quanto immaginiamo. Quindi in tutte le difficoltà dobbiamo rivolgerci a lui con preghiere, suppliche e ringraziamenti e avere fiducia che come ci ha aiutato in passato, così farà anche questa volta. Ma la custodia più grande della nostra gioia è la pace che Dio ci fa sperimentare stando con lui, una pace che supera ogni intelligenza.

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9 dicembre 2018 – II domenica di Avvento

(anno C)

Liturgia della Parola: 1lettura: Bar 5,1-9 – Salmo responsoriale: Sal 126 – 2lettura: Fil 1,4-6.8-11 –  Vangelo: Lc  3,1-6.

Dal Vangelo secondo Luca

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:«Voce di uno che grida nel deserto:Preparate la via del Signore,raddrizzate i suoi sentieri!Ogni burrone sarà riempito,ogni monte e ogni colle sarà abbassato;le vie tortuose diverranno dirittee quelle impervie, spianate.Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».



Parola del Signore

Omelia

Domenica scorsa è iniziato un nuovo anno liturgico. Quest’anno nelle messe domenicale ci accompagnerà il vangelo di Luca. Se leggiamo il vangelo di Luca troviamo all’inizio un prologo in cui l’autore spiega che ha scritto il vangelo per un certo Teofilo, che si era convertito al cristianesimo. Con il suo vangelo Luca vuole dimostrare a Teofilo che gli insegnamenti della fede non sono campati in aria ma hanno un fondamento storico. Oggi Luca parla della predicazione di Giovanni il Battista e si preoccupa di collegare questo avvenimento con dei fatti della storia profana: «Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto». Con questo ci vuole dire che i racconti del vangelo sono fatti storici.

Giovanni deve preparare la via a Gesù e per questo predica un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Con la sua predicazione deve sollecitare gli uomini alla conversione, in modo che venendo Gesù possano ricevere da lui la salvezza ovvero il perdono dei peccati. La missione di Giovanni e quella di Gesù continuano nella chiesa, che predica come Giovanni la conversione e dona la salvezza che Gesù ci ha guadagnato con la morte e risurrezione.

La conversione comporta la rinuncia al male e l’impegno a compiere il bene. L’impulso alla conversione viene dalla parola di Dio che ci fa rientrare in noi stessi affinché riconosciamo i nostri peccati, ne proviamo dispiacere e facciamo il proposito di non commetterli più.

Quando pecchiamo, siamo tentati di mettere a tacere la nostra coscienza che ci rimprovera. La coscienza è la voce di Dio, che ci approva quando facciamo il bene e ci rimprovera quando facciamo il male. A causa dei peccati questa voce che è dentro di noi diventa sempre più tenue. La predicazione della parola di Dio ci spinge a rientrare in noi stessi, perché prendiamo coscienza dei nostri peccati e ci convertiamo. E’ la parola di Dio che abbassa i colli e riempie i burroni, cioè elimina in noi gli ostacoli che ci impediscono di convertirci. Gli ostacoli sono i convincimenti sbagliati e le abitudini cattive. Tuttavia la parola non agisce per il fatto stesso che l’ascoltiamo, ma solo se la prendiamo sul serio e l’accogliamo come parola di Dio.

Quindi la conversione è opera di Dio che richiede la nostra disponibilità. Senza questa disponibilità non possiamo ricevere il perdono dei peccati. Non c’è infatti nessuna comunanza tra Dio e il demonio, tra l’amore e l’egoismo, tra il peccato e la giustizia. Quindi non possiamo ricevere il perdono dei peccati se non riconosciamo e rifiutiamo i nostri peccati. Dio infatti si rapporta con noi trattandoci da persone libere e non ci darà mai il suo perdono se rifiutiamo di convertirci.

Tutti abbiamo bisogno di conversione, sia chi si è allontanato da Dio come il figliol prodigo e deve far ritorno a lui, sia chi sta con Dio come il figlio maggiore della parabola e ha bisogno di crescere nell’amore. Il figliol prodigo si è allontanato dal padre facendo il male e deve convertirsi. Ma anche il figlio maggiore deve convertirsi. Stando con il padre ancora non ha imparato ad amare come lui. L’apostolo Paolo nella seconda lettura parla proprio di questa crescita nell’amore: «E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo». Il discernimento ci fa vedere i limiti e i guasti del nostro amore e ci insegna ad amare nel migliore dei modi, che è quello voluto da Dio, nelle situazioni sempre nuove che ci troviamo a vivere. San Antonio Abate diceva ai fratelli monaci nel suo insegnamento che la virtù principale dopo la carità è il discernimento. Senza discernimento o si prende per carità quella che non lo è, oppure la carità non viene espressa nel modo migliore richiesto da Dio. La conversione nell’amore dura tutta la vita. Infatti come con l’aiuto di Dio superiamo dei limiti nel nostro amore, subito la luce di Dio ce ne fa scoprire altri con cui dobbiamo confrontarci e lottare.

Per questo con il Salmo, riconosciamo quello che Dio ha fatto per noi, e imploriamolo perché continui a operare nella nostra vita. Se il Signore è con noi, tutto concorre al nostro bene, anche i nostri peccati che ci provocano tristezza. Saranno come una semina nel pianto che il Signore trasforma nella gioia della salvezza.

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2 dicembre 2018 – I domenica di Avvento

(anno C)

Liturgia della Parola: 1lettura: Ger 33,14-16 – Salmo responsoriale: Sal 24 – 2lettura: 1Ts 3,12-4,2 –  Vangelo: Lc 21,25-28.34-36.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Parola del Signore

Omelia

Oggi incomincia un nuovo anno liturgico, in cui riviviamo nella comunità cristiana radunata nel nome di Gesù gli avvenimenti della sua vita. Come l’anno solare è suddiviso in quattro stagioni, così l’anno liturgico è suddiviso in cinque tempi. Il primo tempo dell’anno liturgico è l’avvento, che significa ‘venuta’. L’avvento ricorda che la nostra vita di cristiani sulla terra è un’attesa del Signore Gesù che sta per venire. Il Signore Gesù, il germoglio giusto promesso al re Davide, è venuto la prima volta sulla terra quando è nato a Betlemme di Giudea. Verrà alla fine del mondo per giudicare i vivi e i morti. Ma nel frattempo il Signore viene in mezzo a noi radunati nel suo nome, viene nella nostra vita e verrà nell’ora della nostra morte a prenderci con sé.

Vivendo sulla terra, corriamo il rischio di distrarci dal Signore. Gesù pertanto ci mette in guardia dalla tentazione di appesantire i nostri cuori, che così diventano incapaci di volgersi a lui e di attenderlo: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso». I cuori vengono appesantiti a causa dei peccati e anche per gli affanni della vita. Gli affanni della vita sono le preoccupazioni terrene, legittime ma rovinose se dovessero occupare tutto il nostro tempo. Pensiamo alla parabola degli invitati alle nozze dove ognuno portò una motivazione giusta per declinare l’invito. Ma, comportandosi in questo modo, si autoesclusero dal banchetto della salvezza. Le preoccupazioni terrene, quando diventano eccessive, provocano agitazione e dissipazione per molte cose come succedeva a Marta, e fanno perdere di vista l’unica cosa davvero necessaria. Oppure diventano come spine che impediscono alla parola di Dio ascoltata di crescere e di portare frutto nella vita.

Gesù allora suggerisce il rimedio per sfuggire a questo pericolo: «Vegliate in ogni momento pregando». Quando parliamo di preghiera non dobbiamo pensare subito alle parole ma al cuore rivolto al Signore. Mentre il peccato e le preoccupazioni terrene appesantiscono il cuore e lo distolgono dal Signore, facendolo volgere alle cose terrene che periscono, la preghiera alleggerisce il cuore e lo rivolge al Signore, innalzandolo alle cose del cielo che durano in eterno. Mediante la preghiera i desideri del Signore diventano i nostri desideri. Ora la cosa principale che il Signore desidera per noi è che amiamo come lui e diventiamo simili a lui.

Per ottenere questo, chiediamo al Signore con le parole del Salmista che egli sia nostro maestro e nostra guida: «Fammi conoscere, Signore, le tue vie,/insegnami i tuoi sentieri./Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,/perché sei tu il Dio della mia salvezza». Sapendo poi che l’amore è lo scopo della nostra vita in quanto ci rende simili a Dio e che Dio vuole questo da noi, chiediamogli con le parole dell’apostolo di farci crescere e sovrabbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, quell’amore che Gesù ci ha insegnato. Se viviamo con i cuori rivolti al Signore, riceveremo la grazia di amare come lui. Allora la sua venuta del Signore non ci coglierà di sorpresa ma pronti per andare con lui.